«Formulare diete per suinetti più efficienti e diminuire al tempo stesso il livello medio di proteine grezze dei mangimi, con ottimi risultati dal punto di vista sanitario, economico e ambientale, è possibile se nella dieta si impiegano amminoacidi di sintesi». È quanto affermato da Aldo Prandini, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, nel corso del webinar “Strategie nutrizionali per ridurre l’uso di antibiotico in suinicoltura”, organizzato nei giorni scorsi dalla Rivista di Suinicoltura. «Gli aminoacidi di sintesi consentono di soddisfare in modo più preciso i fabbisogni di questi nutrienti indispensabili», ha affermato l’esperto.
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La corretta nutrizione azotata
«Una corretta nutrizione azotata è la condicio sine qua non per la riduzione dei farmaci in allevamento; essa rappresenta infatti una garanzia di benessere e di buone performance produttive. È però necessario tenere presente – ha aggiunto Prandini - che ogni allevamento ha le sue caratteristiche ed è quindi errato generalizzare circa il successo e l’insuccesso di certe pratiche alimentari».
Ridurre la quota proteica
«In una delle prime ricerche effettuate a Piacenza presso l'istituto della Cattolica del Sacro cuore relativamente alle diete a basso contenuto proteico (anno 1990), si è voluto confrontare la proteina ideale - equilibrio amminoacidico rispetto alla Lisina (primo aminoacido limitante) - con i principali alimenti che troviamo nella razione per suini. Dai risultati, è stato possibile osservare che con l’impiego di una miscela all’80% di cereali e al 20% di soia, è possibile coprire il fabbisogno del primo amminoacido limitante, ovvero la lisina, ma per quanto riguarda gli altri amminoacidi, questo tipo di dieta apporta un eccesso di circa il 30-33%».
Ma cosa succede agli animali quando si verifica un eccesso di amminoacidi? «Negli animali adulti, questi amminoacidi vengono utilizzati a scopo energetico, in particolare, lo scheletro carbonioso viene utilizzato a scopo energetico e il gruppo aminico finisce nell’urea e che sarà escreta con le urine. Al contrario, nei suinetti, le proteine che non vengono digerite nel piccolo intestino (duodeno) passano nel grosso intestino, dove vengono fermentate creando così le condizioni ottimali per lo sviluppo delle enterobatteriacee, dei coli e delle salmonelle (a causa dell’aumento del pH dovuto all’aumento del livello di ammoniaca intestinale)».
«Per evitare questi eccessi – ha sottolineato Prandini – l'ideale oltre i 100 kg, sarebbe ridurre la soia fino al 5% e aggiungere alla razione gli amonoacidi limitanti».
«In alcune ricerche condotte in collaborazione con l’Università di Bologna, siamo riusciti ad escludere l’impiego della soia dall’alimentazione dei suini di 120-160 kg, grazie al corretto impiego degli amminoacidi di sintesi, ottenendo così le stesse performance produttive. Inoltre, tra gli aspetti positivi, è emerso che la carcassa di questi suini presentava una copertura di grasso leggermente superiore».
Risultati positivi in termini di fecal score
Secondo quanto riportato dal docente della Cattolica di Piacenza, «In un recente studio condotto in Francia, sono state messe a confronto 4 diete per suini: una di controllo e tre a base di frumento, mais, orzo e farina di estrazione di soia. Le tre diete prevedevano un diverso livello proteico e l’aggiunta oltre a lisina, metionina, treonina e triptofano anche isoleucina e valina. Le prove sono state condotte su suinetti con un peso iniziale di 12 kg fino ad arrivare a 26-27 kg. Secondo quanto osservato al termine della prova, non sono state evidenziate differenze a livello di peso finale, mentre grossi vantaggi sono stati osservati relativamente alla consistenza delle feci. Con le diete a minor tenore proteico e l’integrazione di amminoacidi di sintesi, si sono ridotte le feci soffici e quelle liquide, mentre sono aumentate le feci dure».
Migliora il bilancio azotato
«Risultati similari sono stati raggiunti anche nel corso di un’altra recente prova condotta in Spagna: il confronto tra 5 differenti diete in suinetti (del peso iniziale di 10 kg e peso finale di 30 kg) ha mostrato che al decrescere del livello proteico nella dieta (con adeguata integrazione di amminoacidi di sintesi) è corrisposto un abbassamento del contenuto di azoto dell’urea plasmatica e un miglior bilancio azotato (minore escrezione di azoto con le urine). Il rapporto tra azoto ritenuto e azoto ingerito – ha sottolineato Prandini - è stato del 61% per quanto concerne la dieta a più alto livello proteico e del 66% per la dieta con basso livello proteico».
L’impiego razionale degli acidi organici
«Sulla base di una corretta nutrizione azotata – ha aggiunto l’esperto in occasione del webinar - si possono inserire altre molecole come a esempio gli acidi organici. Utilizzare in modo razionale questi elementi nella dieta dei suinetti può aiutare in caso di:
- insufficiente secrezione di acido cloridrico a livello a livello gastrico;
- scarso tuning (adeguamento) del corredo enzimatico dei suinetti rispetto ai nuovi ingredienti che vengono utilizzati nelle diete;
- criticità per quanto riguarda lo sviluppo della mucosa intestinale e dei villi;
criticità della difesa immunitaria;
suscettibilità alla proliferazione batterica - (sviluppo delle enterobatteriacee e di tutti i patogeni);
- bassa digeribilità dei nutrienti che porta a una diminuzione delle performance».
Quattro categorie di acidi organici
Secondo quanto detto da Prandini: «Esistono quattro categorie di acidi organici: a corta catena, a media catena, acidi tricarbossilici e “altri”. Per quanto riguarda quelli a corta catena, il butirrico ha una effetto nella stimolazione della proliferazione della mucosa intestinale, migliorando la digeribilità e l’attività antimicrobica. Per quanto riguarda invece i C6, C8, C10 e C12, l’effetto riscontrato è di tipo energetico, questi acidi organici rappresentano una fonte energetica a livello intestinale e per tutto l’organismo dell’animale, sono citotossici e svolgono un’efficace attività antifungina nel mangime».
«Gli acidi tricarbossilici – ha continuato - fungono da fonte energetica e hanno effetti sul miglioramento della funzionalità intestinale; funzione di barriera e modulazione del microbiota. Infine, l’acido sorbico, il benzoico e il lattico consentono una riduzione del pH dello stomaco, migliorano l’efficienza di digeribilità degli alimenti e svolgono un’azione antifungina».
In generale, secondo quanto affermato dall’esperto, tra i principali effetti degli acidi organici ci sono: la modulazione della microflora intestinale, il miglioramento della digeribilità, il miglioramento delle performance produttive, la riduzione delle diarree, un miglioramento dello stato infiammatorio dell’intestino e un più efficiente assorbimento dei nutrienti.
Particolare attenzione dovrà essere posta al potere tampone della dieta e quindi minimizzare il livello di minerali e scegliere fonti altrenative di calcio. Infine - ha precisato Prandini – bisogna tenere presente che l’utilizzo degli acidi come tali non è una pratica semplice: questi prodotti infatti sono di difficile gestione all’interno dei mangimifici e in azienda: possono causare problemi di sicurezza per gli addetti ai lavori e danni da corrosione. Anche a livello di palatabilità si possono riscontrare difficoltà. Pertanto, le soluzioni in sali o acidificanti protetti sono certamente da preferire».