I prezzi poco remunerativi dei suini pesanti pronti per il macello, le incertezze sul sistema di qualità nazionale per il benessere animale, il rincaro delle materie prime e l’incognita sull’etichettatura volontaria fronte pacco. Senza contare la minaccia della Peste suina africana che potrebbe arrivare dalla Germania e gli effetti della pandemia da Covid-19. Un quadro di settore complesso per questioni vecchie e nuove quello descritto da Rudy Milani (con un’azienda suinicola a ciclo chiuso di 440 scrofe), 43
anni, trevigiano di Zero Branco e nuovo presidente della Federazione nazionale suini di
Confagricoltura.
Cominciamo dalla questione dei prezzi
Nelle ultime tre settimane i prezzi dei suini da 160-176 kg, quelli del circuito tutelato, sono rimasti stabili – afferma Milani -. Lo scorso 25 marzo il valore del capo pronto per
il macello si è attestato, ad esempio, a 1,41 euro al chilogrammo.
Le quotazioni dei suinetti sono invece aumentate in modo piuttosto significativo.
I rapporti con i macelli, tuttavia, restano tesi perché faticano a rifarsi a loro volta dei prezzi pagati agli allevatori. È altrettanto vero che anche i produttori di suini, alle prese con continui rincari delle materie prime per l’alimentazione, continuano a lavorare sottocosto. La situazione di mercato del settore suinicolo e della filiera intera resta, quindi, difficile.
E la Cun sta funzionando?
I prezzi delle ultime tre settimane - risponde il neopresidente - sono stati rilevati dalla
parte agricola assieme al garante della Borsa merci telematica senza la partecipazione dai macelli che, pur contestando le quotazioni, hanno continuato a pagare il prezzo formulato.
Quali sono le conseguenze della pandemia sul comparto?
L’azzeramento del turismo, la ristorazione chiusa, le feste di paese sigillate, in un quadro di consumi sostanzialmente stagnante, ha avuto dei riflessi disastrosi sulla redditività delle aziende che rappresento.
È difficile stimare le perdite – sottolinea Milani -, ma all’inizio del lockdown, con il blocco di alcuni macelli a causa della pandemia, eravamo arrivati a vendere i maiali a 1,10 euro al chilogrammo. La situazione successivamente è migliorata, ma la filiera in questo periodo di restrizioni è stata fortemente penalizzata.
E sulla Peste suina africana?
Vista la diffusione della malattia in Germania a partire da settembre 2020 c’è la possibilità, per nulla remota, che si presentino dei focolai di Psa sul territorio nazionale. Esiste infatti un rischio molto alto per l’elevata la trasmissibilità del virus attraverso i cinghiali selvatici. La fauna selvatica è sempre più numerosa ed è inequivocabilmente
fuori controllo, quindi questo rappresenta un altro grande problema che va gestito in modo corretto.
L’arrivo in Italia della Psa, pur non pericolosa per l’uomo, provocherebbe danni all’intera filiera per miliardi di euro.
Quali sono le sfide da affrontare?
La suinicoltura nazionale deve fare leva sui propri punti di forza – afferma Milani -. L’allevamento del suino in Italia garantisce la tracciabilità, la salubrità e la sicurezza della produzione. Ad esempio è stato ridotto l’uso degli antibiotici per combattere l’antibiotico-resistenza.
Il nostro settore ha fatto grandi progressi anche sul benessere degli animali anche se indubbiamente ci sarebbero ancora alcuni aspetti da migliorare.
È importante anche mettere in risalto l’altissimo livello di qualità del prodotto nazionale.
I produttori dovrebbero essere in grado di soddisfare le richieste dei consumatori anche sui sistemi di allevamento e sulle caratteristiche nutrizionali.
Al consumatore chiediamo di non farsi trarre in inganno da servizi scandalistici e trasmissioni montate ad arte con l’unico scopo di gettare discredito su una categoria di imprenditori di cui, in un mondo normale, dovrebbero invece andare fieri.
Sull’etichettatura volontaria fronte pacco?
Merita una riflessione particolare anche la comunicazione al consumatore sulle proprietà nutrizionali dei prodotti a base di carne suina. La proposta di un’etichettatura fronte pacco, come il Nutriscore fornisce al consumatore un’unica informazione.
Occorrerebbe invece far capire che ogni alimento, consumato nella giusta proporzione e frequenza, può e deve far parte di una dieta bilanciata.
Così come è pure importante proseguire sul percorso della etichettatura di origine delle
carni suine che evidenzia in modo chiaro ciò che è nato, allevato e macellato in Italia.
Tra distinguo e deroghe siamo appena partiti e rischiamo che, a fine anno, non ci siano più obblighi. Le carni fresche del suino pesante italiano devono essere identificate e differenziate da quelle di importazione, per valorizzarle in modo adeguato.
Altre questioni in sospeso?
Un altro nodo da sciogliere riguarda il Sistema di qualità nazionale per il benessere animale presentato ufficialmente lo scorso febbraio dai ministeri della Salute e delle Politiche agricole, alimentari e forestali.
La certificazione è volontaria sulla carta, ma diventerà obbligatoria nei fatti: se verrà fatto percepire al consumatore che chi non aderisce non si preoccupa del benessere degli animali ci dovremo obbligatoriamente adeguare.
Gli allevatori – continua Milani - si troveranno quindi a sostenere un aggravio di costi senza poter contare, al momento, su alcun riconoscimento certo.
Oggi l’allevamento del suino garantisce la tracciabilità, la salubrità e la sicurezza della
produzione, e ha fatto grandi progressi anche per il benessere degli animali, sia in allevamento che durante il trasporto e la macellazione.
Vorremmo, comunque, che la certificazione sul benessere animale da comunicare al consumatore fosse unica e non venisse declinata in modo diverso a seconda della catena distributiva.