La qualità dell’aria è un parametro spesso sottovalutato in allevamento nonostante il dimostrato impatto su indicatori zootecnici, gradiente igienico-sanitario delle strutture, benessere animale e salute delle persone.
La costante protratta esposizione ad elevate concentrazioni di contaminanti e inquinanti nell’aria ambientale durante il ciclo di produzione comporta invece un serio rischio di deterioramento delle performances degli animali, causa l’alterazione dello stato di salute o del livello di benessere, ma soprattutto può risultare nociva anche per lo stesso personale di allevamento a causa dell’affinità fisiologica e comportamentale sussistente tra uomo e suino: infatti, il maiale può assolvere alle funzioni sia di serbatoio primario che di ospite intermedio, confermandosi una specie particolarmente predisposta alla trasmissibilità di agenti zoonosici conosciuti ed emergenti.
L’allevamento e il rischio zoonosi
Il progresso delle tecnologie di allevamento e l’industrializzazione degli impianti di macellazione hanno indubbiamente svolto un ruolo significativo non solo nella diffusione aziendale e territoriale delle infezioni, ma anche nella concretizzazione del rischio zoonosico occupazionale per gli addetti ai lavori.
In prospettiva One Health un agente responsabile di tecnopatia degli animali (es. Staphylococcus aureus Mrsa) capace di diffondere una zoonosi alle persone (es. antibioticoresistenza) rappresenta quindi una minaccia epidemiologica a doppia valenza espositiva, impegnando veterinari e suinicoltori a cimentarsi in una sfida sanitaria sempre più critica e complessa.
Fino a 30 anni fa, la valutazione della qualità dell’aria si limitava ai parametri climatici fondamentali: temperatura ambientale e umidità relativa. Le buone prassi di monitoraggio e controllo dei gas nocivi (es. ammoniaca, in primis per la sicurezza dei lavoratori) successivamente introdotte sul mercato non hanno tuttavia evidenziato i rischi biologici associati alle polveri sospese in grado di veicolare agenti patogeni, endotossine aerodisperse, resistoma (es. geni induttori di resistenza antibiotica, i cosidetti Arg) e biogas.
Effetti negativi sulle performance e sul benessere
Suini allevati in ambienti in condizioni di “aria scadente” ingeriscono minori quantità di mangime; hanno una peggiore resa alimentare; hanno una concentrazione ematica di cortisolo più elevata e un profilo etologico che si distingue per una minore giocosità, con accentuazione dei fenomeni di aggressività e cannibalismo.
Quando vengono generate le polveri sospese?
In allevamento le polveri sospese sono generate per movimento degli animali; operatività quotidiana; funzionamento dell’impianto di ventilazione; biofilm smosso dalle superfici; distribuzione del mangime e alcuni momenti dell’attività veterinaria (es. vaccinazioni, prelievi).
Il particolato e il bioaersol
Nell’aria ambientale il particolato non è un rischio confinato agli animali e agli addetti di un singolo allevamento ma - conseguentemente all’urbanizzazione del territorio - può rappresentare un’incognita anche per eventuali cittadinanze ubicate nel circondario, per l’innalzamento del rischio d’asma e dei casi di malattia polmonare dei residenti.
In base al diametro aerodinamico espresso in µm, il particolato (Pm) può essere classificato in grossolano (Pm 2,5 – 10), fine (Pm 1 – 2,5) e ultrafine (Pm < 1): la sommatoria di tutte le frazioni dimensionali costituisce la polvere totale in sospensione.
La matrice chimica del particolato può essere di natura minerale oppure organica con potenziale presenza di tossine ed allergeni, mentre i microrganismi associati (ovvero la pressione infettiva circolante per via aerogena) sono prevalentemente di derivazione fecale. Questo amalgama costituisce il bioaerosol, che oltre a batteri comprende anche virus, funghi, spore, eventuale ammoniaca e infine radicali liberi responsabili di odori ed effluvi sgradevoli.
Il particolato può essere contaminato dal virus della Psa
Con riferimento all’allerta veterinaria attualmente prevalente nel settore suinicolo nazionale occorre segnalare che recenti pubblicazioni scientifiche hanno dimostrato che il particolato può risultare contaminato dal virus della Peste Suina Africana in caso di turbolenze ambientali (es. variazione dei flussi di ventilazione, polverosità concomitante alla distribuzione dell’alimento) che consentono all’agente virale di percorrere distanze di 10 metri, con una variabilità dipendente da temperatura (es. <4 °C), velocità del ricambio d’aria e ceppo virale.
