Allevatore di Marmirolo (Mantova), Thomas Ronconi è il nuovo presidente dell’Associazione nazionale degli allevatori di suini (Anas). Prende il posto di Andrea Cristini, bresciano, che ha guidato la costola dell’Aia dedicata al settore suinicolo per due mandati. Nell’ultimo mandato, in particolare, Ronconi è stato il vicepresidente. La successione, di fatto, è un passaggio naturale nel solco della continuità, pur con la consapevolezza che il mercato, le esigenze degli allevatori e le nuove sfide alle quali i produttori sono chiamati a intervenire sono costantemente in aggiornamento.
Il presidente Ronconi ha ringraziato il predecessore Cristini per l’importante lavoro svolto e i colleghi del Comitato per la fiducia accordata. Inoltre, consapevole delle sfide che la suinicoltura italiana dovrà affrontare, ha ribadito la centralità delle politiche per la valorizzazione del patrimonio delle produzioni tipiche, in primis dei prosciutti dop di Parma e San Daniele.
Presidente Ronconi, quali saranno le linee guida del suo mandato di presidenza e quali risposte dovrà dare l’Anas?
«Anas si prefigge di offrire un qualificato contributo tecnico alla suinicoltura italiana. In particolare, l’obiettivo prioritario riguarda il miglioramento genetico delle razze suine per produrre suini efficienti e qualitativamente distinguibili da quelli allevati in altre parti d’Europa. Per poter assolvere a questo compito è necessario continuare a investire in conoscenza tecnico-scientifica. La filiera delle produzioni dop, che è il pilastro della nostra suinicoltura, ha bisogno di suini con caratteristiche precise e diverse da altri sistemi produttivi. Questo è il versante sul quale Anas ha lavorato e al quale dovrà riservare il maggior impegno. L’obiettivo è mettere gli allevatori e gli altri soggetti della filiera nelle condizioni di produrre in modo economicamente sostenibile, arginando la concorrenza internazionale con produzioni che fanno leva sulla superiore qualità e sul legame col territorio».
Anas ha in programma di offrire nuovi servizi agli allevatori?
«L’associazione si occupa della selezione delle razze per il suino pesante e della conservazione genetica della biodiversità delle razze autoctone. Inoltre, Anas si è specializzata negli anni nell’analisi dei mercati e nel supporto all’evoluzione normativa che riguarda il settore. Per quanto riguarda i servizi diretti agli allevatori si tratta della gestione genetica sia dei nuclei di razza pura degli allevamenti che partecipano al programma di selezione delle razze del suino pesante e al programma di salvaguardia delle razze locali sia, allo stesso tempo, dei programmi di gestione dell’auto-rimonta degli allevamenti non iscritti al Libro genealogico, ma che utilizzano la genetica Anas. Questi servizi saranno ulteriormente arricchiti ed aggiornati, coerentemente con gli scopi dell’associazione e le richieste del settore».
Che cosa chiedono maggiormente i produttori?
«Gli allevatori ci chiedono un supporto tecnico affidabile, ma anche soluzioni gestionali flessibili e adatte alle condizioni organizzative dell’allevamento. Sicuramente investiremo su questo tipo di attività risorse significative, convinti che il trasferimento, tempestivo e diffuso, dei risultati della selezione dai cosiddetti super-nuclei del Libro genealogico agli allevamenti commerciali è cruciale per accrescere efficienza e qualità delle produzioni. Continueremo ad assicurare anche altri servizi, che sono rivolti al settore nel suo complesso».
Sarebbero?
«Mi riferisco alle previsioni di prezzi, produzioni, pareri e proposte sui temi del benessere, dell’impatto ambientale, sulla valorizzazione delle produzioni e altri».
Uno dei grandi problemi del settore è il massiccio utilizzo degli antibiotici, che sta provocando fenomeni di antibiotico resistenza. Che cosa può fare Anas, magari insieme alle associazioni veterinarie?
