Una filiera completamente italiana, priva di passaggi intermedi e quindi più remunerativa per gli allevatori, un contatto diretto tra il mondo allevatoriale e quello a valle della macellazione, l’impegno comune per la promozione del suino nazionale, sia in Italia che all’estero. Sono solo alcune delle caratteristiche che i macelli cooperativi promuovono per soddisfare al massimo la valorizzazione del suino pesante.
Giovanni Bettini, Clai
Per capirne di più, abbiamo chiesto un’opinione ai tre macelli cooperativi Clai di Imola, Pro Sus di Cremona e Opas di Mantova.
La garanzia di una filiera completamente italiana è il valore aggiunto del macello cooperativo di oggi secondo il presidente della Cooperativa lavoratori agricoli imolesi (Clai), Giovanni Bettini, che è anche coordinatore del settore zootecnico dell’Alleanza delle Cooperative italiane – settore agroalimentare. Tuttavia manca ancora una legislazione che renda esplicito questo valore del prodotto italiano.
Con 283 soci, oggi Clai occupa 440 lavoratori e il fatturato 2014 ha superato i 220 milioni di euro. Specializzata sia nel settore dei salumi (in particolare salame), sia in quello delle carni fresche suine e bovine, la cooperativa opera negli stabilimenti di Sasso Morelli di Imola (Bo) e di Faenza (Ra). Il primo è dedicato alla produzione dei salumi, nel secondo si effettuano macellazione e sezionamento dei suini e dei bovini.
Come spiega Bettini: «La cooperativa coltiva i terreni, gestisce gli allevamenti di proprietà, promuove la programmazione delle produzioni zootecniche dei soci allevatori e svolge ogni fase della lavorazione, dalla macellazione alla produzione, controllando l’intera filiera delle carni suine e bovine, nonché dei prodotti di salumeria, garantendo produzioni di qualità e sicurezza alimentare. La provenienza delle carni avviene attraverso gli allevamenti dei soci allevatori ubicati nelle regioni della Pianura Padana».
Valorizzazione delle dop
Relativamente alle carni suine, il presidente riferisce come il macello cooperativo abbia da sempre un ruolo fondamentale nella valorizzazione dei suini allevati nelle regioni padane iscritte al circuito delle dop del prosciutto di Parma e del prosciutto San Daniele: «La sua caratteristica principale è la presenza di soci allevatori che hanno come punto di riferimento il macello cooperativo per valorizzare non solo il prosciutto dop, ma anche gli altri tagli della carne, siano essi destinate al circuito commerciale, siano essi diretti alla trasformazione in salumi, in modo particolare in salami. Ciò che accomuna questi prodotti è il contenuto di carne totalmente italiana vale a dire nata, allevata e macellata in Italia e quindi sottoposta anche ai rigidi controlli sanitari da parte dell’Usl che, come sappiamo, sul nostro territorio nazionale sono piuttosto rigidi».
Ma qual è lo scopo di tutto questo? Risponde il numero uno di Clai: «Lo scopo consiste nel completamento della filiera e nell’offerta di un prodotto al 100% italiano a vantaggio del consumatore finale. Questo processo di filiera conserva la propria espressione più autentica nelle strutture cooperative. Ed è l’unico modo perché ancora oggi si riesca a promuovere la suinicoltura italiana e si possa distribuire un valore aggiunto attraverso il ristorno che premia gli allevatori».
Una produzione “100% italiana”
Sul fatto se questo messaggio viene recepito dai consumatori, Bettini ha le idee chiare: «Tutta la produzione firmata Clai viene contraddistinta con il logo “100% italiano” e perciò garantita. E il messaggio viene recepito eccome. Oggi il consumatore dà molto valore a una realtà completamente italiana. Il problema di fondo è che manca una legislazione che renda esplicito questo valore del prodotto italiano. Proprio per questo motivo è utile l’azione del ministero italiano dell’Agricoltura nel contesto europeo, dal momento che proprio lì, in Europa, vengono prese le decisioni esecutive sulla questione dell’etichettatura e non solo. L’auspicio è che i nostri rappresentanti rendano più esplicito e più diretto questo messaggio».
