Mangimi, stabilimenti a basso impatto e valorizzazione della circolarità

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L’analisi del settore nel Report ambientale 2020 di Assalzoo. Veronesi: «I produttori di alimenti per animali vogliono giocare un ruolo importante nel perseguire l’obiettivo comune di una zootecnia a impatto zero»

L’impatto ambientale della produzione di mangimi negli stabilimenti è molto contenuto grazie allo sforzo dei produttori che hanno contribuito negli ultimi anni a rendere sostenibile la filiera agro-zootecnica. A sostenerlo è Assalzoo – Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici, in occasione della presentazione in videoconferenza del Report ambientale 2020.

Dal documento emergono in particolare le ricadute positive che il settore fornisce alla filiera in termini di efficienza e circolarità attraverso, per esempio, il riutilizzo di prodotti non più destinati all’alimentazione umana.

Nel corso dei lavori, il presidente di Assalzoo Marcello Veronesi ha sottolineato come l’economia circolare rappresenti una delle risorse su cui la filiera punterà in futuro per incrementare i livelli di sostenibilità dell’agro-zootecnia. «I produttori di mangimi - ha affermato - vogliono giocare un ruolo importante nel perseguire l’obiettivo comune di una zootecnia a impatto zero».

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Energia e imballaggi, quale impatto

La prima edizione del report, realizzato in collaborazione con Lce (Life cycle engineering), racchiude i risultati di un’indagine condotta su un campione di stabilimenti con una rappresentatività del 30% della produzione nazionale. Massimo Marino di Lce, analizzando i dati, ha spiegato che «la principale fonte di impatto, considerando solo il processo produttivo del mangimificio, è l’energia e a volte gli imballaggi».  Nello specifico, come specificato nel report, le emissioni di CO2 equivalente di un mangimificio medio italiano sono pari a 40 kg per tonnellata di mangime e dipendono per oltre la metà dai consumi di energia elettrica; gli imballaggi hanno una rilevanza media del 15% (questa informazione rappresenta una media derivata tra chi vende mangimi sfusi e chi invece lo confeziona).

L’indagine ha valutato inoltre la carbon footprint degli alimenti per alcune filiere zootecniche: «con riferimento all’impatto ambientale di una tonnellata di mangime, il mangimificio contribuisce per circa il 5%, tutto il resto è rappresentato da materie prime», ha aggiunto Marino.

 

Mangimi e alimentazione di precisione

Sulla scelta degli ingredienti il mangimista può segnare il suo contributo alla sostenibilità della filiera zootecnica. Può scegliere materie prime prodotte responsabilmente, formulare mangimi sempre più efficienti e impiegare residui di altre produzioni alimentari, o prodotti, non più destinati all’uomo. A riguardo, come spiegato da Veronesi, «sono diverse le misure concrete già adottate a favore dell’ambiente, come: la circolarità, il costante impegno per il miglioramento degli indici di conversione, la tecnologia e la ricerca per gli additivi, l’ammodernamento degli impianti fino all’alimentazione di precisione».

 

Mangimi e dieta degli animali

Uno dei temi chiave su cui si sta concentrando l’attenzione dei formulisti è il miglioramento delle diete per i ruminanti, con l’intento di mitigare le fermentazioni enteriche prodotte. In tal senso, come riporta il report, si sono dimostrati efficaci sia l’aumento dei trattamenti termici per facilitare il bypass che l’integrazione con additivi di origine naturale.

Per quanto riguarda i suini invece, l’impiego di diete con basso tenore proteico, integrate con gli amminoacidi essenziali più limitanti (lisina, metionina, treonina, triptofano), consente, come evidenzia il report, di ridurre l’escrezione di azoto, fonte di inquinamento del suolo e delle acque superficiali e di falda; di ammoniaca e di protossido d’azoto (potente gas serra) in atmosfera. Ad esempio, per i suinetti, un mangime con il 18% di proteine grezze integrato con amminoacidi garantirà in prima fase post svezzamento (6-15 kg di peso) gli adeguati livelli di nutrienti e una buona digeribilità. Anche il fosforo andrà somministrato senza eccedere, aggiungendo l’enzima fitasi al mangime per consentire l’utilizzo del P fitinico contenuto nei cereali/cruscami, e riducendo così l’apporto di sali di fosforo, tra i quali vanno comunque privilegiati quelli più digeribili.

È importante ricordare, specifica il report, che se la fase post svezzamento è la più delicata dal punto di vista nutrizionale/sanitario, l’impatto ambientale è dovuto in larghissima parte alla fase di accrescimento e ingrasso, quando l’animale ingerisce di più ed elimina maggiormente azoto, fosforo, rame ed altre sostanze potenzialmente inquinanti.

L’alimentazione di precisione (precision feeding), ossia la somministrazione tramite alimenti e integratori attentamente selezionati dei soli nutrienti strettamente necessari, è quindi una tecnica importante che contribuisce a ridurre al contempo sia i rischi di incorrere in possibili dismetabolie alimentari, che gli impatti ambientali.