«I dati di cui disponiamo sono quelli elaborati da Esvac, sono desunti dalle vendite di medicinali e non sono informativi circa la quantità di singoli principi attivi utilizzati. L’Istituto zooprofilattico di Brescia, su incarico del ministero della Salute, sta effettuando un’indagine più accurata nell’ambito del progetto di categorizzazione del rischio dell’aziende. Questo permetterà di disporre di informazioni confrontabili in modo oggettivo con altri sistemi produttivi. Su questo tema dobbiamo precisare che l’attività di controllo in Italia è attentissima e che le carni sono prive di residui e sicure per il consumatore. Inoltre, l’allevamento prolungato del nostro suino pesante riduce fortemente i rischi di residui nelle carni rispetto ai più brevi cicli di allevamento degli altri Paesi europei. In ogni caso sul tema c’è una crescente consapevolezza di tutti gli attori. Anas può fare attività di divulgazione e informazione che ha già avviato, ma penso e sono certo che i nostri servizi veterinari e i tanti bravi veterinari liberi professionisti svolgeranno nei prossimi anni un ruolo determinante nella direzione di un uso responsabile degli antibiotici».
Come è possibile, secondo lei, aggregare di più la filiera?
«In questi anni abbiamo assistito a varie forme di aggregazione sia verticale che orizzontale. Penso e spero che l’iniziativa del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, alla quale Anas ha fornito e continuerà a fornire supporto tecnico, possa essere una innovazione nei rapporti di filiera e costituisca una risposta adeguata all’esigenza di migliorare il funzionamento della filiera stessa. Questa iniziativa prevede la stipula di un accordo diretto tra il predetto Consorzio e l’allevatore, nel quale c’è un reciproco impegno a lavorare ed interagire per rispondere al meglio alle domande del consumatore moderno».
Quando partirà il progetto Italico?
«Il progetto Italico, cioè il suino della filiera del Prosciutto di San Daniele, è già partito. L’Istituto Zooprofilattico di Brescia ha già completato gli audit in un primo gruppo di allevamenti aderenti. Gli audit hanno cadenza semestrale e sono finalizzati a monitorare e orientare il livello di benessere, biosicurezza e uso del farmaco. Sono anche in avanzato stadio di implementazione gli accordi del Consorzio San Daniele con alcune importanti centrali della grande distribuzione organizzata. In una prima fase il prodotto, confezionato con il logo Italico – Filiera San Daniele, sarà certificato per quanto riguarda origine Italiana e rispetto del disciplinare del prosciutto dop. Successivamente, la certificazione riguarderà anche lo stato di benessere, l’uso responsabile di antimicrobici e la riduzione dell’impatto ambientale».
Come è andato il 2016 dal punto di vista suinicolo?
«È stato orribile nel primo semestre e nettamente favorevole nel secondo, grazie all’esplosione delle importazioni cinesi delle carni europee e, per quanto riguarda l’Italia, il buon andamento della domanda interna di cosce da destinare alla dop. Il prezzo medio annuale del suino pesante è stato di 1,447 €/kg, superiore del 6,7% rispetto al 2015. Inoltre, i costi di produzione sono rimasti moderati».
Che cosa prevede per i prossimi mesi di mercato? Rabobank ipotizza che il 2017 sarà l’anno delle esportazioni record in Cina, ma i prezzi potrebbero scendere.
«Viviamo nell’era delle previsioni economiche sbagliate, alle quali non si sottrae anche il nostro settore. Se posso fare un esempio, nessuno aveva previsto il crollo dei prezzi iniziato nel 2014 né la forte ripresa del secondo semestre del 2016. In ogni caso, mi aspetto una tenuta dei prezzi nel primo semestre del 2017».
Che cosa ipotizza l’associazione che presiede?
«Le previsioni che Anas ha elaborato per l’anno 2017 per la Commissione Ue indicano i seguenti andamenti nei primi due trimestri: +12,1% nel 1° trimestre 2017 e +10,6% nel 2° trimestre 2017 su base tendenziale, cioè in confronto agli stessi trimestri dell’anno 2016.
