Le fonti proteiche e la loro sostenibilità

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Nel settore suinicolo ciò che impatta maggiormente sulle emissioni di anidride carbonica è l’approvvigionamento e la produzione di soia. Scopriamo quali potrebbero essere delle soluzioni alternative

Il 14° Simposio europeo svoltosi a Salonicco è stato aperto da una tavola rotonda sui temi di sostenibilità e nuove sfide per il settore. Comprensibile, vista l’aria di cambiamento e forse anche un po’ di insicurezza che si respira quando si parla di suini e suinicoltura.

Il concetto di sostenibilità è molto in voga ultimamente, ma cosa significa essere sostenibili? E soprattutto… un settore come quello dell’allevamento, con una storia millenaria, cosa può fare per esserlo?

Ma cos’è la sostenibilità in poche parole? Si intende la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.

Forse starete pensando che in una condizione come quella attuale, con problemi di biosicurezza, rincari, instabilità politica ed economica e carenza di materie prime la sostenibilità debba essere un tema marginale. Piuttosto potrebbe sorgere spontanea la domanda: come sbarco il lunario? Tranquilli, l’ha pensato anche chi ha aperto il convegno parlando proprio di sostenibilità!

Inserire il tema della sostenibilità nel settore suinicolo significa parlare della punta dell’iceberg, ci sono questioni molto più importanti e urgenti da fronteggiare e da risolvere. Ma i consumatori e le nuove generazioni sono sempre più attenti a queste tematiche e pertanto divenire sostenibili deve essere un obbligo o, quantomeno, un tentativo di tutti.

Avere un allevamento sostenibile non significa soltanto inquinare meno e ridurre il proprio impatto ambientale. Significa avvicinarsi ai consumatori, mostrare come si lavora all’interno dell’allevamento per staccarsi magari un po’ di dosso quell’etichetta negativa che spesso i media affibbiano a questa professione. Significa adattarsi alle richieste di un mercato che vede sempre meno di buon occhio alcune pratiche e che vorrebbe gli animali sempre più liberi e in condizioni di benessere sempre maggiori. Significa anche cercare fonti alternative per alimentare i nostri suini.

Emissioni di ammoniaca, azoto e fosforo

Il settore suinicolo è uno dei sistemi produttivi col più basso impatto sulle emissioni di carbonio fra i diversi sistemi di allevamento, contribuendo quindi in maniera minore sul riscaldamento globale. Tuttavia, il suo impatto ambientale si manifesta in maniera significativa con l’eutrofizzazione e l’acidificazione correlate alle emissioni di ammoniaca, azoto e fosforo.

L’eutrofizzazione è una condizione di ricchezza di sostanze nutritive, in particolare nitrati e fosfati, in ambiente acquatico. Questo è un fenomeno inquinante perché permette un accrescimento eccessivo di organismi vegetali (piante, alghe e microalghe che determinano una crescita batterica e un consumo eccessivo di ossigeno).

Emissioni di carbonio

All’interno del sistema produttivo suinicolo quello che impatta maggiormente sulle emissioni di anidride carbonica è l’aspetto legato all’alimentazione degli animali e l’approvvigionamento delle materie prime (Grafico 1).

Per quanto riguarda, invece, le varie fasi dell’allevamento l’impatto maggiore è dovuto alla fase di ingrasso, che causa il 31% delle emissioni. Magroncelli e magroni sono responsabili di circa il 50% (Grafico 2).

Approvvigionamento e produzione di soia, quale fattore maggiormente impattante

A proposito di alimentazione, il punto focale circa la sostenibilità è la soia. Soprattutto i paesi dell’Unione Europea sono fortemente dipendenti dall’importazione di soia (circa il 70% della soia importata deriva dal Sud America); questo è insostenibile anche a causa dello sfruttamento dei terreni, della deforestazione, degli elevati costi e per una questione di sicurezza dei mangimi.

La soia europea non è in grado di competere con quella importata, anche se il territorio dell’Est Europa sembra essere la nuova frontiera per la produzione di questo legume. L’industria suinicola si trova complessivamente al secondo posto per la quantità di soia consumata per pasto rispetto ad altri tipi di allevamento. Questa richiesta di fonti proteiche è destinata a crescere dal momento che la domanda globale per la carne di suini e pollame è in continuo aumento.

