«La redditività degli allevamenti suinicoli si trova nel suo punto più basso, ovvero a livelli che non si registravano da anni. Per quasi tutto il 2015 i prezzi non hanno coperto i costi, nemmeno quelli espliciti. Questa situazione, che accomuna l’Italia agli altri Paesi dell’Ue, è causata soprattutto dalla sovrapproduzione. La quale non si assorbirà nel 2016, ma, a detta delle previsioni, solo l’anno successivo».
Ad affermarlo è Kees De Roest, responsabile del settore economia e mezzi tecnici del Crpa, che per la Rivista di Suinicoltura traccia un bilancio del settore ad anno appena concluso.
Il costo di produzione del suino pesante
«A novembre il costo di produzione del suino pesante - asserisce De Roest - si è attestato a 1,527 euro/kg peso vivo, ovvero è tornato sui livelli di gennaio (1,528 euro/kg peso vivo). Nel corso dell’anno il costo è lievemente sceso: 1,492 euro/kg a giugno, 1,517 euro/kg ad agosto e 1,515 euro/kg a settembre. Il picco si è verificato ad aprile, quando il costo di produzione è arrivato a 1,538 euro/kg».
In base ai dati del Crpa, tra le voci che compongono il costo totale, spicca l’aumento dei costi di alimentazione, passati da 0,930 euro/kg/peso vivo a settembre a 0,939 euro/kg/peso vivo nel mese di ottobre e a 0,942 euro/kg/peso vivo a novembre. Anche per questa voce il picco si è verificato ad aprile, quando il dato ha toccato i 0,960 euro/kg/peso vivo. Le voci “lavoro” e “altri costi” sono rimasti abbastanza stabili (0,195 euro/kg/peso vivo da febbraio a novembre il primo, e 0,275 euro/kg/peso vivo di media il secondo), così come “interessi e ammortamenti” (passati da una media di 0,113 euro/kg/peso vivo nei primi cinque mesi dell’anno a una media di 0,115 euro/kg/peso vivo nel resto del 2015)».
«Questo andamento - precisa De Roest - vale per il ciclo chiuso, ma anche per quello aperto. La situazione è quella di un costo dell’alimentazione il cui progressivo aumento nella seconda metà dell’anno va imputato all’aumento del costo del mais nel secondo semestre, non compensato del tutto dal calo del prezzo della soia».
I prezzi del suino pesante
Sul fronte dei prezzi, in Italia si è verificato un calo, in concomitanza con un calo generalizzato in tutta l’Ue-28. Come sottolinea De Roest: «il prezzo medio dei suini nel 2015 rispetto al prezzo medio nel 2014 è diminuito tra il -8% e il -12%. Il prezzo dell’Olanda è il più basso in assoluto (0,89 centesimi/kg), mentre la media europea possiamo dire si aggiri intorno a 1 euro. Il dato medio del calo del prezzo in Europa nei primi undici mesi dell’anno è sull’ordine del -7,5%».
E per l’Italia? «Nel caso del nostro Paese - risponde De Roest - il prezzo medio nel 2015 è stato 1,28 euro/kg. Se a novembre questo dato è stato pari a 1,32 euro/kg, le previsioni per dicembre sono di 1,24 euro/kg. Ci si aspetta dunque un ulteriore calo».
La redditività
«Visti i costi di produzione e l’andamento dei prezzi - sentenzia De Roest - il capitolo “redditività” si conferma come assolutamente negativo nel 2015. I prezzi non solo non hanno coperto i costi, ma anche, all’interno di questa voce, i costi espliciti. Con l’eccezione dei mesi di luglio e settembre, per il resto dell’anno si è verificato un crollo della redditività a livelli che non si registravano da anni».
La media di margine sui costi espliciti ha registrato -0,04 euro/kg. La punta massima di calo si è verificata a maggio (-0,14 euro/kg). Sempre di maggio è anche la perdita più consistente (-0,25 euro/kg), che è diminuita fino a settembre (segnando 0 cent), quando ha ripreso a crescere, raggiungendo il valore di -0,21 euro/kg a novembre. La media della perdita è stata di 0,15 euro/kg.
Principali cause
Quali sono le principali cause di questa situazione? «Il motivo principale - risponde De Roest - risiede nella produzione europea in eccesso, ovvero nella sovrapproduzione. Tra gennaio e agosto 2015 nell’Ue si è registrato un aumento del 4% dei capi macellati e una crescita dei capi di carne suina del 5% (di cui è comunque previsto un ridimensionamento quando il conteggio avverrà sui 12 mesi). Le previsioni per la chiusura dell’anno sono di un aumento della produzione sull’ordine del 2-3%».