Salvo cambiamenti sostanziali al momento imprevedibili nelle dinamiche del mercato, il trend annuale dei prezzi dovrebbe registrare una situazione tendenzialmente stazionaria rispetto all’intero 2016».
La Spagna ha incrementato molto le esportazioni. Che cosa possiamo copiare da quel modello?
«La suinicoltura spagnola ha un grado di integrazione elevatissimo e ha il costo di produzione più basso d’Europa. E questo senza essere più virtuosa per quanto riguarda l’efficienza di produzione. Alcune condizioni d’allevamento spagnole non sono trasferibili in Italia. Ciò che dovremmo copiare, invece, è la capacità degli spagnoli di aggredire i mercati esteri. La nostra frammentazione produttiva è purtroppo un ostacolo. In ogni caso dobbiamo essere orgogliosi di alcuni risultati conseguiti».
Ad esempio?
«Il Prosciutto di Parma è il primo prosciutto dop esportato in volume e valore nei Paesi terzi e supera i concorrenti spagnoli».
Come è possibile valorizzare le parti diverse dalla coscia?
«È un tema da anni al centro del dibattito della filiera. Purtroppo l’esperienza del Gran Suino Padano non ha avuto fortuna. Penso che dobbiamo fare leva sull’immagine dei prosciutti dop e attuare iniziative sinergiche e coerenti con gli obiettivi qualitativi e distintivi della filiera dop. Il progetto Italico del Consorzio di San Daniele si basa su questi presupposti e sembra la soluzione più promettente».
Esiste futuro nel circuito non dop?
«Il comparto dop interessa poco più del 70% dei suini nati e allevati in Italia. Quindi c’è un segmento non marginale di suini diversi. I dati degli ultimi anni indicano una tenuta dei suini dop e una contrazione dei suini italiani non a denominazione di origine protetta, a vantaggio di suini allevati in Italia, ma nati all’estero. Il segmento non dop può trovare interessanti sbocchi con la diffusione di contratti di filiera con l’industria e la grande distribuzione».
La Commissione unica nazionale stenta a funzionare. Che cosa servirebbe?
«Penso che la Cun sia comunque quanto di meglio si possa fare nelle condizioni date. I regolamenti sono sempre perfettibili, ma i risultati dipendono dai comportamenti delle parti che sono condizionati dagli interessi in gioco. Abbiamo assistito nell’ultimo anno ai problemi che hanno avuto i francesi a Plerin, mercato che era presentato come modello ideale. In ogni paese, quando ci sono squilibri tra domanda e offerta, la parte che si può avvantaggiare cerca di forzare la mano. È ovvio che chi ha maggior poter contrattuale è colui che acquista. In particolare nel nostro settore, dove i soggetti acquirenti sono un ristretto gruppo di macelli».
Stanno cambiando i consumi alimentari e le modalità di fornitura. Crescono il take-away, le vendite online, ma sembra esserci un ritorno alla macelleria.
Quali risposte spettano ai suinicoltori e alla filiera, per offrire servizi migliori?
«I suinicoltori non sono direttamente coinvolti, se non per soddisfare richieste che possono riguardare livelli superiori di certificazione del prodotto. L’industria comunque si sta organizzando per assecondare l’evoluzione della domanda».
CHI È IL NUOVO PRESIDENTE
Thomas Ronconi, vicepresidente della sezione Suini dell’Associazione mantovana allevatori, conduce con la collaborazione dei famigliari il settore suinicolo del gruppo, costituito da allevamenti di suini a ciclo chiuso con 7.500 scrofe e un allevamento bovino con 900 vacche in lattazione. L’indirizzo produttivo dei due settori aziendali è orientato alle filiere dei prodotti tipici di qualità, rispettivamente: suino pesante per i prosciutti a denominazione di origine protetta e latte per la trasformazione in formaggio Grana Padano dop.
Gli allevamenti suinicoli del gruppo Ronconi partecipano attivamente al programma genetico del Libro genealogico di Anas, con consistenti nuclei delle razze Large White e Landrace italiane ed utilizzano la razza Duroc italiana come padre dei suini destinati all’ingrasso.
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura n. 1/2017
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura