I fallimenti riproduttivi nelle scrofe possono manifestarsi in diverse forme cliniche, tra cui morte e riassorbimento embrionale, aborto, mummificazione, natimortalità e nascita di suinetti disvitali, rappresentando ancora oggi una significativa fonte di perdite economiche per il settore.
La gravidanza può essere compromessa sia da agenti infettivi che da fattori non infettivi. Si stima che oltre il 70% dei casi di mortalità fetale sia attribuibile a cause non infettive, come condizioni ambientali inadeguate, pratiche gestionali inappropriate, squilibri nella dieta o esposizione a sostanze tossiche.
Gli aborti di origine infettiva possono derivare sia dall’effetto di malattie infettive acute che colpiscono la scrofa, sia da infezioni localizzate che interessano direttamente il feto e/o la placenta.
I principali agenti abortigeni
Tra i principali agenti virali abortigeni figurano
- il virus della sindrome riproduttiva e respiratoria del suino (Prrsv),
- il circovirus suino tipo 2 (Pcv2),
- il parvovirus suino (Ppv),
- il virus della pseudorabbia (Prv),
- il virus dell’encefalomiocardite (Emcv)
- e il virus della peste suina classica (Csfv).
Recentemente, è stato ipotizzato un potenziale ruolo del circovirus suino tipo 3 (Pcv3) nelle patologie riproduttive delle scrofe.
Per quanto riguarda i batteri associati ad aborti nella scrofa, si ricordano
- Chlamydia spp.,
- Leptospira spp.,
- Brucella suis
- ed Erysipelothrix rhusiopathiae.
Altri batteri, come Escherichia coli, Streptococcus spp. e Staphylococcus spp., sono invece considerati patogeni opportunisti, non necessariamente legati a patologie riproduttive ma che possono in alcuni casi raggiungere il feto e compromettere la gravidanza.
Una delle principali sfide che veterinari e operatori del settore devono affrontare nella gestione dei disturbi riproduttivi delle scrofe risiede nella loro multifattorialità.
Non è raro, infatti, riscontrare la presenza di infezioni multiple all'interno di un medesimo focolaio di aborto, spesso facilitate da fattori predisponenti di natura non infettiva. L’identificazione completa di tutti i fattori coinvolti, delle loro interazioni e delle loro variazioni nel tempo è essenziale per migliorare l'efficienza riproduttiva delle scrofe e sviluppare interventi preventivi e strategie di controllo specifiche per gli allevamenti.
Lo studio Izsler
Alla luce di queste premesse e per fornire una panoramica epidemiologica degli agenti abortigeni presenti in Italia, sono stati analizzati retrospettivamente i feti suini abortiti conferiti per indagini diagnostiche all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (Izsler, Brescia) tra il 2011 e il 2021.
La casistica comprendeva 1.224 conferimenti provenienti da 293 allevamenti da riproduzione, per un totale di 5.474 feti. La maggior parte dei campioni (97%) proveniva da aziende situate in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. I conferimenti multipli provenienti dallo stesso allevamento ed effettuati entro tre mesi dal primo caso sono stati considerati parte dello stesso focolaio. Questo approccio ha permesso di identificare un totale di 829 focolai di aborto durante il periodo di studio.
Campionamento e analisi di laboratorio
In caso di problematiche riproduttive in allevamento, Izsler raccomanda la raccolta di almeno 3 feti abortiti per nidiata, mantenendo separati e correttamente identificati i feti provenienti da scrofe diverse. Quando possibile, deve essere prelevata anche la placenta.
I campioni devono essere raccolti secondo le buone pratiche veterinarie, conservati a 4 °C e inviati al laboratorio entro 24h dalla raccolta. È fondamentale inoltre riportare chiaramente la data dell’aborto e fornire informazioni esaustive circa la problematica riscontrata.
Una volta conferito a Izsler ciascuno dei feti inclusi nello studio è stato sottoposto ad esame anatomopatologico e al prelievo di un campione di polmone, cuore e fegato. In base alla lunghezza del feto, ogni caso è stato classificato come aborto precoce (≤ 15 cm) o tardivo (> 15 cm).
