Il benessere animale, la semplificazione burocratica, la dotazione finanziaria della prossima Politica agricola comune post 2020, il modello vegano, l’internazionalizzazione e il ruolo di fiere leader come Fieragricola di Verona. L’onorevole Massimo Fiorio, vicepresidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, parla a tutto campo, in vista della prima tappa del roadshow 2017 di Fieragricola, in calendario sabato 18 marzo a Savigliano (nella foto), a partire dalle 14:30 al Padiglione Agrimedia dell’area fieristica di via Alba. Nel contesto della Fiera della meccanizzazione agricola di Savigliano, Fieragricola - la rassegna internazionale dedicata al settore primario, di cui proprio la meccanizzazione è uno dei pilastri – illustrerà le novità e le linee ispiratrici della 113ª edizione, in programma dal 31 gennaio al 3 febbraio 2018.
Nell’incontro di Savigliano l’onorevole Fiorio sarà uno dei relatori della sessione organizzata da Fieragricola, sul tema «L’agricoltura moderna tra innovazione e sostenibilità». Fra gli altri, interverranno anche Luciano Rizzi (Area manager Agriexpo & Technology di Veronafiere), lo staff di Fieragricola, il direttore del Consorzio italiano biogas, Cristian Curlisi, che parlerà del progetto "Biogasdoneright: un sistema agricolo per la lotta ai cambiamenti climatici".
Onorevole Fiorio, quali saranno le sfide della Pac?
«Dovremo affrontare alcuni cambiamenti epocali, a partire dalla dotazione finanziaria, relativamente alla quale non abbiamo ancora risposte certe a livello europeo. Non dimentichiamo che il processo di Brexit è in corso. Come Commissione Agricoltura alla Camera abbiamo avviato un giro di audizione con le rappresentanze del settore, per costruire un quadro in linea con le esigenze degli stakeholder».
La commissione Agricoltura del Parlamento europeo ha avanzato nel regolamento Omnibus una proposta di modifica sulle misure compensative nell’ambito dello Sviluppo rurale. È soddisfatto?
«Tendenzialmente avremmo preferito altri modelli, ma riteniamo un miglioramento la proposta sullo sviluppo rurale di ridurre dal 30 al 20% la soglia di calo di reddito entro la quale far scattare le misure compensative e gli strumenti di fondi mutualistici e stabilizzatori del reddito. Oggi scattano solo al 30% della perdita del reddito aziendale, ma è una soglia troppo alta».
Anche il greening è stato fortemente criticato dagli agricoltori e non sembra aver dato risultati apprezzabili. Qual è la sua posizione?
«In fase di applicazione abbiamo ottenuto un risultato importante, escludendo l’applicazione dell’inverdimento alle colture sommerse, fra le quali appunto il riso. Le aspettative sono di un’esclusione dell’applicazione del greening anche a olivo e vite, che sono colture prevalentemente mediterranee».
Come si può tutelare maggiormente l’agricoltura italiana?
«Dobbiamo rivendicare il ruolo della nostra agricoltura, che è a più alto valore aggiunto rispetto ad altri modelli produttivi, ma che, allo stesso tempo, deve fare i conti con costi di produzioni maggiore, anche per una minore disponibilità di terreno, che impongono, se pensiamo alla zootecnia, l’allevamento in strutture come le stalle e non al pascolo, con maggiori oneri di gestione e alimentazione. Dobbiamo lavorare per rafforzare le filiere e avviare un processo di semplificazione marcato».
Per l’agricoltura e l’alimentare italiano l’export è una strategia irrinunciabile, eppure nel mondo la globalizzazione sembra in alcuni casi cedere alle prime tendenze di protezionismo. Quale sarà, ad esempio, la sorte del Ttip, l’accordo internazionale di libero scambio fra Unione europea e Stati Uniti?
