Il progetto, quantomai attuale, nasce da un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino ottenuto nel 2020, quindi in tempi non sospetti rispetto ai primi casi di Peste segnalati a gennaio di quest’anno, e ha coinvolto il Dipartimento di Scienze Veterinarie (ref. Prof. Sergio Rosati) ed il Dipartimento di Chimica (ref. Prof.ssa Laura Anfossi) dell’Università di Torino. Hanno inoltre collaborato allo studio il Centro di Referenza per lo studio di malattie da Pestivirus e Asfivirus (Cerep, Izs Umbria e Marche), l’ambito territoriale caccia CN1, il Comprensorio Alpino Valle Varaita (Cav), l’Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e la In3diagnostic srl, ex spin off dell’università di Torino.
Lo studio prevedeva lo sviluppo di test rapidi, sia molecolari che antigenici, per la ricerca del virus della Peste suina africana in campioni biologici, al fine di rispondere ad un’esigenza di rapida identificazione di focolai sia nel selvatico che nel domestico. La disponibilità di campioni di archivio e di tessuti prelevati più recentemente nei focolai piemontesi, liguri e laziali nel selvatico hanno consentito di valutare le caratteristiche dei nuovi test diagnostici e definirne il campo di applicazione.
Test antigenici e molecolari
Abbiamo imparato a conoscere questi termini con il Covid-19. Si tratta di metodi diagnostici diretti, che ricercano caratteristiche diverse di un agente infettante. In particolare, il metodo molecolare ricerca l’acido nucleico (ovvero il Dna o Rna virale), mentre il test antigenico ricerca le proteine virali. Il primo è tipicamente un metodo di laboratorio, mentre il secondo è un metodo che si presta ad essere eseguito anche con dispositivi rapidi in campo. La differenza principale è che nel metodo molecolare il segnale specifico viene amplificato (si parla infatti di amplificazione genica), mentre nel secondo caso no. Per questa ragione, i due tipi di test hanno capacità diverse di identificare un campione positivo: tracce minime di virus possono essere rilevate solo dal test molecolare. Nel caso della Peste suina africana, tuttavia, il patogeno “ci dà una mano”, nel senso che, soprattutto durante le fasi epidemiche, la concentrazione del virus nei tessuti bersaglio degli animali infetti è molto elevato e le proteine virali sono facilmente rilevate anche dai test rapidi.
Il test molecolare
Si tratta di un metodo di amplificazione genica isotermica, che può essere eseguito con strumenti portatili anche in campo e che fornisce il risultato in 15 minuti. Il metodo ha dimostrato buone performance, ma necessita di una preparazione del campione che richiede tempo aggiuntivo, l’uso di dispensatori di precisione e la gestione di micro-volumi di reagenti, quindi adatto a personale esperto. Per tale ragione, il test molecolare è stato utilizzato in prove di confronto con il metodo antigenico e non ulteriormente sviluppato. (Foto 1)
Il test antigenico
Per quanto riguarda il test antigenico, si tratta di un dispositivo simile a quelli che si usano nei kit per l’autodiagnosi di Sars-Cov-2, ma indirizzato alla ricerca del virus della Peste nei tessuti bersaglio degli animali trovati morti.
Le prime prove su campioni biologici di archivio sono state eseguite nel 2021 presso il Centro di Referenza Nazionale Cerep, presso l’Izs di Umbria e Marche, su campioni di sangue congelato e su tessuti di animali sperimentalmente infettati con il genotipo virale che circola attualmente in Eurasia. I campioni negativi sono invece stati raccolti durante la stagione venatoria del 2019, in cinghiali regolarmente cacciati in Piemonte.
Parallelamente allo sviluppo del test rapido antigenico, è stato anche sviluppato un metodo di estrazione del virus dai tessuti infetti. Il kit è monouso, utilizzabile su campo e consente la preparazione del campione da testare in meno di un minuto: si inserisce un frammento di tessuto in un barattolino contenente sabbia silicea, si aggiunge qualche goccia di tampone liquido e si tritura il tutto con un pestello per qualche secondo. Dopo aver lasciato sedimentare i frammenti più grossi, si aspira il liquido con una pipetta contagocce e si dispensano 3 gocce sul pozzetto del test rapido. La comparsa di linee colorate nella finestra di lettura consente di effettuare la diagnosi dopo 15 minuti.
Quali tessuti utilizzare
Negli animali morti di Peste, il virus è particolarmente concentrato nella milza, nei linfonodi, nei reni e nel midollo osseo. Anche il sangue e i versamenti sieroemorragici in cavità addominale sono un buon substrato per la ricerca del virus. Il sangue, tuttavia, richiede un diverso trattamento del campione rispetto ai tessuti. La scelta del tessuto da sottoporre al test dipende in larga misura dallo stato di conservazione della carcassa. Nel caso di cinghiali trovati morti da alcuni giorni, molti tessuti non sono più idonei e si ricorre quindi al prelievo dell’osso lungo, da cui si ricava il midollo osseo, che risente meno dei fenomeni autolitici, putrefattivi e della eccessiva disidratazione tipica dei tessuti viscerali. Va comunque detto che, in dipendenza delle condizioni climatiche, dopo un certo periodo di giorni dalla morte dell’animale, la carcassa non rappresenta più un pericolo per l’infezione di altri soggetti e l’applicazione di metodi rapidi di diagnosi appare meno strategica per la gestione dell’epidemia.
Sorveglianza attiva e passiva nel cinghiale
Data l’elevata resistenza del virus, il test è stato pensato per essere eseguito sul campo, nel luogo dove viene rinvenuta la carcassa del cinghiale (sorveglianza passiva) e potrebbe prevedere l’esecuzione in loco da parte del veterinario che esegue i prelievi per i controlli ufficiali, rispondendo ad un’esigenza di segnalazione rapida (early detection) che condiziona l’efficacia di misure di contenimento dell’infezione. Infatti, la rapida identificazione di animali infetti direttamente su campo è una richiesta urgente nei territori infetti e in quelli limitrofi, poiché la rapida rimozione delle carcasse è una delle misure ritenute efficaci per limitare la diffusione del virus.
Per rispondere a questa esigenza, il test è stato recentemente utilizzato su tutti i tessuti di cinghiali disponibili presso i laboratori diagnostici ufficiali di Piemonte, Liguria e Lazio e trovati positivi al test molecolare.
La sensibilità su tessuti in buono stato di conservazione è stata superiore al 90%, suggerendo che, nella maggior parte dei casi, la diagnosi di Peste sarebbe stata formulata in pochi minuti sul sito di ritrovamento. (Tabella 1)
Matrice | N campioni | POS (LFIA) | NEG (LFIA) | Sensibilità | |
(C.I. 95%) | |||||
Milza | 81 | 74 | 7 | 91,4 | |
(83-96,5) | |||||
Rene | 31 | 29 | 2 | 93,6 | |
(78,6-99,2) | |||||
Midollo osseo | 35 | 23 | 6 | 77,1 | |
(58,9-89,6) | |||||
Totale | 147 | 110 | 15 | 88,4 | |
(82,1-93,1) |
Tab. 1 - Risultati della determinazione tramite dispositivo LFIA della positività per il virus della Peste suina africana su campioni di tessuti provenienti da cinghiali infetti e confermati come positivi da metodica di riferimento.
Siamo alle porte della nuova campagna venatoria, il cui obiettivo prioritario è la riduzione della densità dei cinghiali nelle aree non infette. La sorveglianza della Peste in queste popolazioni risulta strategica, ma è difficile immaginare un sovraccarico di diagnosi ufficiali in tempi ragionevolmente brevi per consentire lo svincolo della carcassa per scopi alimentari (analogamente a quanto è previsto per la Trichinella). L’esecuzione di un test rapido presso le case di caccia o gli ambiti territoriali di caccia potrebbe rispondere a questa esigenza.
Sorveglianza nel suino domestico
Premesso che il test rapido rimane un test di screening, e quindi sarebbe comunque necessario, almeno in caso di risultati positivi, ricorrere ad un test di conferma, si potrebbe realisticamente ipotizzare l’uso di test rapidi per supportare la sorveglianza passiva e le decisioni diagnostiche di competenza del servizio veterinario locale. Si potrebbe in questo modo valutare, con uno strumento veloce ed economico, alcune situazioni complicate, come il rinvenimento di animali illegalmente detenuti o di origine sconosciuta. Nell’attuale situazione epidemica che coinvolge il cinghiale, si deve con ogni mezzo scongiurare il passaggio dell’infezione al suino domestico. Quindi, ogni strumento diagnostico, se correttamente impiegato, può risultare utile. Saranno le autorità sanitarie competenti a definire il campo di applicazione dei nuovi metodi diagnostici.
Disponibilità commerciale del dispositivo
La produzione e commercializzazione del kit è stata affidata ad In3diagnostic, ex spin off dell’Università di Torino. In3diagnostic è un’azienda che da anni collabora con il gruppo di ricerca che ha messo a punto il dispositivo, ovvero il Dipartimento di Scienze Veterinarie, e con il Dipartimento di Chimica, per la realizzazione di metodi diagnostici innovativi dedicati alla veterinaria. Essa è partner del progetto di ricerca, avendolo cofinanziato.