Export
Ma per Bettini il valore aggiunto di una carne garantita dal macello cooperativo e totalmente italiana non si ferma qui. «Dobbiamo ricordare – afferma – come il consumatore recepisca anche il valore e il sostegno che diamo alla zootecnia italiana, dal momento che la cooperativa mette insieme i soggetti della filiera».
Per il futuro, la volontà del macello cooperativo è quella di crescere dal punto di vista della produzione e della commercializzazione dei salumi, sia in Italia che all’estero. «Precisiamo – aggiunge Bettini – che fuori dai confini italiani esportiamo pure un prodotto totalmente italiano, a partire dalla materia prima».
Ad oggi, Clai esporta in tutti quei Paesi sia europei che extraeuropei dove il prodotto italiano viene generalmente commercializzato. «Una facilitazione – commenta il presidente – viene oggi dal riconoscimento da parte della Cina dell’indennità da Malattia vescicolare nella macroregione del Nord Italia. Riconosciamo il lavoro svolto dal ministro Martina, unitamente al ministero della Sanità e all’Ambasciata italiana in Cina, per abbattere le barriere che ostacolano la commercializzazione in un mercato estremamente significativo. Ora l’impegno dovrà essere quello di raggiungere le condizioni affinché anche le restanti regioni del nostro Paese, in particolare del meridione, possano essere riconosciute indenni da questa malattia».
Enrico Cerri, Pro Sus
La volontà di fare tutto quanto possibile per valorizzare al massimo, sia in Italia che all’estero, il suino conferito dai propri soci è la filosofia di Pro Sus, Cooperativa agricola di produttori di suini di Vescovato (Cr). Con una settantina di soci tra Lombardia ed Emilia Romagna, la cooperativa ha ottenuto l’autorizzazione all’export dei suoi prodotti non stagionati a base di carne suina negli Stati Uniti. Questo è stato possibile grazie sia agli investimenti messi in campo negli ultimi anni sulle procedure produttive e sulla sicurezza alimentare, sia all’apertura di una sede a Miami.
«La valorizzazione del suino nazionale è un must inderogabile per tutti i nostri soci -, dichiara il presidente di Pro Sus, Enrico Cerri -. Il consumatore oggi è sempre più attento all’origine delle carni. Noi abbiamo qualcosa in più da raccontare rispetto ai nostri competitor, a cominciare dal pieno controllo dell’aspetto produttivo lungo tutta la filiera. Garantiamo infatti il nostro prodotto, a partire dai terreni di proprietà dei soci, dove vengono coltivati gran parte degli alimenti utilizzati per l’alimentazione degli animali, passando per tutte le fasi di lavorazione: macello, prosciuttificio, lavorazione e confezionamento del prodotto pronto al consumo».
Con 811mila capi processati all’anno, Pro Sus ha realizzato nel 2015 un giro d’affari pari a 254 milioni di euro. La cooperativa lavora tutta la carne, fino alla quarta e quinta gamma, nell’azienda dedicata con sede in provincia di Mantova. «Ci crediamo molto - dichiara Cerri -. Non possiamo pensare che il valore espresso dalle cosce destinate ai circuiti Parma e San Daniele possa sostenere da solo il costo di tutto l’animale. È invece imperativo valorizzare tutti i tagli che derivano dalla macellazione dei suini. Come? Comunicando in modo forte le peculiarità di un prodotto nato, allevato e macellato in Italia, di cui si può garantire la completa tracciabilità».
Il Qr code su tutte le confezioni
Da un anno a questa parte, Pro Sus applica la tecnologia Qr code direttamente sulla confezione dei prodotti a proprio marchio. «Con il cellulare o lo smartphone, tramite l’apposita applicazione – specifica Cerri - è possibile visualizzare la faccia dell’allevatore, la località dove è nato e cresciuto l’animale per averne confermata l’italianità, e a latere la descrizione dell’azienda agricola. Ci rivolgiamo in primis al consumatore evoluto il quale pretende delle garanzie che, secondo noi, ha diritto di avere».