Fonti proteiche alternative

Dal momento che la ricerca di fonti proteiche è il fattore maggiormente impattante dal punto di vista ambientale, è possibile trovare fonti alternative per rendere più sostenibile l’allevamento. Queste fonti alternative possono essere suddivise essenzialmente in 5 classi:

  1. Fonti proteiche alternative:
    a) leguminose come pisello, fava, lupino, ceci, anche se servirebbe moltissimo terreno da dedicare a queste colture e senza possibilità di riposo;
    b) farina di colza o farine di altri semi oleosi offrono un potenziale significativo per sostituire la farina di soia. La farina di colza, in particolare, è ricca in proteine e offre un profilo amminoacidico vicino a quello della soia. Inoltre, la superficie coltivata a colza è aumentata in Europa, Canada, Australia e USA. Tuttavia, dal punto di vista economico, non è così conveniente in quanto sono molti i paesi dove manca la capacità di frantumare la colza con conseguente necessità di trasportare i semi per lunghe distanze. La farina di colza presenta inoltre fattori antinutrizionali che si traducono in costi aggiuntivi in fase di lavorazione e/o in fase di integrazione enzimatica;
    c) fonti derivanti da sistemi innovativi come l’irrigazione idroponica.
  2. Fonti proteiche geneticamente modificate/ingegnerizzate.
  3. Fonti proteiche derivanti da agricoltura cellulare (da funghi, di origine batterica o microalghe); necessario però l’apporto di carbonio e altri minerali.
  4. Proteine animali (sia derivanti da insetti che processate da altri animali); da insetti contengono fino all’80% di proteine, ma anche acidi grassi e peptidi.
  5. Fonti proteiche recuperate da altri sistemi (come scarti della ristorazione, sottoprodotti derivanti dalla produzione di verdure, cereali o biocombustibili); ad esempio i cereali esauriti dalla produzione birraria che però vanno addizionati in urea per completare il profilo di aminoacidi.

Aspetti da considerare

Per poter includere queste nuove fonti proteiche in una formula mangimistica è necessario considerare diversi aspetti:

  1. il costo di questi nuovi ingredienti ed il loro impatto sul prezzo finale del mangime;
  2. disponibilità e facilità di miscelazione con gli altri ingredienti;
  3. sicurezza sia per gli animali che per gli umani;
  4. impatto ambientale;
  5. impatto sulla biodiversità;
  6. implicazioni sociali fra cui l’introduzione di un nuovo rischio (potenziale allergene o nuovo veicolo di contaminanti) nella catena alimentare e percezione del consumatore.

Tuttavia, per il momento, nessuna di queste alternative rappresenta la soluzione ottimale al problema che la richiesta di fonti proteiche pone e non è ancora stata testata nessuna di esse su larga scala.

Oltre alla sostenibilità: il benessere animale

Oltre alla questione alimentare vi è da affrontare tutto ciò che ruota attorno alla tematica del benessere animale. Il consumatore è divenuto molto attento a questo aspetto, molti al supermercato prestano più attenzione alle etichette e alcuni sono disposti a spendere qualcosa in più per prodotti ottenuti nel maggior rispetto possibile del benessere animale.

Parliamo di taglio della coda, estremamente attuale, ma anche di divieto di utilizzo delle gabbie per le scrofe (già divenuto obbligo per alcuni paesi europei e lo diverrà anche in altri) e di utilizzo di sistemi alternativi alla castrazione chirurgica. Tutte questioni che oggi ci fanno quasi spazientire perché “si è sempre fatto così, non cambierò di certo ora”.

C’è aria di cambiamento, un’aria che tira già da qualche tempo e che oggi sta assumendo più l’aspetto di una vera raffica di vento, forse. Ci sono tante questioni contemporaneamente, alcune di vitale importanza per i nostri allevamenti (una su tutte, preservarci dalla peste suina), altre forse più marginali, ma che, in tempi rapidi, diverranno altresì fondamentali per la sopravvivenza del settore.


* Medico Veterinario, MN


L’articolo è pubblicato sulla Rivista di Suinicoltura 6/2023

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Le fonti proteiche e la loro sostenibilità - Ultima modifica: 2023-06-16T15:59:04+02:00 da K4

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