Da sempre sinonimo di qualità ed italianità, negli ultimi tempi il nome “Prosciutto di Parma” è diventato anche sinonimo di rinnovo. Abbiamo intervistato il Presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma Alessandro Utini per avere qualche dettaglio in più, soprattutto per quanto riguarda i risvolti futuri per gli addetti ai lavori.
Quali sono le prospettive di mercato dei prossimi tempi?
«In questo momento la parola d’ordine per molte aziende del comparto è “sopravvivenza” e mai come ora risulta difficile tracciare un quadro previsionale che ambisca ad essere attendibile.
Il mercato versa attualmente in uno stato di sofferenza generato com’è noto dalla congiuntura economica e dalle dinamiche socio-politiche. I rincari insostenibili sull’energia, la spirale inflattiva mai così aggressiva negli ultimi decenni e i costi delle materie prime determinano un quadro critico su cui è complicato avanzare congetture».
Qual è la motivazione che sta spingendo ad apportare delle modifiche significative sul Disciplinare? Dopo molti anni di “fase conservativa” del vecchio Disciplinare, come mai si è deciso di avviare un percorso di revisione?
«Le modifiche al Disciplinare della Dop, proposte dal Consorzio del Prosciutto di Parma e attualmente in fase di valutazione presso la Commissione europea, rispondono alla comprensibile necessità - sollecitata da tempo a tutti i livelli interprofessionali - di aggiornare il documento produttivo, a circa trent’anni dalla sua stesura: i produttori, di concerto con tutta la filiera, hanno deciso di rivedere le norme che regolano e disciplinano la produzione del Prosciutto di Parma Dop, per continuare a tutelare e valorizzare il prodotto anche in un contesto fisiologicamente mutato».
Prosciutto di Parma e genetica: alla luce delle recenti modifiche del Disciplinare di produzione, quali sono le aspettative del Consorzio? La valorizzazione dell’italianità e della qualità del prodotto?
«Il nuovo Disciplinare al vaglio della Commissione europea persegue tre obiettivi ben identificabili: migliorare la qualità del prodotto, rafforzare la sua identità e unicità rispetto ai concorrenti e consolidare la sua coerenza verso le esigenze del consumatore.
In questa linea si inserisce necessariamente l’intervento sulla genetica, che ha l’obiettivo di rafforzare il legame con il territorio e l’attributo di italianità del nostro prodotto, in un’ottica di tutela della sua riconosciuta distintività qualitativa».
Qual è la vostra opinione sull’influenza che le modifiche in discussione sulla genetica avranno sul settore produttivo sia dal punto di vista numerico che qualitativo?
«L’attività che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha messo in campo dal 2019 ad oggi nell’ambito della genetica si colloca nel medesimo solco delle modifiche al Disciplinare proposte dal Consorzio, che in tale contesto hanno lo scopo di definire tipi genetici rispondenti ai criteri di produzione del suino pesante, attraverso la creazione di una lista positiva. Siamo sicuri che queste iniziative avranno risvolti qualitativamente rilevanti. Da un punto di vista quantitativo, osserviamo con soddisfazione che il settore dell’allevamento si sta progressivamente allineando alle prescrizioni ministeriali, mosso dall’interesse condiviso per la qualità del prodotto: ci risulta infatti che le principali case genetiche stiano adattando le proprie linee genetiche per rispondere a queste nuove esigenze di caratterizzazione del suino pesante per le Dop.
Una parte dei produttori suinicoli teme che una possibile ripercussione del nuovo Disciplinare possa essere un aumento dei costi produttivi della fase primaria. Cosa rispondere per tranquillizzare questi timori?
«Parlare di costi produttivi della fase primaria sposta inevitabilmente l’asse della questione su un cumulo di problematiche esenti dagli influssi diretti del nuovo Disciplinare e invece conseguenti alla drammatica situazione socio-politica contemporanea: le spese produttive che il sistema oggi è chiamato a fronteggiare e che catalizzano l’attenzione dei produttori dell’intera filiera risentono in modo pesante della crisi energetica e del massiccio rincaro delle materie prime (su tutte, quelle necessarie alla produzione dei mangimi), variabili naturalmente slegate dalla nostra attività».
Prevedete che il consumatore possa essere disposto in futuro a riconoscere gli eventuali sforzi produttivi che un allevamento più selezionato può comportare?
«L’obiettivo che perseguiamo da sempre è ottenere un Prosciutto di Parma di qualità, che il consumatore continui ad apprezzare per la sua indiscussa unicità.
In questa direzione si muovono le modifiche proposte, che richiederanno sforzi a tutti gli anelli della catena produttiva (allevatori, macellatori e produttori), in nome del mantenimento di un livello qualitativo che da sempre muove le decisioni d’acquisto di chi sceglie la nostra Dop».
Gli allevatori che ad oggi producono con una genetica che non rientrerà nella lista delle genetiche ammesse, come dovranno comportarsi? Avranno il tempo per adeguarsi, considerati i tempi biologici degli animali in produzione?
«In considerazione dei tempi biologici necessari per i cicli riproduttivi e per l’allevamento del suino pesante, il Ministero ha garantito un periodo transitorio di 12 mesi per l’utilizzo di verri e di 36 mesi per scrofe derivanti da genetiche non idonee, durante il quale gli allevatori dovranno operare il passaggio verso linee genetiche iscritte nella “lista positiva”».
E gli allevatori che ad oggi producono utilizzando una genetica al momento non presente né nella lista delle genetiche ammesse né in quella delle rifiutate, come dovranno comportarsi?
«I decreti ministeriali relativi alla definizione dei tipi genetici ammessi nel circuito Dop regolamentano in dettaglio tutte le caratteristiche accettate e questo aspetto non ha nulla a che vedere con le modifiche al Disciplinare proposte dal Consorzio».