A fianco della sovrapproduzione, a giocare un ruolo importante sono anche il calo della domanda interna e la minore richiesta da parte dei mercati esteri. «Anche in Italia abbiamo una produzione in eccesso - spiega il responsabile del settore economia Crpa -, basti pensare all’aumento dell’8,2% dei capi macellati tra gennaio e novembre 2015 rispetto a quelli macellati nello stesso periodo del 2014. I mercati esteri tirano meno, non solo quelli europei, ma anche i Paesi asiatici, a cominciare da Giappone, Corea del Sud, Vietnam e Cina. Quest’ultima, benché si confermi il primo produttore di suini al mondo, rimane un importatore di peso. Ma proprio qui si gioca la sfida principale degli ultimi mesi, che vede in concorrenza i suini europei e quelli americani. Gli Stati Uniti hanno infatti incrementato enormemente la produzione di carne suina, la cui esportazione va a cozzare con la già ampia offerta proveniente dall’Europa. Per il futuro auspichiamo che ci venga in aiuto il cambio debole dell’euro».
Per il momento, però, prosegue De Roest, «questa situazione pregiudica la continuità degli allevamenti».
Il parco scrofe
Ma come stanno affrontando la crisi gli altri Paesi europei? «Dovunque si sta puntando ad un calo del numero delle scrofe. Si va da un calo dell’1,5%, fino al 3-4%. Tra i primi Paesi che stanno operando su questo fronte - specifica l’esperto -, troviamo la Danimarca, la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania. Qui le scrofe sono anche più prolifiche e l’aumento del numero di capi appartenenti a questa categoria si traduce in un aumento spropositato della produzione di suinetti. Secondo i nostri colleghi analisti francesi, la punta massima della produzione nel 2015 è stata toccata nel secondo semestre dell’anno».
Come sappiamo, in Italia il problema è quello opposto, ovvero il calo costante del numero delle scrofe, motivo per cui ricorriamo alle importazioni. Nel nostro Paese, il numero delle scrofe è andato via via riducendosi nel corso degli anni. Le scrofe in Italia sono passate infatti da una consistenza di 637.957 capi nel 2009 a una di 631.803 nel 2010 (-1%), 608.849 nel 2011 (-3,6%), 581.830 nel 2012 (-4,4%), 578.555 nel 2013 (-0,6%), fino a raggiungere i 546.514 capi nel 2014 (-5,5%) e i 545.768 a giugno 2015 (-0,1%).
Maggiormente variabile è invece l’andamento delle scrofette tra il 2010 e quest’anno. La loro consistenza infatti ha registrato aumenti del 13,2% nel 2010, cali del 13% nel 2011, un ulteriore calo dello 0,9% nel 2014 e un aumento del 4,3% nel giugno 2015.
In ogni caso, il numero complessivo delle scrofe è andato sempre calando: se nel 2009 questo calo è stato dell’1,3%, a parte l’aumento dell’1,5% nel 2010, esso si è ripetuto poi a oltranza: -5,5% nel 2011 (741.932 scrofe), -2,5% nel 2012 (723.141 scrofe), -2,3% nel 2013 (706.286 scrofe), -4,7% nel 2014 (673.051 scrofe). Oggi il numero totale delle scrofe in Italia è di 677.731 (-0,7%, dato giugno 2015), delle quali l’80% appartiene al circuito Dop.
L’andamento delle importazioni
Tra gennaio e agosto si è verificato anche un aumento lieve delle importazioni, pari allo 0,8%, delle carni fresche. Gli animali vivi sotto i 50 kg importati in Italia sono aumentati del 24%. «Questo, - puntualizza De Roest - è dovuto al calo dell’offerta dei suinetti vivi, conseguenza, a sua volta, del calo delle scrofe».
Riduzione dell’uso degli antibiotici e delle emissioni
A far lievitare, anche se di poco, i costi della gestione dell’allevamento è anche la decisione, accolta unanimemente dai Paesi dell’Ue, di ridurre il numero degli antibiotici utilizzati sui suini. Altrettanto unanime è anche l’adozione di soluzioni per la riduzione delle emissioni di ammoniaca, a cominciare da Paesi come Belgio, Olanda e Irlanda.
Leggi l’articolo completo sulla Rivista di Suinicoltura n. 1/2016
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