Sorveglianza passiva da parte dell’allevatore, controllo dell’entrata-uscita degli animali, dei visitatori e dei mezzi di trasporto dall’azienda e verifica del grado di efficienza della disinfezione e degli strumenti utilizzati per pulirli. Sono i principali accorgimenti da utilizzare per tenere alto il livello di biosicurezza delle aziende suinicole italiane, un efficace strumento per tenere fuori dal paese patologie come la Peste suina africana, che dal 2007 a oggi si è diffusa dalla Georgia, in Europa orientale, fino in Ungheria.
Del tema si è discusso il 15 maggio scorso all’incontro organizzato dal Gruppo veterinario suinicolo mantovano (Gvs) in collaborazione con la sezione suini dell’Associazione mantovana allevatori (Ama), dal titolo “La biosicurezza come strumento per la protezione della suinicoltura italiana. Come tenere lontana la Peste suina africana dalle nostre aziende”, nella sede dell’Ama a Tripoli di San Giorgio a Mantova.
«Obiettivo di questo incontro – ha chiarito Gianni Pagliari, presidente della sezione suini dell’Ama – era spiegare agli allevatori suinicoli come potenziare la biosicurezza e fornire loro gli strumenti per tenere lontana dal paese questa malattia devastante. La suinicoltura italiana è troppo importante per l’economia del paese e per la filiera intera. Non possiamo permetterci di commettere errori».
Come ha sottolineato infatti Silvio Zavattini, presidente del Gruppo veterinario suinicolo mantovano, «La Peste suina africana è una malattia altamente diffusiva e purtroppo priva di presidi farmacologici e vaccinali».
Silvia Bellini, responsabile del centro di Sorveglianza Epidemiologica dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia (Izsler) di Brescia, è anche tra gli esperti della Commissione europea per il controllo e la vigilanza della sanità animale. «Il sierotipo di cui stiamo parlando – ha spiegato Bellini – è quello isolato in Georgia qualche anno fa (genotipo 2) ed è diverso da quello che circola in Sardegna a partire dal 1978 (genotipo 1). Questo significa che le due aree infette europee non sono epidemiologicamente correlate.
Il sierotipo che sta attualmente circolando nel paesi dell’Europa dell’Est è stato introdotto per la prima volta in Georgia nel 2007, probabilmente dall’Africa. In pochi anni si è diffuso in Armenia, Russia, Azerbaijan (2008), Bielorussia (2013), Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia (2014), Moldavia (2916) e Romania (2017), fino all’Ungheria (2018). Suscettibili alla malattia sono sia i suini domestici che i cinghiali, e questi ultimi stanno svolgendo un ruolo sia nel mantenimento che nella diffusione della malattia.
I fattori di rischio della Psa
«I possibili fattori di rischio per la trasmissione dell’infezione nei suini domestici – ha proseguito Bellini – sono l’introduzione di suini infetti in allevamento, l’alimentazione dei suini con scarti di cucina o di ristorazione che contengono prodotti di origine suina contaminati, l’interfaccia dei cinghiali con i suini domestici, gli allevamenti di suini all’aperto, le zecche infette e i mezzi di trasporto. A oggi, gli elementi di rischio per l’ulteriore diffusione della Psa in Europa dell’Est sono la presenza di piccole aziende con basso livello di biosicurezza, la presenza massiccia di cinghiali infetti e l’interfaccia epidemiologica di questi con i suini domestici». Le zecche attualmente non hanno un ruolo nella trasmissione della Peste suina africana in Europa.
La gestione di un focolaio
Come gestire dunque un focolaio di epidemia qualora esso si manifestasse? Ha risposto ancora Bellini: «La sorveglianza passiva funziona bene: infatti, fino a oggi, in Europa nel 97% dei casi è stato l’allevatore a segnalare casi sospetti al proprio veterinario o agli enti preposti al controllo. La Psa è una malattia con sintomatologia clinica evidente ed è difficile sottovalutarla. Poi è ovvio che se ci trovassimo di fronte a un focolaio la prima cosa da fare sarebbe eliminare la fonte del patogeno, ma come? La procedura prevede l’abbattimento di animali, lo smaltimento sicuro di animali morti e dei prodotti potenzialmente contaminati, seguite da operazioni attente di pulizia, disinfezione, disinfestazione».
Il passo successivo consiste nel blocco della diffusione dell’infezione. «Si tratta – ha precisato Bellini – di attuare restrizioni dei movimenti di animali, veicoli e attrezzature, di mettere in atto piani di biosicurezza e di effettuare le opportune indagini epidemiologiche. Da non dimenticare poi l’importanza della formazione e della comunicazione».
Durante il trasporto
In Italia il ministero della Salute ha predisposto un sistema integrato di valutazione della biosicurezza a valenza nazione ed internazionale. I nostri allevamenti suinicoli possiedono un livello medio di biosicurezza interna in linea con gli altri paesi europei, ma scarso se riferito alla biosicurezza esterna. Come ha riferito Giovanni Loris Alborali, dell’Izsler, «Le aziende che contano livelli di biosicurezza interna elevati hanno anche livelli elevati di biosicurezza esterna. Di fatto, in Italia abbiamo situazioni negative di allevamenti con livelli di biosicurezza esterna e talvolta interna molto bassi. Uno di questi è rappresentato proprio dalla gestione dei trasporti all’interno e all’esterno dell’azienda. I veicoli rappresentano un aspetto fondamentale per la biosicurezza e lo sappiamo anche in relazione ad altre patologie altamente diffusive, vedi l’Afta epizotica, la sindrome riproduttiva e respiratoria del suino (Prrs), negli ultimi anni la Diarrea epidemica suina (Ped), la stessa peste suina ovvero le malattie che hanno un impatto commerciale o economico sull’allevamento suinicolo».