Gli organi prelevati sono stati raggruppati per nidiata (fino a cinque feti per gruppo), omogeneizzati e analizzati mediante metodiche biomolecolari per la presenza dei seguenti patogeni: Pcv2, Pcv3, Ppv, Prrsv e Chlamydia spp. Campioni di rene di ciascun feto sono stati inoltre analizzati per la presenza di Leptospira spp.
Un decennio di analisi
In termini assoluti, tra il 2011 e il 2021, il numero complessivo di campioni di origine suina conferiti a Izsler-Brescia a scopo diagnostico è notevolmente aumentato. Tuttavia, nello stesso periodo si osserva una riduzione percentuale dei conferimenti legati a problematiche riproduttive, indice probabilmente di una migliorata gestione sanitaria delle scrofe.
Il 42 % dei focolai di aborto analizzati è risultato positivo ad almeno uno dei patogeni ricercati. Questo risultato è in linea con quanto riportato da altri studi e sottolinea come, spesso, gli episodi di aborto osservati nelle scrofe non siano associati a eventi infettivi, ma a condizioni ambientali o pratiche gestionali inadeguate.
Il dettaglio delle prevalenze di ciascun agente patogeno è riportato in figura 1.
- Prrsv (genotipo 1) è risultato il patogeno b (25 %) nei focolai di aborto durante l’intero periodo di studio, maggiormente durante la stagione invernale e primaverile. L’elevata percentuale di aborti associati a Prrsv rappresenta un fattore di notevole rilievo, con un impatto economico significativo sulla filiera suinicola nazionale. È importante sottolineare che l’elevata capacità del virus di mutare favorisce la comparsa di ceppi ad alta patogenicità o in grado di eludere le risposte immunitarie indotte dalla vaccinazione. Ciò evidenzia la necessità di un monitoraggio continuo e approfondito, che integri tecniche avanzate come il sequenziamento genomico per individuare e controllare tempestivamente varianti virali altamente patogene.
- Pcv3 è risultato il secondo agente più frequentemente associato (19.6 %) ai focolai di aborto analizzati, con percentuali in significativo aumento negli ultimi anni. Attualmente, non vi è consenso unanime sul ruolo del Pcv3 come causa di malattia nel suino. La sua epidemiologia, fisiopatologia e rilevanza complessiva come causa di aborto rimangono ancora poco definite, rendendo necessarie ulteriori indagini per chiarire il suo impatto reale sulla salute riproduttiva delle scrofe.
- Al contrario, il ruolo di Pcv2 come causa di aborto e natimortalità è ormai ben consolidato. Nella presente indagine, la prevalenza osservata ha mostrato una lenta ma significativa riduzione nel corso degli 11 anni, con picchi distribuiti per lo più nella stagione autunno-invernale. Questo calo potrebbe derivare dall’elevata diffusione della vaccinazione nell’industria suinicola italiana. Da quando i vaccini commerciali sono stati introdotti, il loro utilizzo è cresciuto rapidamente a livello globale, contribuendo significativamente al controllo del virus.
- Chlamydia è stata rilevata più sporadicamente (5.6 %) e maggiormente nella stagione autunnale, suggerendo un ruolo marginale come patogeno riproduttivo nell’area investigata. Contrariamente alle nostre previsioni, abbiamo osservato minori prevalenze nelle province a maggiore densità suinicola. Una possibile spiegazione per questo risultato potrebbe essere legata a differenze nelle modalità di gestione degli allevamenti su base geografica. Le province ad alta densità di suini sono infatti caratterizzate quasi esclusivamente da allevamenti intensivi, spesso multi-sito, con elevati standard di biosicurezza e stato sanitario. Informazioni più approfondite riguardo alla gestione delle aziende coinvolte avrebbero consentito una migliore interpretazione di tale risultato.
- Più rara è stata infine la rilevazione di Ppv (4 %) e Leptospira (2.6 %).
La maggior parte dei casi è stata classificata all’esame anatomopatologico come aborto tardivo. Allo stesso modo, in un precedente studio italiano, il 71 % dei casi di aborto analizzati era avvenuto nella seconda metà della gravidanza. Ciò potrebbe dipendere da maggiori difficoltà nell’individuare e campionare feti abortiti di piccole dimensioni nella prima parte della gestazione o dalla possibile occorrenza di riassorbimenti embrionali.
