La Peste suina africana (Psa) è una malattia virale che colpisce i suini domestici e selvatici; dotata di una mortalità che può arrivare al 100% della popolazione suscettibile, può avere un impatto devastante sull’intero comparto suinicolo, con conseguenze rilevanti sia in termini economici, sociali che ambientali. Il virus della Psa non è in grado di infettare l’uomo, ma è comunque considerato una minaccia globale anche in considerazione della sua diffusione: attualmente l’infezione è presente in ben quattro continenti.
Come è facile intuire dal nome, la malattia è stata scoperta in Africa (giusto 100 anni fa) dove il virus è rimasto confinato fino alla fine degli anni ’50: la prima ondata epidemica di livello intercontinentale è iniziata nella Penisola Iberica e si rapidamente diffusa a diversi stati dell’Europa e dell’America Latina. Progressivamente, tutte le nazioni colpite hanno guadagnato l’eradicazione: alcuni paesi in forma veloce estinguendo focolai isolati (Francia, Italia, Belgio…), altri hanno impiegato più tempo avendo dovuto ricorrere a severe misure di contenimento (Brasile, Cuba…); in altri casi, la malattia ha manifestato un’evoluzione in forma endemica che si è protratta per decenni e solo faticosamente l’indennità è stata riconquistata (Spagna, Portogallo).
All’inizio di questo secolo la malattia era di nuovo confinata in Africa e solo la Sardegna rimaneva residuo della prima ondata epidemica: il virus, introdotto nel 1978 è purtroppo ancora presente nell’isola.
La attuale epidemia globale di Peste suina africana
Nel 2007 il virus della Psa è riuscito ancora a varcare i confini del continente africano ed è iniziata dalla Georgia nel Caucaso la seconda ondata epidemica. La situazione è apparsa immediatamente preoccupante e infatti l’infezione si è inizialmente spostata per continuità nelle regioni e stati vicini, ma ha subito dimostrato la capacità di compiere veri e propri balzi apparendo in focolai improvvisi ed inaspettati a distanza di centinaia di km dal fronte endemico.
I territori via via colpiti dall’infezione non sono stati in grado di arginare la diffusione del virus e anzi la presenza della malattia si è consolidata sia negli allevamenti domestici dei paesi sia nelle popolazioni selvatiche dell’Est Europa. Nel 2014, l’onda epidemica ha quindi coinvolto anche i paesi dell’Unione europea (Polonia e Repubbliche Baltiche); spesso le popolazioni di suini selvatici sono state le più colpite: le condizioni ambientali, come anche alcuni errori nelle strategie di controllo, hanno permesso di rendere endemica l’infezione nei cinghiali in un’ampia area dell’Europa Orientale e Centrale.
Le aziende intensive sono state solo sporadicamente interessate, mentre molti piccoli allevamenti caratterizzati da un livello di biosicurezza inadeguato hanno contribuito a diffondere l’infezione. Nel frattempo l’infezione è stata segnalata in Cina (2018) e si è rapidamente diffusa in larga parte del Continente Asiatico; anche in questo caso sono stati colpiti soprattutto gli allevamenti domestici sia industriali che familiari. Le condizioni di biosicurezza spesso inadeguate, le movimentazioni di persone e animali e altri fattori hanno permesso la diffusione del virus su larga scala arrivando a minacciare da vicino anche l’Australia e la Nuova Zelanda.
In questo scenario le uniche note positive provengono dall’esperienza applicata prima in Repubblica Ceca e successivamente in Belgio dove la Psa è stata improvvisamente segnalata in circoscritte popolazioni di cinghiali: l’applicazione di una precisa strategia di confinamento degli animali colpiti nell’area interessata (attraverso recinzione di aree concentriche) e l’accurata rimozione delle carcasse infette ha consentito di arrivare all’eradicazione della malattia in tempi relativamente brevi; sono stati necessari comunque due anni e un ingente impiego di risorse per vincere la sfida con il virus. Si spera che anche i recenti focolai registrati in Germania possano essere gestiti con altrettanta efficacia.
Quali armi abbiamo per combattere il virus della Psa
Purtroppo, nonostante gli sforzi dei ricercatori a livello mondiale, non è ancora disponibile un vaccino capace di arginare e/o prevenire questa infezione. Attualmente, l’attenzione è concentrata su alcuni potenziali candidati frutto dell’ingegneria genetica e sofisticate tecniche biomolecolari, ma prevedibilmente si dovrà aspettare ancora per ottenere risultati concreti.
