Come sta andando la suinicoltura italiana rispetto a quella europea? Gli aspetti virtuosi che possiamo prendere a esempio e provare in qualche modo a fare nostri sono essenzialmente tre: «aggregazione, efficienza tecnica, specializzazione». Lo afferma Lorenzo Fontanesi, presidente di Unapros, l’associazione che riunisce Opas, Assocom, Asser, Aps Piemonte e Suinmarche.
Spiega Fontanesi: «Come sta accadendo nel nostro Paese, anche la suinicoltura europea sta vivendo un momento in cui l’andamento del mercato risulta debole, con una domanda scarsa. Questo è dovuto sia alla crisi generale, sia alla situazione di embargo imposta da parte della Russia. Ad aggravare il momento di difficoltà, in particolare, è anche l’aumento della produzione. Che era stata preannunciata nel 2014 e poi confermata nel 2015. Ad avvantaggiarsene, soprattutto il fronte speculativo. Ma i risultati non sono stati come ci si aspettava, perché l’attesa era quella di un aumento parallelo dei consumi, cosa che non si è invece verificata. Dunque, ne è conseguita una diminuzione dei prezzi, che in Italia è stata tra il 7% e l’8%, e che in altri Paesi è stata anche maggiore».
La Spagna sostenuta dalla politica
Si conferma comunque il gap di sempre tra il prezzo del suino europeo e il prezzo del suino nazionale ovvero del suino pesante. E proprio in Europa esistono diverse realtà che hanno qualcosa da insegnare, perlomeno dal punto di vista dell’innovazione e dell’intraprendenza del comparto.
Spiega nel dettaglio il presidente di Unapros: «Quello a cui abbiamo assistito è una buona reazione da parte della Spagna, che ha mostrato un forte spirito di intraprendenza nell’aprirsi mercati nuovi. Come? Con un’attività di sistema importante. Lì, infatti, la filiera è decisamente più organizzata, compatta, così come la politica ha una presenza decisa ed è in grado di dare esempi chiari e concreti. Due punti, questi, che rivelano una considerevole differenza tra Spagna e Italia, dove invece la compattezza della filiera rimane sulla carta, mentre nella realtà è molto frammentata, aiutata poco dalla politica soprattutto nel fare passi in avanti».
Aggregazioni forti in Francia
Sebbene sia la Spagna, a detta di Fontanesi, il Paese che in quest’ultimo anno nel panorama europeo si è mosso meglio, non è da meno la Francia, soprattutto nella regione della Bretagna. «Qui, ad avere gioco forte è soprattutto il fattore dell’aggregazione. Nella fattispecie, sono le cooperative che sono in grado di aggregare la filiera con le attività di mangimistica, allevamento e macellazione per dare maggiore efficienza e per ottimizzare i costi».
Sempre in Bretagna oltre a questo aspetto favorevole, Fontanesi ricorda il sistema di quotazione dei suini su base d’asta. È del 1972 la creazione dell’«Asta del suino della Bretagna» allo scopo di riunire gli acquirenti e i venditori, garantire un prezzo di mercato trasparente consentendo all’offerta e alla domanda di giocare il loro ruolo, definire gli standard di mercato (termini di pagamento, clausole commerciali), assicurare una giusta concorrenza tra gli acquirenti. Come funziona l’asta? Prima di iniziarla, ai partecipanti vengono fornite molte informazioni di mercato (dai principali prezzi e tendenze in Europa al livello dell’offerta locale, all’attività di tutti i macelli nei giorni o nella settimana precedente). Tutti gli operatori sono collegati al sistema di asta centrale, alcuni direttamente dal loro ufficio. Alla fine della sessione, viene pubblicato un prezzo medio, utilizzato da tutti i produttori o macellatori francesi. «Questo sistema offre indubbi e chiari vantaggi al settore».
L’eccellenza produttiva di Danimarca e Olanda
Ma non è finita. La lista di Paesi eccellenti nel settore suinicolo non è terminata. All’appello mancano ancora Danimarca e Olanda. Specifica il presidente di Unapros: «Si tratta di Paesi eccellenti per due aspetti essenzialmente: la specializzazione e l’efficienza tecnica. Qui la produzione dei suinetti viene vista come business e come tale viene gestita. Non è un caso che questi due Paesi stiano rifornendo buona parte dei Paesi europei. La massima efficienza si raggiunge grazie alla produzione di un suino a prezzi concorrenziali».
E su questo tema Fontanesi conclude: «Se noi riuscissimo a mettere insieme questi tre aspetti vale a dire l’aggregazione, la specializzazione e l’efficienza tecnica, faremmo un salto di qualità decisivo per la nostra suinicoltura. Tuttavia, rimane il fatto che tante iniziative sono portate avanti dalla parte politica e in questo caso servirebbe un dialogo ovvero una comunicazione costante tra la parte produttiva e la parte politica, comunicazione che attualmente non esiste o non esiste, perlomeno, quanto dovrebbe».
IL PROSCIUTTO REGGE LE SORTI DEL SETTORE
Come rivela l’analisi mensile del Crefis, in ottobre la redditività dell’allevamento suinicolo italiano è calata del 4,4% rispetto al mese precedente, mentre è cresciuta del 4,9% quella della macellazione. Risulta positiva la redditività dei prosciutti Dop stagionati (+3,1% per il pesante), mentre risulta negativa quella dei prosciutti non tipici (-3,9% per la tipologia pesante).
Di fronte a questi dati Lorenzo Fontanesi, presidente di Unapros, commenta: «I dati rispecchiano pienamente la situazione che abbiamo delineato dell’Italia nei confronti degli altri Paesi europei più efficienti. Qui il prezzo del suino è calato e si porta dietro tutte le conseguenze del caso che ben conosciamo».
Quanto all’andamento del prezzo del prosciutto, prosegue Fontanesi, «sta reggendo in qualche modo le sorti della suinicoltura italiana. Altrimenti ci troveremmo dei prezzi appena sopra l’euro. Il prosciutto Dop ha recuperato marginalità. Le previsioni sono quelle di un mercato favorevole per il prosciutto di Parma».
Il mese di ottobre ha vissuto un forte miglioramento della redditività del prosciutto di Parma Dop. Tanto che, riporta Fontanesi, «l’indice Crefis calcolato per la tipologia leggera è migliorato del 4,1%, mentre quello della tipologia pesante del 3,1%. Allo stesso tempo è peggiorata la redditività dei prosciutti non tutelati, che hanno fatto registrare una flessione dell’indice Crefis del 4,7% e del 3,9% per le tipologie leggera e pesante rispettivamente».
Su base tendenziale la redditività ha vissuto un miglioramento sia nel caso del prosciutto di Parma Dop che per il prodotto non Dop. La redditività del primo è tornata a essere superiore a quella dei suoi omologhi non tutelati (+2,1%)».
«Tutto questo – conclude il presidente di Unapros – rende ancora più auspicabile l’apertura nel frattempo di nuovi mercati».
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura