Non è la prima volta che facciamo tappa in provincia di Parma per parlare di suini neri: secondo diverse fonti una delle razze più antiche d’Italia, oltre che una delle più diffuse nei secoli scorsi. Fin quando, con l’avvento della suinicoltura moderna, anche il Nero Parmigiano fu abbandonato e sopravvisse, come meticcio, soltanto in alcune remote fattorie dell’Appennino parmense, negli anni Novanta fu poi recuperato e riportato, tramite vari incroci, a una forma assai simile all’originale.
Oggi la razza Nera Parmigiana conta approssimativamente un migliaio di esemplari detenuti da una decina di allevatori o poco più, molti dei quali riuniti nel Consorzio di tutela del Suino Nero di Parma, realtà nata nel 2006 su iniziativa degli enti locali e di una quindicina di suinicoltori per valorizzare e tutelare la razza, allora fresca di riconoscimento (fu infatti aggiunta al Registro anagrafico delle razze autoctone in quell’anno).
300 animali distribuiti su oltre 20 ettari
Proprio il presidente del Consorzio è l’allevatore che abbiamo scelto per tornare a parlare di questa razza, già trattata nel 2020 grazie all’azienda San Paolo, una delle più grandi del consorzio. Come del resto è uno dei più grossi produttori di Nero Parmigiano Silvano Gerbella, a capo del Consorzio stesso da metà del decennio scorso nonché titolare dell’azienda Ca’ Mezzadri, incastonata nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano e quasi isolata dal resto del mondo.
Qui, tra querceti e castagneti secolari, Gerbella alleva 40 scrofe e poco più di 300 esemplari totali, distribuiti su una superficie recintata di oltre 20 ettari. La particolarità di Ca’ Mezzadri, che la contraddistingue anche da realtà simili che abbiamo presentato nei numeri scorsi, è proprio la scelta di un allevamento allo stato brado senza compromessi: gli animali nascono, vivono e crescono completamente all’aperto, in totale libertà se non fosse per la recinzione elettrificata che tiene lontani cinghiali e soprattutto lupi, ormai numerosi in questa parte di Appennino a cavallo tra l’Emilia e la Liguria.
«Abbiamo la fortuna di essere in una posizione invidiabile – ci spiega Gerbella – e dunque cerco di sfruttarla al meglio, a partire dall’esposizione totalmente a sud, grazie alla quale i terreni restano più a lungo liberi dalla neve in inverno e quasi sempre alieni dal fango che caratterizza invece i versanti a nord. I nostri animali possono così vivere all’aperto tutto l’anno, scaldandosi al sole nei mesi freddi e riposando presso alcuni laghetti artificiali in estate. Stanno così bene che quasi non usano le capannette che abbiamo distribuito nei nove recinti che compongono l’allevamento e in cui sono ospitate le scrofe, i verri e poi le famiglie e infine magroni e animali all’ingrasso». Tutti, è bene precisarlo, sotto lo sguardo attento di una decina di pastori maremmani che presidiano il territorio tenendo lontani lupi e malintenzionati di ogni specie.
Un progetto a tutto tondo
La storia degli allevatori di razze autoctone è sempre particolare e merita ogni volta di essere ascoltata. Quella di Silvano Gerbella non fa eccezione, anzi è forse ancor più originale del solito. Per cominciare, inquadriamo il titolare: parmense di Coltaro – ovvero parmense di pianura, nato e cresciuto in riva al Po – e titolare di una ditta per installazione di pannelli fotovoltaici e rimozione amianto. Suoi, ci dice, alcuni dei principali progetti realizzati tra Parma e Piacenza negli ultimi decenni. Ma Gerbella è anche un allevatore – di cavalli da corsa, per la precisione – nonché erede di una lunga tradizione famigliare in materia di norcineria. «Mio nonno era norcino e ha addestrato schiere di norcini. Un paio di essi, ormai novantenni, ci danno ancora una mano in laboratorio, con i loro preziosi consigli».
Con ascendenti di tal razza, impossibile non apprezzare i salumi e infatti Silvano li consuma abitualmente, almeno finché restano nel solco della tradizione. «Quando sono diventati industriali, tutti uguali e senza sapore, ho smesso di mangiarli. Però con il passare degli anni la nostalgia di quegli aromi cresceva e così mi ricordai di Corniglio, un comune dell’alta val Parma in cui andavamo in colonia, sfruttando il fatto che il parroco era originario di Coltaro. Andai là e vidi che c’erano le condizioni ideali per crescere suini come una volta. Naturalmente per questo tipo di allevamento mi orientai sul Nero di Parma, che per rusticità poteva sopportare facilmente la vita nei boschi».
Inizialmente l’idea di Gerbella è stata quella di rilanciare il territorio montano con un progetto in grande stile: «Andai dalle autorità locali e proposi un piano per il recupero della montagna: si trattava di recintare i boschi non altrimenti utilizzabili, allevarvi suini neri e poi ricompensare i proprietari con una parte dei proventi, rispettando i millesimi di superficie utilizzati. Il progetto purtroppo non andò in porto, ma l’idea mi piaceva e così la realizzai a casa mia». Gerbella aveva infatti acquistato una vasta proprietà alla frazione Vestana. Decide così di recintare una ventina di ettari di boschi e prati per farvi pascolare i suini. «All’inizio non fu semplice, dovetti scontrarmi con varie diffidenze e con tutta la burocrazia necessaria per fare qualsiasi cosa, compreso stendere un recinto elettrificato lungo un bosco. Pian piano, però, convinsi tutti e realizzai la recinzione». Che, corredata di capannette, rappresenta l’unica struttura di cui l’allevatore ha bisogno per la sua attività.
A chi vanno gli animali ingrassati?
Comprare scrofe e ingravidarle non è però sufficiente per far funzionare un allevamento: occorre anche trovare a chi vendere gli animali ingrassati. Inoltre Gerbella aveva ancora in testa il suo progetto di rilancio del territorio montano. Si legò così a un ristorante locale, facendone in pratica un centro di degustazione del Nero di Parma. Lui fornisce carne e salumi, gli chef preparano un menu in gran parte basato sulle carni di questo prezioso animale. All’ingresso del locale è inoltre presente un punto vendita dove i clienti possono acquistare tutta la produzione di Ca’ Mezzadri, che è davvero articolata: «Facciamo tutti i prodotti della norcineria parmense: salami, coppe, pancette, lardo, guanciale, cotechini, strolghini (tipico salame ricavato dai ritagli di prosciutto, ndr), culatelli, prosciutti e spallacci, che sono poi il prosciutto fatto con la spalla anteriore, a mio parere molto migliori del prosciutto vero e proprio. Soprattutto quando parliamo del Nero di Parma, che morfologicamente è più sviluppato nel quarti anteriori che in quelli posteriori, anche se con la genetica stiamo cercando di bilanciarlo un po’».
Gerbella punta alla filiera cortissima: alleva i suini, li fa macellare in una struttura del territorio e poi trasforma in proprio tutta la carne. «Abbiamo due laboratori: uno a Coltaro, dove facciamo i salumi e i culatelli, e uno qui a Corniglio, per prosciutti di coscia e di spalla. In questo modo prendiamo il meglio della pianura e della montagna: l’umidità del Po mantiene morbidi e dolci culatelli e insaccati, l’aria di montagna regala prosciutti eccezionali. Uniti alla qualità della carne di animali che vivono esclusivamente all’aperto, creano una formula esplosiva».