L’arma più efficace rimane dunque la prevenzione. In questo senso due sono gli aspetti più importanti: effettuare una pronta diagnosi che permetta di individuare subito i nuovi focolai di infezione e avere un piano di emergenza solido ed efficace per fronteggiare adeguatamente il rischio di persistenza e diffusione della malattia.
Il Piano nazionale di sorveglianza
Il ministero della Salute ha predisposto un piano nazionale di sorveglianza con l’obiettivo di fronteggiare il rischio di nuova introduzione del virus Psa; il piano riguarda sia i suini domestici che i suini selvatici e si basa sulla sorveglianza passiva.
Fondamentale il ruolo di tutti coloro che sono più a contatto con i suini e con i cinghiali: da una parte allevatori e veterinari (sia pubblici che privati), dall’altra cacciatori, carabinieri forestali, guardiaparchi e chiunque frequenti i boschi per lavoro o per passione; tutti sono chiamati ad assumere un ruolo attivo e diventare vere e proprie sentinelle a guardia del patrimonio suinicolo domestico e selvatico. La segnalazione di morti, anche in assenza di sintomi specifici, deve essere considerata con la massima attenzione e sottoposta alle opportune indagini di laboratorio. È ormai ampiamente dimostrato che misure come il monitoraggio della caccia (test su cinghiali abbattuti) o il controllo sierologico degli allevamenti sono sistemi costosi quanto inutili. Bisogna invece non trascurare la sorveglianza e il controllo delle carcasse siano esse di cinghiali che di suini domestici e in particolare negli allevamenti estensivi o in quelli a scarsa protezione in termini di biosicurezza.
Il piano nazionale è partito con alcune difficoltà logistiche e l’avvento dell’emergenza da Covid 19 non ha certo aiutato il decollo di queste attività, ma ormai le procedure sono state perfezionate e c’è bisogno che ognuno compia la sua parte con tempismo e senso di collaborazione.
Il rischio di introduzione della Psa
Paesi relativamente vicini all’Italia sono già infetti, basti pensare ai focolai registrati nella penisola balcanica o nel centro Europa: studi etologici dimostrano che le Alpi orientali purtroppo non possono offrire un’efficace barriera all’infezione. Il rischio ancor più immediato è però legato al cosiddetto “fattore umano”. Merci o materiali contaminati possono viaggiare per centinaia di chilometri sfruttando flussi commerciali, spostamenti di persone per i motivi più svariati (lavoro, turismo…) e arrivare a contatto con animali sensibili.
Una delle fonti principali di trasmissione del virus è legata all’alimentazione con scarti di cucina che deve essere assolutamente vietata anche negli allevamenti più piccoli. L’accesso ai rifiuti abbandonati è un’altra fonte potenzialmente importante di rischio considerando che le periferie dei centri urbani sono sempre più esposte ad incursioni di cinghiali.
La Psa, quale evoluzione nel prossimo futuro
Nel prossimo futuro è facile prevedere che la minaccia rappresentata dalla diffusione della Psa possa diventare ancora più pressante a livello mondiale, europeo e anche nazionale. Misure protezionistiche sono già state applicate nei mercati globali sulla base del rischio legato a questa infezione e specialmente nelle aree più economicamente esposte le conseguenze saranno pesanti.
In Italia l’impatto di un’incursione del virus sarebbe devastante non solo laddove gli allevamenti suinicoli e le attività collegate sono più densamente rappresentate, ma anche nelle altre zone del paese. Le popolazioni di cinghiali, senza soluzioni di continuità, aumentano ovunque il livello di rischio e qualsiasi misura di contenimento della densità rischia di arrivare troppo tardi perché necessariamente si tratta di interventi sul lungo periodo.
È quindi necessario tenere alta la guardia e collaborare a elevare il livello di sorveglianza per permettere la segnalazione immediata di nuovi focolai di infezione. Solo arrivando a isolare prontamente i nuovi focolai si può avere la speranza di contenere il dilagare dell’infezione. È ormai dimostrata e riconosciuta la capacità del virus di persistere in forma endemica e laddove questa eventualità si concretizzi l’industria del suino crolla irrecuperabilmente.
Il ministero della Salute ha predisposto piani di emergenza sia per gestire focolai nel domestico e nel selvatico e il sistema diagnostico è già operativo: la macchina è quindi pronta per esaminare qualsiasi sospetto che non può e non deve essere sottovalutato.
L'autore è del Cerep.