Come atteso, l'infezione da Prrsv è risultata fortemente associata ad aborti tardivi. Sebbene i feti di tutte le età siano suscettibili all'infezione da Prrsv, la trasmissione dalla madre ai feti e la replicazione del virus nella placenta e nei tessuti fetali sono più efficienti nell'ultimo terzo della gestazione.
Al contrario, Chlamydia spp. è stata principalmente associata ad aborti precoci. La presentazione clinica delle infezioni genitali da Chlamydiaceae varia notevolmente in base all'epoca di gestazione. Sono state frequentemente descritte morti embrionali con un aumento dei tassi di ritorno in estro, ma possono verificarsi anche aborti, natimortalità e un aumento della mortalità perinatale.
Il ruolo delle coinfezioni microbiche
Nel 25 % dei focolai positivi alle indagini molecolari sono stati individuati agenti infettivi multipli (vedi tabella), con Prrsv+Pcv2 come co-infezione più frequente, seguita da Prrsv+Pcv3. La comprensione delle dinamiche di co-infezione nelle sindromi multifattoriali e del ruolo specifico di ciascun patogeno coinvolto rappresenta una sfida ardua.
Combinazioni di agenti patogeni abortigeni riscontrate in focolai di aborto suino | ||
Patogeni | N. di focolai positivi | % di focolai positivi |
PPRSV + PCV2 | 28 | 32.2 |
PRRSV + PCV3 | 20 | 23.0 |
PRRSV + Chlamydia spp. | 6 | 6.9 |
PCV2 + PCV3 | 4 | 4.6 |
PCV3 + Chlamydia spp. | 4 | 4.6 |
PRRSV + PPV | 4 | 4.6 |
PRRSV + PCV2 + PPV | 4 | 4.6 |
PCV3 + Leptospira spp. | 3 | 3.4 |
PRRSV + PCV2 + PCV3 | 3 | 3.4 |
PCV2 + PPV | 2 | 2.3 |
PCV2 + PCV3 + Chlamydia spp. | 2 | 2.3 |
PCV2 + Leptospira spp. | 1 | 1.1 |
PCV2 + PCV3+PPV | 1 | 1.1 |
PCV3 + Leptospira spp. + Chlamydia spp. | 1 | 1.1 |
PCV3 + PPV | 1 | 1.1 |
PRRSV + Leptospira spp. | 1 | 1.1 |
PRRSV + PPV + Leptospira spp. | 1 | 1.1 |
PRRSV + PCV3 + PPV | 1 | 1.1 |
Studi precedenti hanno suggerito un effetto sinergico tra Pcv2 e Prrsv, che potrebbe intensificare i danni alle strutture fetali e placentari, contribuendo al verificarsi di aborti. Analogamente, interazioni tra Pcv2 e Ppv sono state associate ad alterazioni più gravi dello sviluppo fetale. L’applicazione di tecniche istopatologiche e immunoistochimiche su campioni di feti potrebbe offrire una visione più dettagliata, chiarendo meglio il contributo specifico di ciascun agente patogeno rilevato e migliorando la comprensione di queste complesse interazioni.
Conclusioni
Il fallimento riproduttivo nelle scrofe, in particolare l'aborto, è un fattore che impatta fortemente la redditività degli allevamenti suini.
Considerando la natura complessa e multifattoriale degli episodi di aborto, i nostri risultati sottolineano l'importanza di adottare una procedura di campionamento standardizzata e un protocollo diagnostico completo che riduca al minimo il tasso di diagnosi inconcludenti. La conoscenza dettagliata della circolazione dei patogeni è infatti essenziale per adottare misure mirate di biosicurezza e pianificare strategie vaccinali efficaci, limitando l'impatto economico delle malattie riproduttive.
Questo è un obiettivo realistico, considerando la tendenza in diminuzione degli episodi di aborto osservata durante il periodo di studio. È tuttavia fondamentale ricordare che il successo nel controllo e nella prevenzione degli episodi abortivi nelle scrofe richiede un approccio integrato, in cui risultati delle analisi di laboratorio vengano interpretati considerando informazioni relative allo stato sanitario, gestionale e ambientale dell'allevamento di origine.
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