L’allevamento dei fratelli Gobbi - Soc. Agr. Gs allevamenti, Leno (Bs) - è alla terza generazione, e attualmente ingrassa e commercializza 12mila suini l’anno.
Dal punto di vista dei centri di costo, quello più rilevante per l’azienda sono i suinetti di 30 kg che vengono acquistati sempre presso la stessa scrofaia in modo tale da abbassare i rischi sanitari.
«Nell’ottica di esporci a sempre meno problemi – sottolinea Dario Gobbi – abbiamo anche raddoppiato il numero di suinetti che entrano in azienda; in questo modo effettuiamo meno carichi, con un evidente miglioramento dell’aspetto sanitario, la cui influenza sui costi di produzione è immediata».
La continua ricerca del “mangime perfetto”
La vera particolarità di Gs allevamenti, tuttavia, sta in una continua ricerca nel campo dell’alimentazione, con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile al “mangime perfetto”. I risultati ottenuti fino a questo momento sono decisamente positivi, con un costo totale per suino intorno ai 90 euro.
«Teniamo costantemente monitorati i mercati per capire l’andamento dei prezzi delle materie prime – dice William Gobbi. Anticipare o posticipare gli acquisti anche di un solo giorno seguendo l’andamento dei prezzi può portare risparmi notevoli. Dal punto di vista della formulazione della razione, siamo particolarmente attenti all’Indice di conversione alimentare più che all’Indice ponderale giornaliero, perché ci dà il polso reale della situazione, e ci fa capire se stiamo ottimizzando le nostre risorse».
Nel reperimento delle materie prime, e per ottenere informazioni dettagliate sui mercati internazionali, i fratelli Gobbi si appoggiano al neonato gruppo Vip (Very Italian Pig), che oltre a essere un’importante centrale d’acquisto, svolge anche una notevole funzione dal punto di vista formativo e informativo.
Le altre spese
«Oltre all’acquisto dei suinetti e al mangime – continua Dario Gobbi – una quota importante dei costi di produzione è certamente imputabile agli ammortamenti. Le strutture non sono eterne e comportano investimenti molto rilevanti che bisogna mettere in conto. Tanto più che per scelta aziendale, e per poter svolgere liberamente la nostra attività imprenditoriale, abbiamo deciso di non sfruttare i fondi del Psr».
I fratelli Gobbi hanno poi riassunto nell’unica voce delle spese fisse la mano d’opera (un dipendente e un addetto alle pulizie, oltre agli stessi William e Dario), le manutenzioni, l’energia elettrica, i farmaci, lo smaltimento delle carcasse, la gestione dei liquami e l’Iva da versare.
Conti alla mano, per comprare e portare un suino da 30 a 170 kg, Gs allevamenti spende circa 270 euro, così ripartiti: 98 euro per l’acquisto del suinetto, 90 euro per il mangime, 55 euro per le spese fisse sopra elencate, e 25-28 euro per gli ammortamenti.
«Quello che fa la differenza è il mangime»
«La redditività degli allevamenti si gioca tutta sui mangimi – conclude Gobbi. Sui prezzi di mercato dei suinetti e della carne non possiamo fare nulla, solo subirne l’andamento; quello che fa la differenza è ottimizzare i mangimi per alzare l’Ica».
«Solo materie prime nobili»
L’azienda della famiglia Valtulini - Az. agr. Valtulini Bortolomeo e figli, Orzivecchi (Bs) - è a ciclo chiuso; la scrofaia ospita 900 scrofe con una produzione media di 24-25 suinetti per capo.
In un anno, l’azienda sostiene circa 5 milioni di euro per i costi di produzione, la cui voce più rilevante risulta essere l’alimentazione, anche se con una forbice piuttosto ampia, compresa tra il 40 e il 70% del totale.
Questo dipende dall’andamento del mercato delle materie prime, e dal fatto che Serafino Valtulini, il titolare, ha fatto una scelta ben precisa a riguardo.
«Per l’alimentazione dei suini utilizziamo solo ed esclusivamente materie prime nobili – sottolinea l’allevatore – che in parte produciamo direttamente, e in parte acquistiamo da aziende del territorio bresciano. Si tratta di una scelta filosofica e di amore verso la nostra terra, che al contempo instaura un circolo virtuoso nella nostra zona e va a vantaggio di tutti gli operatori agricoli».
Anche dal punto di vista della ricetta, realizzata direttamente in azienda, Valtulini segue una strada scrupolosa: da 18 anni ha abbandonato l’uso di qualsiasi integratore, e utilizza solamente crusca e farina di soia, lasciando perdere i sottoprodotti.