«Il Ttip è morto e per noi è molto penalizzante, perché rischiamo di perdere il riconoscimento delle indicazioni geografiche. L’Italia ha impostato parte della propria produzione agroalimentare sulle Dop, un modello che riconosce solo il brand e non le denominazione d’origine costituisce un serio problema».
Stringere accordi bilaterali può essere una soluzione?
«Assolutamente sì. Vedo favorevolmente tutto quello che incentiva le esportazioni. Non dimentichiamo, ad esempio, alle opportunità che ci offre l’area mediterranea. Se parliamo di vino, credo che anche manifestazioni di rilevanza mondiale come Vinitaly siano strategiche, anche per sostenere quelle imprese che vogliono presentarsi verso i Paesi arabi con produzioni certificate Halal. Rimanendo nell’ambito del vino, ritengo interessante lo sbocco del vino dealcolizzato, sarebbe una sfida da cogliere».
Parlando di attenzione al Mediterraneo, Fieragricola sarà responsabile dell’area Italia nel Padiglione internazionale del Salone internazionale dell’agricoltura del Marocco.
«Il Marocco è un’economia in crescita, ha pianificato investimenti importanti e accordi internazionali interessanti anche nell’ambito dell’agricoltura, dove Fieragricola saprà sicuramente convogliare opportunità non solo per quel Paese, ma anche per l’Africa nel suo complesso. Ritengo che sia una partnership strategica quella tra Siam e Fieragricola, non c’è dubbio».
Più in generale, quel è il ruolo di una manifestazione leader come Fieragricola per il settore primario?
«Sarà quella di coniugare il business con le sfide del settore, legate all’alimentazione, alla sostenibilità ambientale, sociale, economica. In questa fase l’agricoltura ha una visibilità altissima agli occhi dell’opinione pubblica».
Quali sono le evoluzioni che osserva?
«Si sta affermando l’agricoltura di precisione come elemento di sostegno alla sostenibilità, alla tutela del suolo, al risparmio di carburante e di agrofarmaci. Sposare un percorso articolato di sostenibilità significa affrontare anche le problematiche del cambiamento climatico, affacciarsi alle opportunità legate alla produzione di energia da risorse rinnovabili. Ma Fieragricola può essere utile per accompagnare lo sviluppo del biologico e dell’agricoltura sociale, che rispondono al fenomeno della crescita occupazionale che stiamo registrando nel settore. Si sta delineando un nuovo orizzonte, grazie a un’agricoltura moderna e differente, in cui la qualità e la sicurezza alimentare sposano il benessere animale. Non dobbiamo trascurare le esigenze dei consumatori, i quali stanno chiedendo una produzione più etica. Gli agricoltori non dovrebbero trascurare alcuna opportunità. Quando ad esempio vediamo che un prodotto vegano è venduto a un prezzo di quattro volte superiore rispetto a uno convenzionale, dobbiamo rispettare la diversità e coglierne l’opportunità, perché c’è una ripercussione economica che il settore primario non può non vedere. L’Italia si trova di fronte alla sfida dell’autosufficienza alimentare. In questi anni i livelli di autoapprovvigionamento sono diminuiti. Non dico che dovremo rendere il nostro Paese autosufficiente sul fronte alimentare, ma dovremmo comunque rispondere, insieme ad altri paesi, alle esigenze alimentari dei cittadini».
Lei è un filosofo. Se le chiedessi i nomi di due filosofi collegati in qualche modo all’agricoltura, chi mi indicherebbe?
«Bella domanda. Le direi Martin Heidegger, quando afferma che il tema dell’abitare determina la nostra concezione dell’essere, e questo rispetto a un mondo che pensa di essere sempre più sradicato; Heidegger non parla direttamente di agricoltura, ma fa riferimento ai temi agricoli attraverso metafore. Penso inoltre a Michel Foucault, che descrivendo la nascita dell’economia di mercato descrive il rapporto esistente fra popolazione e alimentazione».