Senza cedere di un millimetro alla buona creanza che il galateo impone, Stefano Fanti, direttore del Consorzio del Prosciutto di Parma, liquida la questione delle osservazioni sollevate contro le modifiche del disciplinare e rigettate dal ministero delle Politiche agricole, con un’alzata di spalla, parole di circostanza, ma senza celare il fastidio che l’intoppo ha provocato sui tempi per mettere in atto quei cambiamenti – di forma e di sostanza – mirati a soddisfare le esigenze del consumatore e, si spera, recuperare terreno sul mercato, sconvolto dalla tempesta del Covid-19 e dalla chiusura dell’horeca, uno dei terreni privilegiati per sua maestà il Prosciutto di Parma.
«L’iter del disciplinare del Prosciutto di Parma – riassume Fanti - prosegue ora a Bruxelles. Il ministero delle Politiche agricole ha respinto tutte le osservazioni e siamo soddisfatti che siano state rigettate in blocco. In verità eravamo sorpresi che fossero state sollevate, ci sembravano osservazioni pretestuose, essendo argomenti sovrapponibili alle modifiche del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, quindi già passate e con il quale abbiamo un percorso comune». E ancora: «Ci ha amareggiato la perdita di tempo, del tutto inutile».
Apostoli, Coldiretti: il percorso produttivo deve essere uniforme
A dare man forte alla tesi del percorso comune lungo la prima parte della filiera produttiva è Giorgio Apostoli, responsabile della zootecnia per Coldiretti. Nessuna polemica, ma ribadisce la necessità di mantenere uniforme il percorso produttivo dei suini le cui cosce debbano indistintamente poter essere valorizzate sia nel circuito tutelato del Parma e del San Daniele, pur consapevole che – una volta intrapresa una strada – possano esservi legittime distinzioni per differenziare il risultato finale, nel rispetto del disciplinare e della qualità.
Ecco, tornando al disciplinare e alle modifiche che lo scorso agosto il Consorzio del Prosciutto di Parma aveva depositato al ministero delle Politiche agricole, il direttore Fanti ribadisce che «l’obiettivo del nuovo disciplinare asseconda le richieste dei consumatori, migliorando la qualità e gettando le fondamenta per una risposta positiva del mercato, dei cui benefici a cascata speriamo ne risentano tutti i soggetti coinvolti nella filiera».
Capanna, Prosciutto di Parma: l’obiettivo è migliorare la qualità
Anche il presidente Vittorio Capanna era stato molto chiaro sulla questione, immediatamente dopo il deposito al Mipaaf. «Il disciplinare produttivo è un vero proprio testo sacro per una Dop, poiché ne attesta l’unicità – aveva detto -. Prima di compiere questa scelta, abbiamo infatti valutato attentamente lo stato di salute del comparto secondo la nostra visione strategica per il futuro.
E, dopo oltre vent’anni, insieme agli altri attori della filiera, abbiamo ritenuto necessario rivedere alcune norme che regolano la produzione del Prosciutto di Parma, adeguandole all’evoluzione del settore e del mercato e alle nuove richieste e sensibilità del consumatore. Il nostro obiettivo infatti è quello di migliorare il livello qualitativo caratterizzando maggiormente l’identità del nostro prodotto per distinguerlo dai concorrenti. Siamo di fronte a un passo importante nella storia del Prosciutto di Parma e per questo sentiamo di dover ringraziare il ministero per aver sostenuto e agevolato la nostra operazione».
Il nuovo disciplinare – ha reso noto il Consorzio del Parma - è stato modificato a tutti i livelli della filiera, spaziando dalle caratteristiche della materia prima – tra cui la genetica, il peso e l’alimentazione dei suini e le caratteristiche delle cosce fresche – fino al prodotto finito come metodo di lavorazione, peso e stagionatura minima del prosciutto prolungata a 14 mesi, parametri analitici di valutazione della qualità, modalità di vendita, prodotto preaffettato.
Le osservazioni degli stakeholder
Nei 60 giorni previsti per presentare le osservazioni, una parte degli stakeholder, fra i quali Cia, Confagricoltura, Assica, Unaitalia, Assosuini, ma anche, autonomamente, il Consorzio del Suino Pesante Padano aveva depositato le proprie osservazioni. Le confutazioni in oggetto riguardavano il periodo di stagionatura minima, in quanto i 14 mesi identificati nella modifica di disciplinare presentato dal Consorzio del Prosciutto di Parma si sarebbero mal conciliate con le esigenze delle pezzature più piccole di prosciutto. Veniva al contempo avanzata la richiesta di abbassare da 8,2 a 7,5 chilogrammi il peso minimo dei prosciutti, secondo alcuni ricorrenti più idoneo alle esigenze di alcuni mercati come Francia e Germania. Ancora, si chiedeva una restrizione delle genetiche ammesse, per caratterizzare maggiormente i suini nati, allevati e macellati in Italia.
Alla fine, forse, la sintesi più efficace spetta al direttore di Assica, Davide Calderone, la cui organizzazione pure era tra i firmatari che chiedeva alcune modifiche. «Guardiamo avanti e concentriamoci sulla valorizzazione su un prodotto simbolo del made in Italy».
La filiera del Parma in numeri
La filiera del Prosciutto di Parma Dop coinvolge circa 3.900 allevamenti, 97 macelli, 140 aziende produttrici, 3.000 addetti alla lavorazione e 50.000 impiegati nell’intera filiera. Nel 2019 sono stati marchiati 8.920.000 prosciutti.
Bilancio e futuro del consorzio del Prosciutto di Parma
«Ci siamo mossi per adeguare il disciplinare al mercato, per migliorare il livello qualitativo e per distinguerci dal prosciutto generico ottenuto da cosce estere». È il pensiero di Stefano Fanti, direttore del Consorzio del Prosciutto di Parma, che non si lascia distrarre da un rallentamento del percorso e guarda avanti. «Prima mettiamo in piedi le modifiche, prima affrontiamo in maniera diversa il mercato».
Direttore, qual è stato il bilancio del lockdown?
«Nella prima fase della pandemia avevamo perso il 30% delle vendite tra Italia ed estero. All’epoca abbiamo dovuto fare i conti con il tracollo della ristorazione e, sostanzialmente, con la chiusura dei banchi del fresco nella gdo. In particolare all’estero, dove i consumi passano dall’horeca, abbiamo avuto notevoli problemi. In compenso, aveva tenuto molto bene il pre-confezionato con una crescita del 20%, che tuttavia non compensava il calo di vendite complessivo».
In estate avete raddrizzato le vendite?
«L’estate ci ha permesso il recupero, con una ripresa del banco taglio dei supermercati. È stata una fase in linea con i consumi tipici del Parma e anche la ristorazione si è riallineata su un quadrante positivo. Questo ci ha permesso di respirare. Oggi dobbiamo fare i conti con una perdita complessiva intorno al -15%, ma siamo preoccupati dalle chiusure, anche se questo non è un giudizio di merito sul piano sanitario sulle restrizioni imposte di carattere sanitario, sia ben chiaro».
L’export si è risollevato?
«Abbiamo ancora difficoltà, essendo la pandemia diffusa. Negli Stati Uniti ristorazione e food service assorbono il 60% delle vendite, mentre in Asia si arriva all’80 per cento. L’export in Usa va a rilento e questo ci preoccupa, perché è il nostro primo mercato».
Le iniziative messe in piedi rappresentano un aiuto?
«Sì. Abbiamo organizzato la Settimana dei prosciutti italiani Dop per incentivare le vendite al banco taglio e gli aiuti del ministero per l’ammasso privato e l’acquisto per gli indigenti hanno mostrato la vicinanza del governo e si sono rivelate uno strumento concreto».
Il piano di programmazione consortile dovrà essere rivisto o è in equilibrio, nonostante il Covid-19?
«Cerchiamo di mantenere il piano di programmazione della produzione, finalizzato a mantenere l’equilibrio, ma lo scenario con un calo dell’export che è stato per una parte dell’anno del 30%, potrebbe imporre una revisione dei numeri, se vogliamo mantenere i volumi produttivi in linea con una minore domanda di consumo. Affronteremo tale questione il prossimo anno, in modo da assumere decisioni ponderate, condivise e, speriamo, in una condizione meno emergenziale rispetto a quella attuale».