Le altre spese
Proseguendo nell’analisi dei costi dell’azienda, la seconda voce in termini di peso risulta essere l’energia, che va ad alimentare principalmente le lampade in sala parto, l’impianto di ventilazione e di riscaldamento, e naturalmente include anche il gasolio per il funzionamento delle macchine per la campagna. Complessivamente, le spese per l’energia coprono il 10% dei costi di produzione.
Al terzo posto, troviamo le imposte, le assicurazioni e i contributi per i dipendenti: una cifra non inferiore al 9% del totale.
Il 7% dei costi aziendali fa invece riferimento alla forza lavoro: l’azienda di Valtulini, oltre a 6 membri della famiglia, dà lavoro a 12 dipendenti.
Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, esso pesa per il 6% nella produzione e include le spese per la fecondazione artificiale, le vaccinazioni e i disinfettanti. Per abbassare al minimo questa voce nel computo dei costi totali, Valtulini ha fatto investimenti strutturali per limitare i rischi e gli interventi veterinari, oltre a lavorare per scompartimenti e creare vuoti sanitari.
La genetica risulta essere invece una spesa quasi irrilevante: solo lo 0,4% del totale, poiché la rimonta delle scrofe viene prodotta internamente, relegando gli acquisti di seme alla sola linea terminale.
«Nel considerare i costi di produzione – conclude Serafino Valtulini – non dobbiamo comunque dimenticare l’importanza degli ammortamenti. È qui che si gioca la sopravvivenza delle imprese; a mio avviso è fondamentale avere un indebitamento che non superi il 50% del capitale, altrimenti si può andare incontro a dissesti finanziari. Il mercato non consente all’allevatore di essere davvero proprietario del valore delle sue produzioni, per cui è importante essere sempre pronti a sfruttare le condizioni favorevoli ma prestando molta attenzione a fare spese avventate».
La razione cambia a seconda dell’andamento del mercato
Anche l’azienda di Elio Martinelli - Az. Agr. La Fontana, Casalmaggiore (Cr) - è a ciclo chiuso; l’allevatore conduce direttamente la scrofaia, che ospita 680 capi, mentre lo svezzamento e l’ingrasso vengono portati avanti da vari soccidari.
L’alimentazione è il maggiore centro di costo per l’azienda, e rappresenta una spesa variabile tra il 55 e il 60% dei costi di produzione totali a ciclo chiuso.
Martinelli ha scelto di non produrre direttamente i mangimi, che vengono acquistati dall’industria; in parte con formulazione fornita direttamente dall’allevatore e in parte con una ricetta del mangimista. In questo modo, ogni mese ci sono variazioni di prezzo a seconda dell’andamento dei mercati, e la razione viene ottimizzata di conseguenza, pur restando naturalmente nei parametri dettati dal disciplinare del Prosciutto di Parma, a cui viene conferita la produzione.
Le altre spese
La forza lavoro per la scrofaia è la seconda spesa più rilevante dell’azienda, e pesa per oltre il 10% sui costi.
Dal punto di vista dell’energia, non rappresenta un costo particolarmente rilevante (circa il 5%) poiché Martinelli, non disponendo di un mangimificio aziendale, la utilizza esclusivamente per l’illuminazione, la climatizzazione degli ambienti e la fornitura di acqua calda. Inoltre, un piccolo impianto fotovoltaico da 73 Kw contribuisce alla produzione di energia per autoconsumo.
Sotto l’aspetto della genetica, Elio Martinelli produce internamente la rimonta delle scrofe e acquista il seme all’esterno, con una spesa di circa 30mila euro l’anno. Il fatto di non tenere verri in azienda contribuisce naturalmente a una diminuzione del rischio sanitario, le cui spese, inclusa la parte veterinaria, ammontano a circa 85 euro per scrofa.
Complessivamente in azienda si produce 1 kg di carne a 1,38 e 1,40 euro.
«Quando si parla di centri di costo – dice Elio Martinelli – risulta fondamentale il management dell’azienda, perché bisogna tenere sempre ben presente gli ammortamenti. Ritengo che oggi investire troppo nelle strutture non sia vantaggioso; nel nostro allevamento abbiamo puntato maggiormente sull’efficienza e su continue piccole migliorie. Personalmente, sono ottimista per il 2017 riguardo l’andamento del settore: tra i prezzi delle materie prime e l’effervescenza del mercato dell’ingrasso ci sono buone prospettive di crescita. Tuttavia, purtroppo non dipende tutto dal nostro lavoro, ma ci troviamo in balia dei grandi attori del settore come la Cina (più del 50% del patrimonio suinicolo del mondo), per cui è importante tenere bene i piedi per terra e investire per valorizzare e tutelare la nostra produzione».
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura n. 2/2017
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura