La forma massima del caos prende vita giovedì 1° luglio, in Borsa merci a Mantova, storica piazza per la quotazione dei suini grassi da macello, che infatti ospita la sede della Commissione unica nazionale. Quella Cun che dovrebbe rilevare i prezzi del mercato, ma che quel giorno innesca un tilt prolungato.
La storia, fra gli addetti ai lavori, è nota. I rappresentanti dei macellatori decidono quel giorno di ritirarsi e di non partecipare alla discussione per la formulazione del prezzo dei suini grassi da macello. Il prezzo viene fissato dai garanti degli allevatori e del Ministero, in assenza dei macellatori. Poco importa che il prezzo deciso, per non inasprire ulteriormente i rapporti, venga fissato a 1,56 €/kg, formalmente invariato rispetto alla settimana precedente. Una mano tesa.
Le aspettative degli allevatori erano infatti ben diverse, con macellazioni in fase discendente (-5,68% rispetto alla settimana precedente), la tendenza di una diminuzione dei ristalli e dunque la proiezione di immettere sul mercato una quantità di prodotto inferiore, mentre i costi di produzione continuavano a premere sui bilanci.
La settimana seguente, il prezzo in Cun - deciso sempre dai garanti degli allevatori e dal garante del ministero – diminuiva a 1,53 €/kg, con la differenza, spiega Thomas Ronconi, presidente di Anas, «che la rilevazione dell’8 luglio gli industriali l’hanno riconosciuta, mentre quella della settimana precedente, no».
È da interpretare come un passo in avanti? Difficile rispondere. «Per ora siamo al muro contro muro – prosegue Ronconi – anche se siamo disponibili ad avviare un dialogo costruttivo fra le parti».
La risposta del comparto agricolo
Il mondo agricolo si è ritrovato compatto. Per Coldiretti Mantova «il ritiro dei rappresentanti dei macellatori dalla Cun è un oltraggio nei confronti degli allevatori, che avrà ripercussioni sulla filiera e sul futuro di produzioni tipiche come i prosciutti Dop e i grandi salumi a denominazione d’origine».
Confagricoltura ricorda che «la Cun è stata costituita con lo scopo di avere delle quotazioni tutte le settimane; nonostante questo, in un’ottica di fattiva collaborazione al fine di favorire il dialogo, è venuta incontro alla richiesta della parte acquirente in merito alla possibilità, in determinate circostanze, di non procedersi alla definizione del prezzo con il cosiddetto “non formulato”».
«Viste le aperture che ha concesso parte agricola, appare spontaneo chiedersi quali siano le vere ragioni di tale protesta e che queste vengano palesate quanto prima, in modo tale che si possa riaprire un dialogo costruttivo per trovare un compromesso che garantisca una soluzione stabile e duratura per la regolare e continua indicazione dei prezzi di mercato, nell'interesse di tutta la filiera», afferma il presidente della Federazione nazionale di prodotto allevamenti suini di Confagricoltura, Rudy Milani.
Tenuto conto del peso della filiera suinicola e della grande salumeria Dop, che vale 20 miliardi di fatturato e 100mila posti di lavoro, nell’agone dialettico è entrato anche il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini. «È inaccettabile la speculazione in atto sui prezzi dei suini riconosciuti agli allevatori italiani che non coprono neanche i costi di produzione in forte crescita – specifica Prandini -. Al ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli e a quello dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti chiediamo al più presto di convocare un tavolo di filiera per rilanciare il settore e tutelare il reddito dei nostri produttori».
Assica: non ci sentiamo rappresentati
La spiegazione della parte industriale non si è fatta attendere ed è stata affidata a un comunicato ufficiale di Assica, l’associazione di rappresentanza dell’industria delle carni suine. «Abbiamo sottolineato in più di un’occasione, soprattutto a partire dallo scorso mese di marzo 2021, che l’attuale meccanismo di formulazione dei prezzi nella Cun suini da macello non è più in grado di rappresentare correttamente un mercato che evolve rapidamente, con previsioni incerte sui consumi e con andamenti fortemente condizionati dalle dinamiche commerciali dei diversi mercati di sbocco, oggi più che mai fortemente differenziate fra loro – replica Fausto Bolognesi, presidente del gruppo Macellazione del bestiame di Assica -. Riteniamo che la funzione della Cun, che come noto ha il compito di fornire indicazioni sui prezzi per la settimana successiva, sia assicurata allorquando vi sia condivisione tra gli operatori sulla visione del mercato; qualsiasi intervento esterno, volto a fissare valori che saranno poi utilizzati quali riferimenti per gli accordi di compravendita, esce dagli scopi fondanti delle Commissioni uniche nazionali».
Assica rivendica la possibilità di poter concludere i lavori della riunione con esito “non formulato”, qualora non vi sia l’accordo tra le parti.
Canali (Crefis): senza accordo depositare i contratti coi numeri reali
«Gli attriti che si sono verificati a inizio luglio si verificano puntuali a distanza di mesi e sono il segno di una relativa impreparazione della filiera a lavorare in modo un po’ più moderno. Non è che le indicazioni di mercato manchino o che non si conoscano gli andamenti dei mercati esteri e nazionale, ma puntualmente e periodicamente si arriva a questo punto di non dialogo». L’analisi in controluce di Gabriele Canali, economista agrario dell’Università cattolica e direttore del Crefis, non manca di evidenziare una verità di fondo inconfutabile: «Le due parti, acquirenti e venditori, non possono fare a meno l’una dell’altra. I suinicoltori continueranno a vendere, i macellatori a comprare».
Che cosa fare, a questo punto?
«Bisogna partire dal fatto che la compravendita dei suini è reale, non è scomparsa. Per cui o le parti rappresentate si chiudono in una stanza e trovano il prezzo oppure devono essere messi in trasparenza i contratti, tutelando la privacy, certamente, ma depositando i contratti, dai quali si evincono i numeri veri degli scambi».
La decisione degli industriali di non partecipare ai lavori della Cun come la giudica?
«Da un lato è un atteggiamento comprensibile, perché esprime un disagio, ma dall’altro dobbiamo anche riconoscere che non sono reazioni particolarmente costruttive, perché innescano tensioni».
Che soluzione suggerisce?
«La questione non è da tavoli di filiera, ma economica e non si deve scivolare su una dimensione politica o istituzionale. I prezzi vengono fatti su tutte le borse merci e, nel caso specifico, si tratta di definire il prezzo al quale si comprando e si vendono gli animali. Il problema nasce nel momento in cui la Cun ha un meccanismo che prevede di sgusciare dalla definizione del prezzo o di non accettarlo. Il mercato esprime un punto di equilibrio e media fra domanda, offerta, tensioni, per cui la soluzione deve essere trovata sul meccanismo, non esprimendo ciascuno le proprie visioni in un tavolo di filiera con miriadi di soggetti. Servono idee concrete. Per cui, ripeto, si obblighino tutti i soggetti a mettere in trasparenza le compravendite, comunicando a un soggetto terzo che registra i contratti. Avviene anche nell’OI del pomodoro da industria».
Il Crefis potrebbe fare da garante, super-visore, depositario dei contratti?
«Non sta a me auto-candidare di fatto il Crefis. Sicuramente come soggetto terzo, indipendente e universitario potremmo strutturarci per fare un servizio del tipo, garantendo naturalmente la privacy. Se richiesto, saremmo disponibili, naturalmente».