«Analisi di mercato a medio termine e comunicazione tempestiva dei dati a tutta la filiera. Sono gli strumenti urgenti, ormai indispensabili, che una filiera come quella del prosciutto di Parma dovrebbe utilizzare per gestire l’opportunità della programmazione produttiva se vuole superare questa situazione di redditività molto sotto pressione».
È la fotografia che fornisce Gabriele Canali, direttore del Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole (Crefis) e docente di Economia agro-alimentare all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Canali ha trattato il tema già in occasione del convegno organizzato da Crefis nell’ambito della Fiera millenaria di Gonzaga (Mn) l’8 settembre sul tema: «La nuova Pac e i prodotti agroalimentari di qualità: strumenti e opportunità per formaggi grana e prosciutti dop», approfondendolo poi in una successiva intervista per la Rivista di Suinicoltura.
Se guardiamo gli indici di redditività dei prosciutti dop rispetto a quelli non tipici, la situazione di difficoltà della redditività del Parma è evidente, nonostante il dato di ottobre quando si è registrata un’inversione della tendenza degli ultimi mesi con un parziale recupero della redditività dei prosciutti dop rispetto a quelli non tipici. L’indice Crefis della stagionatura parla infatti di un aumento di redditività del +6,1% per i prosciutti dop leggeri(<9 kg) e del +5,6% nel caso di quelli pesanti, mentre la redditività della stagionatura dei prosciutti non tipici è diminuita poco meno del -2% sia per la tipologia pesante sia per quella leggera, rimanendo tuttavia sensibilmente superiore a quella dei corrispettivi dop.
Se venissero confermati anche nei prossimi mesi, i dati di ottobre potrebbero invertire una situazione che ha pesantemente condizionato la redditività lungo la filiera fino a settembre e che è consistita in un progressivo ampliamento della forbice di redditività tra i prosciutti dop e quelli non tutelati a favore di questi ultimi.
Come spiega Canali, «a settembre l’indice Crefis di redditività era peggiorato del -2% nel caso dei prosciutti dop leggeri e del -2,4% nel caso di quelli pesanti. Meno ampia la contrazione dei prosciutti non tutelati che era diminuita del -1,4% e del -1,7% nel caso della tipologia leggera e pesante rispettivamente».
Redditività a rischio
Se si scorre lo storico degli indici Crefis, si nota come anche nei mesi precedenti la tendenza sia stata la medesima di settembre. Ad esempio, ad agosto, l’indice della stagionatura era peggiorato di oltre il -6% rispetto a luglio, sia per la tipologia leggera sia per quella pesante. Al contrario, la redditività delle produzioni non tipiche aveva fatto registrare un modesto aumento, di poco inferiore al +1% su base congiunturale.
Ancora, a luglio la redditività del Parma dop leggero era scesa del -6,7% così come quella della tipologia pesante (-7,5%). Al contrario, la redditività dei prosciutti non tutelati era migliorata del +1,6% nel caso della tipologia leggera e del +2,1% nel caso di quella pesante.
A giugno la redditività della fase di stagionatura dei prosciutti dop leggeri era scesa del -0,4% mentre era rimasta stabile quella dei prosciutti dop pesanti. Parimenti, era aumentata in modo sensibile la redditività dei prosciutti non tutelati, sia leggeri che pesanti, cresciuta di oltre il +4% rispetto al mese precedente.
Nel complesso, sono 14 mesi che la redditività del Parma è inferiore a quella del prosciutto non tipico. Il motivo è da ricercare nel fatto che i prezzi della coscia sono minori e nel fatto che il periodo di stagionatura è inferiore a quello dei tipici.
«A fronte di questi valori – osserva Canali – non basta avere una programmazione produttiva. Certo, questa novità, formalizzata dall’insieme degli interventi di riforma della Pac, consente ai Consorzi di tutela di applicare modalità che possono disincentivare eccessi di produzione laddove il mercato non riesce ad assorbirla, almeno in teoria. L’idea di fondo è di evitare che si presentino crisi nella filiera, dai prosciuttifici fino ai suinicoltori, che rischiano più di tutti di soffrire per le crisi del comparto. Ma bisogna vedere come poi questa programmazione produttiva viene applicata».
Una visione di lungo periodo
«Affinché la programmazione produttiva porti a dei risultati concreti – prosegue Canali –, servono precisi strumenti per un’analisi più strutturale del mercato a medio termine. Quindi, serve trasmettere questi dati in modo tempestivo a tutti gli operatori, affinché si possa capire dove collocare l’asticella della programmazione. Vale a dire che gli analisti dovrebbero spiare con continuità ciò che accade sui mercati interno ed estero, monitorando i consumi italiani e la produzione marchiata fuori dal nostro Paese. Questo sarebbe lo snodo per una programmazione che possa davvero tutelare le nostre produzioni a tutti i livelli della filiera. In ogni caso, tale prassi ha valore per tutto il comparto dell’agroalimentare e in particolare anche per gli altri prodotti dop a lunga stagionatura come il Parmigiano-Reggiano e il Grana Padano. Negli altri Paesi già da decenni esistono strumenti di gestione dell’offerta sui mercati che investono molto di più sull’analisi dei mercati stessi. Si pensi, ad esempio, alle esperienze ormai antiche di marketing board statunitensi».
Dunque, non si tratterebbe più di un’analisi di mercato svolta con riferimento agli ultimi due mesi e con una visione di breve periodo, ma di modelli di previsione sviluppati da analisti, supportati poi da strumenti in grado di trasmettere questi dati a tutta la filiera. «Oltre ciò sarebbero anche auspicabili – insiste Canali – tavoli, anche informali, per una migliore governance di tutta la filiera e non solo politiche istituzionali. La collaborazione di tutta la filiera è un passaggio necessario per tutti, se la filiera stessa vuole aumentare la propria competitività».
Ma chi potrebbe occuparsi della trasmissione di questi dati previsionali alla filiera produttiva? Risponde ancora Canali: «Di ciò potrebbe incaricarsi un’interprofessione avanzata come già accade in altri Paesi europei. Esistono alcuni casi di collaborazione tra Organizzazioni di produttori e anche una prima iniziativa interprofessionale in Emilia-Romagna (l’associazione Gran Suino Italiano), ma c’è ancora molto da fare in questa direzione».
Conclude Canali: «Oggi, anche per i suinicoltori, si tratta di mettere sempre più la testa dentro la commercializzazione. Il singolo suinicoltore non può più permettersi soltanto di produrre, né può pensare di operare da solo. In una parola, nel futuro, a partire da oggi, gli allevatori dovranno essere meno produttori e più imprenditori».