L’utilizzo della tecnologia negli allevamenti non è una novità. Da anni sensori e telecamere sono ampiamente utilizzati per regolare la temperatura e controllare gli ambienti, l’alimentazione è spesso distribuita automaticamente e i computer registrano moltissimi dati che gli allevatori possono utilizzare per migliorare la gestione aziendale. Il campo di applicazione delle tecnologie è potenzialmente infinito, anche se non tutte sono economicamente sostenibili, per cui è possibile che la ricerca proponga delle soluzioni che non trovano spazio commerciale.
Fatta questa premessa, vi presento alcune novità di questo ultimo anno, chissà che prima o poi non entrino nella routine delle porcilaie.
DigiPig, per riconoscere in automatico corpo, coda e testa
Il modo in cui i suini si comportano e non semplicemente quale attività stanno compiendo fornisce informazioni approfondite riguardo gli stati affettivi degli animali, le loro emozioni e di conseguenza il livello di benessere. Le osservazioni comportamentali, dalle più semplici (per esempio, annotare per quanto tempo gli animali sono impegnati in attività basilari come alimentarsi o riposare) alle più complesse (posture specifiche, interazioni tra conspecifici) sono molto laboriose, perché devono essere condotte direttamente da osservatori in campo oppure registrate e successivamente analizzate. Possono essere adatte alla ricerca, ma sicuramente non sono accettabili come strumento operativo per l’allevatore.
Da anni si studiano sistemi automatizzati (telecamere 2d, 3d, sensori collegati a sistemi di apprendimento automatizzato) per raccogliere le informazioni necessarie a comprendere lo stato di benessere di gruppi di animali o addirittura del singolo individuo. Le difficoltà maggiori che si riscontrano nell’uso di questi sistemi sono rappresentate dal fatto che le telecamere faticano a distinguere i dettagli dei suini, soprattutto perché si tratta di animali altamente sociali, i quali mantengono una bassa distanza intraspecifica. Di conseguenza, i sistemi automatizzati difficilmente riescono a distinguere i soggetti l’uno dall’altro. Un’altra difficoltà risiede nel posizionamento della telecamera: per poter vedere il muso dell’animale è necessario orientare la telecamera secondo una certa angolazione, ma non è detto che questo sia possibile in ogni porcilaia. Un team di ricercatori provenienti da Norvegia, Slovenia e Paesi Bassi si è reso conto che per ottenere delle informazioni rilevanti per il benessere del suino è sufficiente una tecnologia in grado di distinguere un animale dall’altro (analizzando la forma del corpo), le orecchie (invece di tutta la testa) e la coda (Ocepek et al., 2022).
Questo approccio semplifica l’installazione delle telecamere, che devono essere semplicemente posizionate sopra alla basta. Inoltre, nell’allevamento intensivo una delle problematiche principali è proprio quella del cannibalismo delle orecchie e della coda, quindi individuare quelle parti del corpo ha uno scopo preventivo anche nei confronti di lesioni e infezioni e non solo per interpretare le emozioni. La posizione della coda, per esempio, si associa ad uno stato emotivo negativo quando è tenuta dritta verso il basso e da neutrale a positivo quando è arricciata sopra la schiena. È stato però anche osservato che la coda dritta rivolta verso il basso è un segnale prodromico dell’inizio di cannibalismo della coda. Una telecamera in grado di identificare le posture e anche un’eventuale morsicatura può prevenire il diffondersi del cannibalismo, permettendo all’allevatore di isolare l’animale morsicatore. Ovviamente, questo strumento è utile se la coda non viene tagliata, perché la mutilazione riduce le capacità espressive del suino.
Nella prima parte del loro lavoro, i ricercatori hanno cercato di riconoscere i singoli suini mentre erano in gruppo e se questi erano in stazione o sdraiati. Inoltre, hanno cercato di identificare alcune parti del corpo (testa/orecchie e coda). Questo primo esperimento è stato condotto usando gli algoritmi di machine learning e il feature pyramid network. Quest’ultima tecnica permette il riconoscimento di oggetti sfruttando la combinazione di diverse feature (parti di immagini), da quelle a più bassa risoluzione, ma con elevato valore semantico, fino a quelle a più alta risoluzione, per ottenere un’immagine definita dell’oggetto. Il modello è stato in grado di distinguere i singoli suini con una precisione del 96%, mentre la coda è stata riconosciuta con una precisione del 77% e la testa del 66%. Questi livelli sono confrontabili con quelli del riconoscimento umano, ma possono essere migliorati. Nel secondo esperimento, gli autori si sono concentrati sulla differenziazione della posizione della coda utilizzando le reti neurali (YOLOv4). Quest’ultimo modello ha permesso di migliorare la precisione nell’identificazione di code arricciate e dritte fino al 90%, anche durante le fasi di attività dei suini che sono quelle più a rischio di insorgenza di cannibalismo.
Che cosa si aspettano gli autori per il prossimo futuro? Per prima cosa di allenare l’algoritmo in modo da migliorare ancor più le prestazioni e la precisione nel riconoscimento degli animali e di alcuni dettagli. Questa stessa tecnologia può essere estesa anche ad altre osservazioni comportamentali, rendendo la valutazione del benessere dei suini più completa e soprattutto disponibile in autonomia anche per gli allevatori.
Tour virtuali in allevamento
La prestigiosa rivista PlosOne ha pubblicato, a gennaio 2022, un articolo scritto da tre ricercatori tedeschi che assomiglia ad una provocazione, ma che invece potrebbe essere un modo rivoluzionario per aumentare la trasparenza degli allevamenti (Schütz et al., 2022). Gli autori partono da un concetto ormai chiaro: i cittadini (soprattutto quelli che vivono nelle aree urbane) vogliono saperne di più sulle condizioni di vita e di benessere degli animali. Ma come fare per avvicinare le persone, senza compromettere la sicurezza sanitaria dell’allevamento? I tour di persona non sono la risposta giusta, ancora di più in un periodo di Peste suina e altre patologie che possono essere trasmesse da e agli animali. Foto e immagini di allevamenti si sono rivelati controproducenti anche se con testo integrativo, perché non permettono al cittadino di capire il contesto, sono statiche e lasciano aperti molti quesiti.
Quindi qual è la proposta dei ricercatori tedeschi?
Sfruttare la realtà virtuale per “entrare” in allevamento. La realtà virtuale è già ampiamente utilizzata con diversi obiettivi nel turismo, in medicina, nell’industria e nell’istruzione. Il vantaggio della realtà virtuale è quella di offrire allo spettatore un’esperienza immersiva e interattiva. Per immersiva si intende il livello di sollecitazione sensoriale che un sistema offre; per interattiva l’impatto che lo spettatore può avere sul contenuto che sta osservando. Il massimo dell’immersione possibile avviene utilizzando i visori da indossare. La realtà virtuale, nei contesti in cui viene utilizzata, aumenta il ricordo della situazione, perché agisce attivamente sulla memoria e non passivamente, come accade quando semplicemente si sfogliano delle immagini su uno schermo. In Germania l’utilizzo della realtà virtuale è stato già testato in un paio di occasioni riguardanti il mondo zootecnico: un’applicazione interessante è quella di un supermercato di Colonia, che nel punto vendita mette a disposizione dei clienti i visori per osservare le condizioni di allevamento degli animali la cui carne verrà acquistata dal consumatore nello stesso negozio.
Nella ricerca che vi racconto, dopo essere “entrati” in un allevamento convenzionale, i partecipanti sono stati intervistati dai ricercatori e hanno espresso le proprie criticità circa la mancanza di spazi agli animali e di accesso ad aree esterne più naturali, ma allo stesso tempo si sono mostrati stupiti dalla pulizia, giudicando alla fine la porcilaia come abbastanza buona, ma non sufficiente per garantire elevati standard di benessere. Bisogna comunque considerare un effetto di distorsione degli spazi, che è un limite della realtà virtuale e che potrebbe aver accentuato la percezione di sovraffollamento del box.
I partecipanti hanno sottolineato il potenziale dello strumento per aumentare trasparenza e conoscenza degli allevamenti, ma tutti sono rimasti spaesati dalla mancanza di ulteriori informazioni, anche testuali. Per i cittadini non abituati agli allevamenti, l’incertezza di non capire cosa stiano osservando ha un effetto negativo durante la visita dell’azienda. Ad esempio, anche la presenza di arricchimenti ambientali, se non adeguatamente spiegata, può non essere compresa dal cittadino, innescando un meccanismo di sospetto nei confronti della scena osservata.
In ultimo, nei casi in cui l’allevatore “ci mette la faccia” spiegando alcune procedure o dinamiche dell’allevamento, i cittadini valutano positivamente l’esperienza perché ne colgono la trasparenza e non un semplice strumento di marketing.
La domanda quindi è: gli allevatori sono pronti ad aprire le webcam delle proprie aziende e offrire ai consumatori la trasparenza che chiedono?