Dal 2012 al 2017 Izsler, in collaborazione con Regione Lombardia, l’Agenzia per la tutela della salute di Brescia (Ats) e i veterinari aziendali, ha realizzato controlli che hanno riguardato sia i camion al macello, sia i camion atti al carico e allo scarico dei lattoni nelle aziende.
I mezzi sono stati suddivisi in quattro categorie: camion su cui sono stati eseguiti campionamenti in un numero che va da 1 a 4, camion con campionamenti da 5 a 9, con campionamenti da 10 a 19 e con oltre 20 campionamenti.
I patogeni più comuni per i suini all’ingrasso
Quali patogeni sono stati riscontrati per quanto riguarda i suini all’ingrasso? «I più rilevanti che abbiamo riscontrato – ha risposto Alborali – sono Brachyspira hyodysenteriae e Coronavirus della Ped. Nel primo caso abbiamo osservato un numero elevato di casi positivi. Altro aspetto fondamentale è il rapporto di questa positività con le quattro categorie che abbiamo appena elencato. Vale a dire: i camion sottoposti a campionamento da 1 a 4 sono stati risultati positivi per il 7%, quelli su cui sono stati eseguiti dai 5 ai 9 tamponi sono risultati positivi per l’8%, quelli che hanno ricevuto dai 10 ai 15 campionamenti sono risultati positivi per il 70% e quelli che hanno avuto oltre 20 campionamenti hanno registrato il 94%. Ciò significa che maggiore è la frequenza di campionamento, maggiore è la probabilità di trovare il patogeno. In altre parole: attenzione a non considerare questa tipologia di controlli e monitoraggi in modo assoluto, perché è molto legata alla quantità di campioni eseguiti su ciascun camion. È anche vero che se si eseguono queste tipologie di campionamenti, il monitoraggio della malattia diventa importante».
Il secondo aspetto su cui è stato eseguito il controllo nel tempo è il problema della Ped (Diarrea epidemica suina), che ha come fattore di rischio principale di diffusione quello dei trasporti. «Abbiamo riscontrato che i fattori di rischio per la diffusione della Ped – ha precisato ancora Alborali – sono legati ai trasporti, al numero di visite che esegue un autocarro per le aziende e alla tipologia di pulizia e disinfezione che viene eseguita su questi automezzi. Sono stati coinvolti camion che trasportano alimenti (dove il rischio è risultato più basso) e camion adibiti al trasporto di animali vivi (dove il rischio è stato registrato più alto)».
Ha proseguito l’esperto: «L’andamento dei focolai di Ped 2015-2017 ha avuto epidemie in tutti gli anni nei mesi più freddi. A questo andamento corrisponde quello della positività dei camion (tre picchi nel periodo più freddo di tutti e tre gli anni). Questo per dire che la gestione dei trasporti assume un ruolo chiave. Nella fattispecie, gli aspetti più importanti che riguardano tale gestione sono: il carico esterno all’azienda, la fornitura di materiale monouso per i conducenti, evitare che l’autista entri nei capannoni ad aiutare nel carico e nello scarico di animali e il controllo della pulizia che ha bisogno di essere fatto innanzitutto mediante ispezione regolare dei pianali di carico».
All’incontro di Mantova hanno portato il proprio saluto Fabio Mantovani, vicepresidente Ama, e Angelo Caramaschi, presidente dell’Ordine dei veterinari. Ha concluso il dibattito l’intervento di Alberto Colzani, di Add-Co Nutrition, sponsor della serata, sul tema “Gestazione-periparto-lattazione: la via alimentare della scrofa per ottenere il miglior suinetto”.
Quali i prodotti a rischio
Ma quali sono esattamente i prodotti a rischio e quale il loro livello di rischio? Ha spiegato Bellini: «Il rischio principale è legato naturalmente al suino vivo, al seme, all’uovo, all’embrione e ai sottoprodotti di origine animale. In seconda istanza, vengono i tagli di carne, le preparazioni e i prodotti a base di carne suina».
Anche nei confronti dei cinghiali è importante evitare alcuni errori. Li descrive ancora Bellini: «I tentativi di depopolamento non risolvono il problema e risultano invece dannosi. Infatti, il cinghiale non si riesce a “depopolare”. Con la caccia si disperdono i gruppi e/o gli individui e ciò determina un cambiamento del comportamento e una crescita della popolazione adattativa. Il risultato di tutto questo porta allo spostamento delle popolazioni di animali infetti o a rischio di infezione con l’inevitabile conseguenza della trasmissione dell’infezione».
Il ruolo dell’allevatore
Ha continuato quindi Alborali: «I primi controllori devono essere gli allevatori. A loro spetta verificare il grado di pulizia dei mezzi che entrano in allevamento e il sistema con cui vengono disinfettati. Per fare questo, devono monitorare anzitutto il grado di pulizia degli automezzi in entrata. La pulizia si ottiene usando adeguate quantità di acqua (bisogna utilizzarne moltissima) e, in secondo luogo, il tipo e la quantità di disinfettante. E bisogna sottolineare che la biosicurezza costa poco e spesso molto meno di altri interventi e investimenti».
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura