Aspa, qualità della carne suina e tecniche di produzione

Il quarto pilastro della giornata di studio si è incentrato sulle attuali problematiche ed esigenze di ricerca riguardanti il sistema produttivo suinicolo e il suo rapporto coi consumatori

L’ultimo pilastro affrontato durante la giornata di studio organizzata dall’Aspa (Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali) il 29 aprile 2022 presso l’Università di Bologna ha riguardato le problematiche e le necessità di implementare la ricerca nelle tecniche di produzione e qualità della carne suina. La relazione è stata presentata dal Professor Gianni Battacone dell’Università di Sassari, a nome dei colleghi Luca Sardi e Leonardo Nanni Costa (Università di Bologna), Andrea Serra (Università di Pisa), Domenico Lo Fiego (Università di Modena e Reggio Emilia), Luigi Gallo (Università di Padova), Carlo Corino (Università di Milano) e Carolina Pugliese (Università di Firenze). Quanto pesa a livello globale il consumo di carne suina? Molto. In Europa e Asia è la prima per quantità di consumi, a livello globale è superata solo dalla carne di pollame. Come viene consumata in Europa? Soprattutto sotto forma di trasformati: nel 55-60% dei casi in Italia e a salire di 5 punti percentuali in Spagna, Germania, Francia, fino all’80% di prodotti trasformati nel Regno Unito (Lécuyer e Legendre, 2015).

Il consumatore sembra apprezzare la carne suina, ma come definisce la qualità del prodotto? La qualità di un prodotto agroalimentare viene definita dalla norma UNI EN ISO 8402 (1995) come “la capacità di soddisfare le esigenze del cliente che usufruisce di un prodotto o servizio”. Tuttavia, questo concetto si presta a diverse interpretazioni e la qualità di un prodotto può essere oggettiva, ovvero dipendente dall’alimento stesso (valore commerciale della carcassa, proprietà organolettiche e nutrizionali) oppure soggettiva, legata ai gusti del consumatore, alle aspettative e all’immagine sociale. L’Italia è di gran lunga il primo paese europeo per prodotti a Denominazione d’Origine Protetta (Dop) e Indicazione Geografica Protetta (Igp), a conferma dei grandi investimenti nella qualità dei prodotti, ma anche di un forte legame delle nostre eccellenze con i territori d’origine. Nel 2020, in Italia sono stati macellati 10.607.632 suini, il 77% dei quali è entrato nel circuito certificato Dop. Tuttavia le linee di produzione che raggiungono le tavole dei consumatori possono arrivare dai sopracitati circuiti Dop e Igp, ma anche da un circuito nazionale non tutelato o addirittura da un circuito europeo non tutelato. La domanda è proprio questa: qual è la percezione del consumatore rispetto a prodotti derivanti da diversi circuiti più o meno tutelati?

Professor Battacone, nel suo intervento ha parlato di problemi di comunicazione dei processi che dall’allevamento portano in tavola i prodotti alimentari. A cosa si riferisce?

«Facciamo un passo indietro. Tutte le stalle, le aziende agricole e zootecniche in generale, sono funzionali all’allevamento; quindi, sono state progettate per ospitare gli animali e per garantire all’allevatore di poter svolgere al meglio il proprio compito. Nessuno ha mai pensato che una porcilaia sarebbe potuta diventare di interesse per i “non addetti ai lavori”. Eppure, e qui ci spostiamo ai nostri giorni, ormai la maggior parte delle persone vive nelle città, lontano da dove si allevano gli animali e quindi non ha una conoscenza diretta di come si produce il cibo che arriva alle tavole. Quello che cent’anni fa era normale – si alleva un animale e lo si macella per nutrirsi – ora è diventato inaccettabile. Quindi, quello che è importante fare ora è prendere atto della distanza che si è venuta a creare e in tutte le occasioni possibili trasmettere al consumatore apertura al dialogo, conoscenza e trasparenza».

In che modo è possibile fare questo?

«Innanzitutto è anacronistico progettare le stalle come scatole chiuse: nel rispetto della biosicurezza, le aziende suinicole (e mi azzardo a dire anche gli impianti di macellazione) dovrebbero avere dei percorsi esterni in cui sia data la possibilità alle persone di vedere cosa accade all’interno. Gli allevatori devono arrivare a un punto di consapevolezza del loro lavoro in cui non hanno bisogno di nascondere niente, non devono temere l’arrivo di estranei perché l’obiettivo deve essere quello di allevare bene e di informare adeguatamente il consumatore di quali sono le pratiche di allevamento».

È un bel lavoro in più quello di informare i consumatori.

«Sì, e spesso, giustamente, gli allevatori sono già fin troppo oberati da altre attività che non hanno tempo per ulteriori incombenze. Un esempio da seguire però lo danno le aziende agrituristiche che sono pensate per permettere al consumatore di vedere gli animali. Sono altri numeri e forse la differenza la fa che il proprietario dell’agriturismo investe il suo tempo nella visita all’allevamento perché sa che questa si può tradurre in una sosta a pranzo, ma in ogni caso questo ci dimostra che è possibile essere trasparenti anche nelle pratiche allevatoriali».

Sembra che negli ultimi anni anche il valore nutrizionale della carne sia stato messo in discussione almeno in alcune parti del mondo, è così?

«È così, sembra che non si riconosca più il valore, anche nutraceutico, della carne, soprattutto per quelle fasce di popolazione più a rischio, penso ai bambini molto piccoli e agli anziani. L’essere umano è onnivoro e ha bisogno di vitamina B12, per esempio, per un corretto sviluppo. Chiaramente un adulto può fare scelte diverse e vivere ugualmente bene compensando in altra maniera, ma questo non può funzionare per alcune categorie. E anche in questo caso, la comunicazione dovrebbe essere chiara ed efficace, spiegando i rischi e gli effetti di una dieta carente di proteine animali. Sono anche consapevole di alcuni eccessi nel consumo di carne: l’essere umano non è nemmeno un carnivoro stretto, ma questo non giustifica che la carne sia ormai diventata superflua nella dieta di alcune persone perché non esiste un fondamento per cui lo sia».

Il consumatore ha tante preoccupazioni relativamente alla carne. Per esempio, cosa pensa che succederà ai nostri prodotti Dop se la castrazione chirurgica entrerà nel mirino dell’opinione pubblica?

«Se la castrazione chirurgica entrerà nel mirino è perché stiamo facendo un errore: la castrazione chirurgica si può fare a patto di usare anestesia e analgesia. È sbagliato continuare a pensare che “si è sempre fatto così” perché un tempo si facevano anche cose inaccettabili. È ragionevole pensare che questo possa aumentare i costi per l’allevatore a causa dell’intervento del veterinario, ma non posso pensare che questo scoraggi l’allevatore dal continuare a fare impresa».

Quindi le alternative alla castrazione, penso all’immunocastrazione, non sono il futuro?

«Non mi sembra sia necessario andare lontano nella ricerca di complicate alternative. Bisogna, invece, insistere per la strada più semplice chiedendo e supportando l’utilizzo dell’anestesia e dell’analgesia, anche perché altri Paesi europei stanno facendo scelte che un giorno potrebbero mettere in difficoltà il nostro sistema di allevamento. Per quanto riguarda l’immunocastrazione, oltre agli aspetti più pratici, si presenta nuovamente un problema di comunicazione. So per esperienza diretta, che spiegare il concetto di immunocastrazione superando scetticismi e confusione sull’uso di ormoni o vaccini, è difficile. Allora perché non proseguire per la strada della castrazione chirurgica con l’obbligo di anestesia e analgesia? È accettata per cani e gatti, perché non dovrebbe esserlo per il suinetto?»

La tracciabilità dei prodotti a base di carne suina è ancora limitata. Quali soluzioni si potrebbero mettere in atto per un processo più trasparente nei confronti del consumatore?

«Il sistema allo stato attuale presenta alcuni aspetti che possono essere migliorati. Abbiamo una buona tracciabilità di prodotto quando il processo è quello della trasformazione. Tuttavia, rimane ancora da valorizzare il vantaggio della tracciabilità per le parti della mezzena che non entrano nei percorsi definiti dai disciplinari della trasformazione di salumeria. Cosa succederebbe se avessimo la carne suina Dop? Cioè, solo per fare un esempio, la tracciabilità potrebbe essere un elemento utile per accompagnare il consumo anche delle carni suine che non entrano nelle produzioni a denominazione di origine? Probabilmente tutto il sistema ne avrebbe un beneficio perché sarebbe nell’interesse di tutti dare valore all’intera filiera e non solo al prodotto finale di maggior valore».

Biografia di Gianni Battacone

Gianni Battacone

Gianni Battacone è professore associato di Zootecnia speciale all’Università di Sassari dove insegna produzioni zootecniche, suinicoltura e sistemi zootecnici e gestione faunistica. È autore di oltre 120 pubblicazioni scientifiche e tecniche riguardanti le relazioni fra alimentazione e qualità della carne, le prestazioni produttive e le caratteristiche delle carni dei suini di razza Sarda, oltre a diversi lavori sulla composizione del latte di ovini e caprini.

Aspa, qualità della carne suina e tecniche di produzione - Ultima modifica: 2022-10-27T10:05:44+02:00 da K4

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