«Puntiamo ai mercati statunitense e cinese»
Dal punto di vista del prodotto, la strategia è duplice. Spiega ancora Cerri: «Nel nostro Paese, così come all’estero, dobbiamo innanzitutto far arrivare al consumatore il messaggio di una totale garanzia di qualità della carne di origine 100% italiana. Sul fronte dell’export, la cooperativa sta muovendo i primi passi, ma abbiamo la ferma intenzione di crescere, potenziando anzitutto le esportazioni verso i mercati statunitense e cinese».
«Siamo l’unico stabilimento italiano nel settore autorizzato a esportare negli Stati Uniti carne di suino lavorata non stagionata - spiega il presidente della cooperativa -. Questo risultato ci è costato impegno e tempo, ma oggi tutti i nostri stabilimenti sono certificati per l’esportazione oltre Atlantico. Tutto ciò per dire che siamo una filiera nel vero senso del termine. E, nell’ambito di questa filiera, la nostro parola d’ordine è: incrementare al massimo il valore dei suini dei nostri soci».
Solo suini nati in Italia
Per l’anno prossimo, Pro Sus sta lavorando per giungere alla certificazione dell’intera filiera, comprensiva di tutto il sistema allevatoriale della cooperativa. «Il fatto che già oggi macelliamo solo ed esclusivamente suini nati in Italia – commenta Cerri - significa avere una carta in più ai tavoli della Gdo. Nel prossimo futuro lavoreremo alacremente per l’affermazione del nostro brand verso il consumatore finale. Già per ottobre e novembre di quest’anno abbiamo in corso una campagna di comunicazione sull’area metropolitana di Milano e sull’hinterland, il cui messaggio è: Pro Sus è un’azienda italiana, che oltretutto ha anche qualcosa in più».
E conclude: «L’unico modo per valorizzare in maniera idonea prodotti come i nostri è quello di essere parte integrante di una filiera certificata, strumento in grado di dare il giusto valore ai prodotti che ne derivano. Per realizzare ciò, pensiamo che il mondo cooperativo sia la casa ideale».
Lorenzo Fontanesi, Opas
Per il vicepresidente di Opas, Organizzazione di prodotto allevatori suini, Lorenzo Fontanesi, «due sono gli aspetti che rendono le cooperative un vero e proprio strumento di valorizzazione della suinicoltura italiana. Primo, accorciano la filiere, vale a dire che il produttore non vende più il suino vivo, ma tagli di carne. In questo modo, vengono a mancare dei passaggi intermedi che permettono all’allevatore di avere maggiore competitività sul mercato. Secondo, permettono di mettere a contatto il mondo allevatoriale con il mondo a valle della macellazione. La cooperativa dispone cioè di un sistema che fa da filtro tra il produttore e il consumatore finale con un approccio diretto che di conseguenza conosce meglio le esigenze del cliente. Tutto questo andrà a vantaggio di una maggiore fidelizzazione del consumatore e permetterà alla produzione di orientarsi in base alle richieste del mercato».
La filiera “From Farm to Fork”
Opas che riunisce oltre 50 soci, i quali commercializzano ogni anno oltre il 10% del totale nazionale dei suini nati, allevati e macellati in Italia e destinati alle produzioni della salumeria di qualità, è riconosciuta a livello interregionale come Op, grazie ai soci che conferiscono tutta la loro produzione dando vita alla filiera, “From Farm to Fork”. Attraverso l’attività nella nuova unità locale ex-Italcarni a Carpi (Mo), la cooperativa garantisce la lavorazione di carni suine secondo le principali certificazioni mondiali dei processi produttivi.
«Se io allevatore – riferisce Fontanesi – riesco a fare un prodotto più gradito al consumatore, è più probabile che riesca a ottenere un prezzo maggiore. Questo per dire che, nella ricerca di questo feedback, il mondo cooperativo, diversamente da quello privato, è più dinamico. Non è una vera e propria interprofessione, ma gli si avvicina molto perché esiste un rapporto commerciale tra i vari anelli della filiera. È più corretto forse parlare di “collaborazione” più che di “interprofessione”. Anche se il risultato finale è il medesimo: la cooperazione sviluppa un sistema efficace ed efficiente, perché il rapporto tra i vari collaboratori è più diretto. Di conseguenza, il concetto di valorizzazione si vince più facilmente».
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura n. 10/2016
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura