La ripresa della produzione e la chiusura del mercato russo alle esportazioni Ue ha messo fine ad un periodo di equilibrio determinando, dalla seconda metà del 2014, la caduta dei prezzi dei capi da macello in tutte le piazze europee. A seguito di quanto accaduto le condizioni di mercato sono cambiate e ciò ha avuto come conseguenza l’aumento della disponibilità interna e del volume degli scambi intracomunitari, come dimostrato dalla crescita delle importazioni italiane.
L’effetto dell’embargo bilaterale tra Ue e Russia ha provocato il crollo del 90% delle spedizioni comunitarie dirette verso i mercati mondiali dell’export. Nonostante l’aumento della domanda da Giappone, Sud Corea e Cina, l’esportazione dell’Ue verso Paesi terzi si è ridotto del 12%, causando un crollo dei prezzi, tanto da indurre la commissione europea ad attivare da marzo 2015 il sostegno all’ammasso privato.
Patrimonio suinicolo Ue
L’aumento contenuto del numero di capi rilevato dai censimenti dell’Eurostat di dicembre 2014 ha interrotto un periodo di contrazione del patrimonio suinicolo comunitario (Tabella 1). Spagna, Danimarca, Regno Unito e Polonia hanno registrato incrementi più consistenti, compresi tra il 4 e il 2,5%. Al contrario, la contrazione della popolazione suinicola italiana è proseguita, consolidando la tendenza dell’ultimo triennio.
Per quanto riguarda la consistenza delle scrofe, che negli ultimi anni ha subìto un periodo di contrazione a cui in parte ha contribuito il processo di adeguamento al divieto di stabulazione in gabbia delle gestanti (Dir. 2008/120/Ce), si è assistito, a livello comunitario, a una stabilizzazione del patrimonio di riproduttori; ciò è dovuto alla crescita da parte di Spagna (+4,7%) e Olanda (+1%), mentre in Italia è stata accusata nuovamente una contrazione di rilievo (-5%) (Crpa, 2015).
La produzione globale dell’Ue 28 nel 2014 è stata di 22,1 milioni di tonnellate e presenta poca variazione nell’ultimo anno; Spagna e Olanda presentano gli incrementi maggiori nell’ultimo anno, tanto è vero che sono i secondi produttori dopo la Germania (25% del totale) sul mercato europeo, mentre Danimarca e Francia hanno ridotto la loro produzione (Tabella 2) (Informe Sip – Interpig, 2014).
Suinetti svezzati per scrofa/anno
Per valutare la redditività di un allevamento è necessario valutare gli indici tecnici (Tabella 3). Per gli allevamenti a ciclo chiuso o le scrofaie il primo indice è il numero di suinetti svezzati per scrofa/anno. In Italia, secondo i dati del 2014, si è giunti a 24,06 suinetti svezzati/scrofa/anno, mentre in Spagna il valore è maggiore, raggiungendo i 25,8 suinetti/scrofa/anno; dati però, ancora bassi rispetto a Paesi come Danimarca, Francia, Germania e Olanda che svezzano in media 28,6 suinetti scrofa/anno (Tabella 4) (Informe Sip – Interpig, 2014; Crpa, 2015).
Confrontando gli indici tecnici spagnoli con quelli dei quattro Paesi appena citati si può osservare che il sistema produttivo è rimasto in linea con i dati del periodo 2010-2014, mantenendo una differenza sfavorevole di circa 3 suinetti/scrofa/anno. Nello stesso periodo l’incremento della produzione di suinetti registrato nei diversi Paesi è stato disomogeneo: la crescita maggiore è stata rilevata a favore di Germania (+2,5 suinetti) e Danimarca (+2,3), mentre in Francia gli aumenti sono stati inferiori (+0,7); per quanto riguarda Spagna (+1,8) e Olanda (+1,5) si posizionano a un livello intermedio. La possibilità di produrre 1 suinetto in più per parto presuppone la possibilità di ridurre il costo di produzione dei suinetti di approssimativamente 1 euro rendendo ancora più interessante il perfezionamento della gestione della scrofa pre- e post-parto e delle fasi di crescita del suinetto (Informe Sip – Interpig, 2014).
Nonostante Danimarca, Francia, Germania e Olanda siano più prestanti per quanto riguarda il numero di suinetti svezzati/scrofa/anno, il costo di produzione in Spagna risulta essere, nel 2014, il più basso (Tabella 5).
L’indice di conversione globale
La voce predominante è il costo di alimentazione che costituisce circa il 70% del costo di produzione; tanto è vero che confrontando i dati di efficienza alimentare di allevamenti a elevati standard produttivi con quelli di allevamenti a basso livello manageriale, si notano differenze molto marcate: gli indici di conversione alimentare possono variare di oltre il 25% (Rivista di suinicoltura n. 8, 2009).
L’indice di conversione globale (Icg) misura il consumo complessivo di mangime dell’intero ciclo necessario a ottenere l’incremento di 1 kg di peso dell’animale. Si tratta di un indice molto valido per determinare l’efficienza produttiva di un allevamento, poiché ha una buona correlazione con il costo di alimentazione (R2 = 0,326) (VI Jornada Sip, 2015). Inoltre la conversione globale determina il livello di efficienza produttiva poiché permette di valutare lo stato di salute, il potenziale genetico, la qualità nutrizionale degli alimenti, il management degli animali e il comfort delle strutture (VI Jornada Sip, 2015).
Gli altri costi in Spagna
Nel sistema produttivo spagnolo la voce di spesa maggiore risulta essere, assieme all’alimentazione, la sanità animale. Management, strutture e riproduzione appaiono pesare meno rispetto a quanto accade per gli altri Paesi; le ragioni di ciò sono da ricondursi, da un lato, a un costo orario del lavoro inferiore, ma soprattutto alla presenza di strutture d’allevamento molto più efficienti (Informe Sip – Interpig, 2014).
In Italia
Dando uno sguardo al panorama italiano il costo di produzione del suino a ciclo chiuso si è ridotto dell’1,4% rispetto all’anno precedente, portandosi a 241,50 euro/capo, corrispondente a 1,53 euro per kg di peso vivo prodotto (Tabella 6). Il risultato è da attribuire sia al miglioramento della produttività in fase di riproduzione, dimostrata dal maggior numero di suini svezzati per scrofa, sia al calo dei prezzi dei cereali e della soia. Gli effetti dell’aumento della produttività e dei minori costi delle materie prime è stato in parte compensato dall’incremento del costo orario del lavoro e dei costi generali, dovuto anche alle imposizioni fiscali che gravano sui fabbricati rurali (Crpa, 2015).
Nonostante il miglioramento infatti l’Italia continua a collocarsi, assieme alla Gran Bretagna, in fondo alla classifica. A causa della specializzazione della nostra suinicoltura, l’Italia sconta costi più elevati rispetto a tutti gli altri Paesi. Nel contesto comunitario la differenza arriva a un massimo dell’ordine del 25% in confronto a Spagna, Danimarca, Francia e del 14% rispetto a quelli olandesi.
Costi bassi per Spagna, Danimarca e Francia
Per quanto concerne i costi di produzione gli allevamenti spagnoli, danesi e francesi risultato i più competitivi sul campo comunitario.
I dati relativi agli indici produttivi del 2013 (Tabella 7), rafforzati anche da quelli del 2014, confermano la superiorità degli allevamenti danesi seguiti da quelli olandesi per quanto concerne il numero di suinetti svezzati per parto e per scrofa/anno. Ciò a seguito del maggior numero di suinetti nati vivi e una mortalità pre-svezzamento uguale a quanto rilevato per gli altri Paesi.
Leggi l’articolo completo sulla Rivista di Suinicoltura n. 2/2016
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