C’era una volta la scrofa, con i suoi fabbisogni più o meno noti, la sua alimentazione misurata a sessole, la condizione corporea stimata a braccio, le performance basate in primis sulla sua longevità.
Poi venne l’era della produttività, in cui le case genetiche e gli stessi allevatori hanno a lungo rincorso il miraggio del numero di svezzati/scrofa/anno come unico parametro a disposizione per calcolare i guadagni o le perdite dell’azienda. Una gara a perdifiato per arrivare per primi a toccare prima i 28, poi i 30, oggi i 34.
In marzo ho visitato un centro genetico in Danimarca che sfiorava la media dei 38: chi offre di più? Ma questa corsa verso l’infinito ci ha posti di fronte ad una realtà tanto dura quanto inconfutabile: non si può crescere per sempre. Anche noi siamo giunti al punto di dover fare i conti con l’idea del limite, nostro e dei nostri animali.
E così siamo passati dall’era della (iper)produttività a quella dell’ottimizzazione, con concetti innovativi come quelli di efficienza, benessere e sostenibilità. “Meno nati, ma più pesanti” è il mantra che sento ripetere quotidianamente girando per le aziende. E in questo modo il vecchio numero di svezzati/scrofa/anno ha lasciato il posto a parametri molto più attuali, come i kg svezzati/scrofa/anno, o ancora meglio i kg venduti/quintale di mangime/anno parlando di efficienza alimentare o i kg venduti/ore di lavoro/anno parlando di lavoro sostenibile. Sì, perché il benessere mica può essere solo quello degli animali! Un cambiamento questo che coinvolge non solo gli allevatori: anche genetisti, veterinari e nutrizionisti rientrano in questo processo evolutivo, per cui non si può più produrre ad ogni costo e senza scrupoli, ma lo si deve fare rispettando normative sempre più stringenti su benessere e riduzione degli antibiotici.
Lo spessore del grasso dorsale (Sgd)
Ecco, nell’epoca dell’ottimizzazione niente può essere lasciato al caso o alla pura impressione visiva: tutto deve essere misurabile e confrontabile per poter essere valutato. “L’essenziale è invisibile agli occhi” diceva la volpe al Piccolo Principe nel libro di Saint-Exupery: verità sacrosanta, anche in suinicoltura. Nell’ottica di avere dei dati obiettivi che ci indichino se stiamo andando nella giusta direzione o se dobbiamo aggiustare il tiro, la misurazione dello spessore del grasso dorsale (Sgd) di scrofe e scrofette è una pratica ormai consolidata, anche se non ancora diffusa in maniera così regolare. Ritengo che uno dei motivi per cui non tutti gli allevatori abbiano introdotto o mantenuto la misurazione dello Sgd tra le loro operazioni di routine in scrofaia sia dato dalla difficoltà di interpretare i risultati ottenuti e di tradurli in azioni pratiche, sia in termini manageriali che nutrizionali. In questo articolo proverò a sintetizzare alcuni punti chiave e le implicazioni nutrizionali nati dalla mia esperienza di campo di misurazione di grasso e muscolo dorsali.
Diversi strumenti, diversi risultati
Innanzitutto, una precisazione: per misurazione dello Sgd non intendo l’utilizzo del Sow Caliper, il calibro che classifica le scrofe in magre, normali e grasse sulla base della loro condizione corporea (Bcs). Per quanto esso rappresenti un bel passo in avanti in termini di ripetitività e riproducibilità dei risultati ottenuti da operatori diversi rispetto alla sola valutazione visiva (Li et al., 2021), questo metodo non dà alcuna informazione su come siano suddivisi gli strati sottocutanei. In altre parole, potremmo classificare come grassa una scrofa che grassa non è, ma che semplicemente presenta un elevato spessore di muscolo dorsale (Smd).
Per ovviare a questo inconveniente, insieme alla valutazione del Bcs sarebbe quantomeno da procedere alla misurazione dello Sgd in P2 (5 cm dalla linea della colonna vertebrale all’altezza dell’ultima costola) con strumenti quali il Renco. La misurazione viene in genere effettuata all’ingresso in sala parto e ripetuta allo svezzamento in modo da poter valutare la variazione di Sgd e di conseguenza la mobilizzazione di riserve corporee durante la lattazione e il loro reintegro durante la gestazione (Farmer et al., 2017). Sarebbe utile inserire anche un punto di misurazione dopo la diagnosi di gravidanza con il fine di costituire dei gruppi più omogenei in box o calibrare meglio la curva per la seconda parte di gestazione per chi riesce a provvedere ad un’alimentazione individuale delle scrofe.
Tuttavia, con l’avvento delle genetiche attuali tendenzialmente magre ed ipermuscolari, lo Sgd ha perso importanza come indice predittore dello stato delle riserve corporee della scrofa a beneficio del tessuto magro. Ecco perché a strumenti quali il Renco è da preferire un ecografo in grado di misurare oltre allo Sgd anche lo Smd. Così facendo sarà il rapporto Smd/Sgd ad essere valutato: a voler sintetizzare, quanto più questo si discosta dal valore ottimale di 3,5, tanto più si renderà necessario sistemare qualcosa nella gestione alimentare della scrofa.
Gestione della scrofetta in accrescimento
Se è vero come è vero che il futuro dell’azienda dipende dalla scrofetta, ne consegue che l’ottimizzazione non può non partire dalla sua gestione. Anche in questo caso l’ecografo ci dà una mano: con minime differenze legate alla genetica, in linea di massima il nostro obiettivo è quello di arrivare alla prima fecondazione con animali di 220-240 giorni di vita, 140-150 kg di peso, uno Sgd di 13-15 mm e uno Smd di 45-50 mm. Una regola semplice da imparare ma abbastanza veritiera per capire se l’accrescimento della scrofetta è in linea con il raggiungimento di questo target è quella di valutare peso e Sgd in base all’età:
- 6 mesi = 110 kg = 11 mm
- 7 mesi = 130 kg = 13 mm
- 8 mesi = 150 kg = 15 mm
Per ottenere questi risultati anche con le genetiche attuali, caratterizzate da alto potenziale di accrescimento muscolare ma scarso deposito di grasso dorsale, è bene cambiare la dieta delle scrofette dai 100 kg di peso in poi passando ad un’alimentazione razionata, mantenendo stabile la densità energetica e riducendo il contenuto di proteina e di lisina disponibile.
Gestione della scrofetta in gravidanza
Anche durante la gravidanza la misurazione dello Sgd è particolarmente importante nelle scrofe nullipare in quanto è correlato alla longevità della scrofa, al suo sviluppo mammario, al potenziale di produzione di latte e quindi al peso della figliata (Farmer et al., 2017). L’obiettivo è quello di arrivare al primo parto con una scrofa di 200 kg di peso vivo ed uno Sgd di 16-17 mm. Occorre tuttavia prestare attenzione a non superare di troppo questi valori, poiché scrofe troppo grasse al primo parto rischiano di incorrere più facilmente in problemi di ingestione alla lattazione con conseguente maggior perdita di peso e peggiori prestazioni nei cicli successivi (Galassi, 2014).
Naturalmente, negli allevamenti che praticano l’autorimonta, è necessario differenziare la dieta e la curva alimentare delle scrofette Gp rispetto alle F1. Mi è capitato non di rado di trovare degli squilibri dovuti alla standardizzazione dell’alimentazione dei due gruppi, che hanno portato in alcuni casi a penalizzare e smagrire le prime, in altri casi a sovralimentare e spingere troppo l’accrescimento muscolare delle seconde.
Gestione della scrofa in gestazione
Come detto, la nutrizione è uno dei fattori chiave per mantenere la nostra scrofa ad alta prolificità in una condizione corporea ideale durante l’intero ciclo riproduttivo, in modo da consentirle di esprimere tutto il potenziale genetico in suo possesso.
In particolare, dopo la fecondazione le scrofe pluripare dovrebbero essere alimentate in base al loro Bcs e al Sgd registrato all’uscita dalla sala parto, in modo che tutte abbiano recuperato condizione corporea, copertura di grasso e peso entro gli 85 giorni di gestazione e che il surplus di alimento fornito nell’ultimo mese possa essere utilizzato per l’accrescimento fetale. Considerando che circa 2 kg di alimento al giorno servono al mantenimento della scrofa, potremmo calcolare una curva alimentare in gestazione dividendo i fabbisogni delle singole scrofe sulla base del loro Sgd per il contenuto di energia e aminoacidi del mangime da gestazione a nostra disposizione (Tabella 2).
L’obiettivo è quello di far arrivare le scrofe al parto con 17-18 mm di Sgd e 55-60 mm di Smd. Obiettivo sfidante per le genetiche magre in nostro possesso, ma non impossibile. Una strategia consigliata da molte case genetiche e che mi sento di avallare è quella di utilizzare due formule da gestazione: una a basso contenuto aminoacidico che favorisca il deposito di grasso dai 7 agli 84 giorni di gestazione e un’altra con più alto rapporto lisina:energia da fornire dagli 85 ai 115 giorni di gestazione. Una duplice dieta così strutturata ha molteplici benefici: alla scrofa fornirà i giusti nutrients, necessari alla deposizione di riserve da mobilitare durante la futura lattazione, limiterà le lesioni alle spalle in sala parto, ne allungherà la carriera produttiva e la manterrà più calma durante tutto il ciclo riproduttivo; ai suinetti garantirà un maggior peso alla nascita e una maggior ingestione di latte; all’allevatore consentirà di non sovralimentare le scrofe inutilmente e di ridurre il costo alimentare annuale.
Gestione della scrofa in lattazione
Per massimizzare la produzione di latte senza causare una perdita eccessiva di Sgd e di Smd, è fondamentale promuovere fin da subito l’ingestione della scrofa (Tabella 4) e fornirle una dieta bilanciata sia in termini di apporto aminoacidico che di energia (8,6 g/kg di lisina Sid e 10,2 MJ/kg di En). Se l’apporto di sostanze nutritive è insufficiente per supportare la sintesi di latte, la scrofa mobiliterà necessariamente i suoi tessuti di riserva. Durante la lattazione è fisiologico che la scrofa perda 3-4 mm di Sgd: allo svezzamento è quindi normale avere degli animali con uno Sgd di 13-15 mm e uno Smd di 45-50 mm. Ovviamente i risultati della misurazione dello SGD e dello SMD allo svezzamento dovrà tenere conto dei risultati produttivi delle scrofe e della durata della lattazione, per cui sarà da giustificare una perdita maggiore negli animali che hanno svezzato figliate più numerose e/o pesanti e in quelli svezzati a 28 giorni rispetto a quelli con uno svezzamento più precoce.
Per chiudere il cerchio, come i frutti di un buon lavoro in gestazione si raccolgono in sala parto, così anche i benefici di una gestione ottimale durante la lattazione si vedranno nella gestazione seguente: più alta è l’ingestione in sala parto, maggiore sarà la produzione di latte, migliori saranno il blocco dell’attività ovarica durante l’allattamento, la futura ovulazione e la venuta in calore dopo lo svezzamento (Farmer et al., 2017). Benvenuti nell’epoca dell’ottimizzazione!
Leggi l’articolo completo sulla Rivista di Suinicoltura 8/2023
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