 

Miglioramento degli indici di conversione

La pianificazione dell’alimentazione lungo il ciclo dell’allevamento, si legge nel report, è una delle tecniche adottate per meglio soddisfare i fabbisogni nutrizionali dell’animale e migliorarne l’efficienza produttiva mantenendo le ideali condizioni di benessere. In tutte le filiere, le razioni sono organizzate in almeno 2 o 3 tipologie diverse a seconda dell’età e dello sviluppo degli animali.

Un indicatore utile a comprendere l’efficienza produttiva è l’indice di conversione (Idc o feed conversion rate, Fcr) che misura la quantità di mangime utilizzata per ottenere una unità di prodotto (ad esempio, 1 kg di carne o di latte).

Come evidenziato nel report, la ricerca sugli aspetti nutrizionali dei mangimi, sulle modalità di somministrazione agli animali e sulla genetica, ha permesso di ridurre nel tempo l’indice di conversione, aumentando l’efficienza economica e, soprattutto, limitando l’impatto ambientale connesso alle attività di allevamento, oltre ad aumentare la qualità degli alimenti prodotti. A riguardo il segretario generale di Assalzoo, Lea Pallaroni, ha sottolineato che negli ultimi vent’anni gli indici di conversione negli allevamenti sono migliorati notevolmente: «in genere del 15%. Questo grazie allo sforzo congiunto di mangimisti, genetisti e allevatori».

 

La Farm to Fork non convince gli allevatori

«Il settore agro-alimentare-zootecnico è consapevole dell’importanza della sostenibilità». A sostenerlo, Giovanna Parmigiani di Confagricoltura, che, citando i recenti dati di Ispra sulle emissioni, ha affermato: «solo il 13% delle PM10 è dovuto al settore agricolo. Inoltre, negli ultimi vent’anni, anche grazie al miglioramento delle tecniche di produzione e allevamento, si è ridotta del 23% l’emissione di ammoniaca».

Questi dati giustificano, secondo Pallaroni, il timore del comparto allevatoriale nei confronti della strategia Farm to Fork: «sbagliato, infatti, prefissare degli obiettivi senza vedere cosa si è fatto prima. È importante - ha aggiunto - definire l’arco temporale su cui lavoreremo sulla Farm to Fork per non dare l’idea che si parta dal nulla».

D’accordo anche Parmigiani che ha ribadito: «molto si deve fare per quantificare il beneficio ambientale delle aziende agricole. Come Confagricoltura stiamo lavorando affinché ci vengano riconosciuti i certificati verdi; inoltre vorremmo che si considerasse la fissazione di carbonio che si ottiene grazie alla coltivazione delle colture cerealicole».

Lo stesso vale per la valutazione dei progressi compiuti sul fronte del rispetto del benessere animale: «il mancato riconoscimento dei tanti passi in avanti fatti su questa tematica è un problema», ha detto Parmigiani, che, ricordando l’accordo siglato con Coop (vedi sotto) per migliorare la distribuzione del valore aggiunto dei prodotti italiani, ha specificato: «la sostenibilità della zootecnia italiana deve diventare un valore da trasferire al consumatore».

A riguardo, Claudio Mazzini di Coop Italia, ha spiegato: «il nostro protocollo (vedi box) vuole trovare un nuovo modello economico che tuteli di più sia chi produce sia chi consuma. Bisogna essere più efficienti, fare filiera per stabilizzare gli elementi economici e dare quel valore aggiunto che l’italianità merita di sicuro».

 

SUINO E POMODORO DA INDUSTRIA L’ACCORDO TRA CONFAGRICOLTURA E COOP

Mettere a punto un modello economico capace di considerare e remunerare in modo equo tutti gli attori della filiera, dal produttore al consumatore, con un approccio che garantisca la distribuzione del valore, la condivisione dei rischi e delle opportunità economiche, maggiore reciprocità così come un giusto prezzo di vendita per il consumatore. È questo l’obiettivo del protocollo di intesa siglato tra Confagricoltura e Coop Italia, che prende il via, per ora, su due filiere: quella del suino e quella del pomodoro da industria. Si tratta di un progetto pilota per due aree produttive piuttosto complesse, soggette a dinamiche di mercato che determinano oscillazioni di prezzo tali da influire anche sul prodotto destinato al consumatore finale.

Con l’accordo, che ha una durata biennale con possibilità di rinnovo, si intende puntare all’individuazione di possibili meccanismi per un'equa remunerazione e un prezzo condiviso che esuli dalle oscillazioni e in grado di rimanere inalterato, entro un tempo stabilito, rispetto alla variabilità a cui sono soggette le due filiere prese in considerazione.

Mangimi, stabilimenti a basso impatto e valorizzazione della circolarità - Ultima modifica: 2021-06-18T10:23:32+02:00 da Mary Mattiaccio

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