Molti i riconoscimenti per la qualità
Il comprensibile entusiasmo del proprietario trova riscontro nei diversi riconoscimenti che Ca’ Mezzadri, talvolta da sola talvolta in tandem con il ristorante-partner, ha ottenuto in giro per l’Italia e l’Europa. «Abbiamo presentato i nostri prodotti ovunque, da Parma a Bologna, dall’Expo di Milano a Parigi, sempre con una risposta entusiasmante. Abbiamo avuto ospiti i principali volti della tv eno-gastronomica, da Raspelli a Giorgione, da Geo&Geo a Linea Verde».
Si realizza così, anche se su scala ridotta, il sogno di creare un volano per il territorio. «Il sistema è circolare: alleviamo i suini in montagna, li trasformiamo in pianura e vendiamo i prodotti nel ristorante annesso al parco, che così fa buoni affari e attira turisti anche fuori stagione, con vantaggi per tutto il territorio. Il Nero di Parma, se sfruttato adeguatamente, può fare del bene a un’intera comunità».
Allevamento minimale
Vediamo brevemente la formula di allevamento di Ca’ Mezzadri. Brevemente perché, in fondo, c’è poco da dire: le scrofe, che vivono in un recinto separato, sono fecondate naturalmente dal verro, con cui restano per alcuni giorni in fase di estro. Successivamente sono spostate in un recinto a parte, dove partoriscono tutte assieme. «Hanno a disposizione le capannette, ma il più delle volte si fanno un nido di sterpi e paglia, come gli uccelli».
I suinetti prendono il latte dalla madre o anche da altre scrofe e restano in quest’area per circa tre mesi. «A quel punto li spostiamo in un recinto con animali più o meno della loro taglia, in modo da fare gruppi abbastanza omogenei». Lì vivono fino al momento della macellazione, che può arrivare dopo due o anche tre anni di vita. «Per i prosciutti, visto il tasso di accrescimento e la ridotta forma dei quarti posteriori, servono animali di tre anni e del peso di circa 220 chili, mentre per il consumo fresco, vale a dire principalmente nel ristorante con cui siamo convenzionati, bastano due anni e 160 kg di peso. Sufficienti comunque a dare una carne ineguagliabile per marezzatura, colore (rosso vivo, fa notare Gerbella) e, naturalmente, sapore. Pensate che in alcuni recinti si nutrono spesso di bacche di ginepro e questo sentore si ritrova poi nella carne, come se avessimo usato ginepro nel confezionarla».
Una dieta molto naturale
A proposito di alimentazione, quella di Ca’ Mezzadri è in tutto e per tutto tradizionale: «Gli animali mangiano quel che trovano nel bosco, in primo luogo, vale a dire castagne e ghiande, ma anche erba e radici, oltre a mele e frutta selvatica in genere. Abbiamo poi un paio di campi che seminiamo a orzo e mais e nei quali liberiamo i suini quando i cereali sono quasi pronti per il raccolto».
Naturalmente i frutti del bosco non sono sufficienti per l’accrescimento e l’alimentazione è pertanto integrata da mais e orzo forniti in punti fissi, che fungono anche da aree per la cattura. «Tuttavia non sono particolarmente attirati dalle granaglie. Preferiscono grufolare nei boschi in cerca di qualche vecchia ghianda rimasta tra le pietre». L’apporto proteico, spiega infine l’allevatore, è fornito da pisello e favino che integrano la razione di cereali e aiutano a sopportare meglio il rigore invernale, con temperature quasi sempre sotto lo zero. «Tuttavia non le soffrono: dormono all’aperto anche in pieno inverno e i suinetti, superato il primo mese di vita, diventano praticamente immortali senza bisogno di vaccinazioni o antibiotici».
Leggi l'articolo completo sulla Rivista di Suinicoltura n. 11
Buon giorno volevo avere informazioni se vendete anche i prosciutti fatti con il maiale nero di Parma.e come posso acquistarli grazie buon lavoro.
Buongiorno, le lascio l’indirizzo mail dell’azienda agricola Mezzadri, in modo che possa chiedere ai diretti interessati:
info@camezzadri.com
Saluti