Controllo del particolato per limitare l’antibiotico-resistenza
Nell’attuale scenario One Health, efficaci procedure di controllo del particolato sono ormai una priorità anche per limitare la diffusione dell’antibioticoresistenza, per la necessità – a supporto dell’uso responsabile degli antimicrobici - di sventare il resistoma ovvero la capacità degli agenti patogeni diffusibili per via aerogena di acquisire resistenza a tale classe di principi attivi: secondo recenti ricerche, il 63-73% del resistoma deriva dall’aerosolizzazione delle feci degli animali e un’indagine metagenomica coordinata tra 9 Paesi europei ha identificato 407 Arg in 9000 animali campionati in 181 allevamenti suini e 178 allevamenti avicoli.
Qualità dell’aria e benessere animale
Nella categorizzazione degli allevamenti in fasce di rischio aziendale agli effetti del benessere animale, Classyfarm considera il microclima interno (es. temperatura, umidità relativa, polverosità) e la qualità dell’aria (es. concentrazione di ammoniaca) pre-requisiti soggetti a verifica di conformità.
Il rischio biologico occupazionale
Allevatori, personale di allevamento e veterinari che sono quotidianamente esposti agli allergeni presenti nell’aria (es. Pm10, endotossine e microrganismi) costituiscono inoltre una categoria professionale significativamente esposta allo sviluppo di sindromi respiratorie, con elevata probabilità di compromissione della funzionalità polmonare, giudicate malattie professionali dall’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (Inail) nonché regolamentate ai sensi del Dl 81/2008.
Pertanto, in un allevamento suinicolo particolato e bioaerosol costituiscono un rischio biologico occupazionale da valutare con attenzione in base alla correlazione tra profilo epidemiologico dei patogeni coinvolti e attività antropica in funzione di:
- (a) rischio espositivo nel tempo e nello spazio;
- (b) stato di salute delle risorse umane (es. suscettibilità individuale ad allergeni aerodiffusi);
- (c) danni potenziali;
- (d) applicazione delle misure di prevenzione essenziali (es. dispositivi di protezione individuale, profilassi vaccinale, igiene mani.
Interventi di disinfezione per contrastare il rischio zoonosico
A corredo e complemento delle fondamentali misure di biosicurezza (es. quarantena delle rimonte, sorveglianza sanitaria, dispositivi di protezione individuale, formazione del personale, ottimizzazione dei ricambi d’aria, diminuzione della fecalizzazione di superfici e strutture mediante il regolare impiego di detergenti a comprovata azione lifting nei confronti del biofilm nel protocollo di igiene e disinfezione in vuoto sanitario), il rischio biologico zoonosico può essere contrastato riducendo l’esposizione al particolato anche tramite interventi di disinfezione programmati in presenza degli animali (es. virkonizzazione) al fine di limitare la pressione infettiva circolante sulle polveri sospese, contenendo contestualmente la concentrazione di endotossine aerodisperse e gas nocivi tramite l’applicazione di presidi autorizzati a questa modalità d’impiego per dimostrata innocuità nei confronti degli animali, sicurezza per gli operatori ed efficacia nei confronti di agenti patogeni resistenti.
L’importanza della profilassi ambientale
In definitiva, per ridurre il rischio espositivo di persone e animali, il controllo e la prevenzione del rischio biologico occupazionale non possono prescindere dal ricorso a razionali e innovative procedure di profilassi ambientale estese anche al ciclo produttivo, così da tutelare gli standard di sicurezza sul posto di lavoro dei lavoratori, assicurare la salute animale, ottimizzare la redditività dell’impresa zootecnica e salvaguardare la salubrità della derrata alimentare destinata al consumatore.
In linea con le linee-guida del capitolato One Health, soltanto la sinergia culturale e la sintonia operativa tra l’allevatore e il veterinario aziendale si confermano come irrinunciabili fattori critici di successo per arginare le incognite di un rischio biologico a configurazione professionale, valorizzando contemporaneamente lo standard igienico-sanitario dell’ambiente di allevamento e il livello di benessere animale.
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura 2/2024
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