Preoccupante l’aumento prezzi delle materie prime

Sono diverse le cause degli aumenti vertiginosi. Jacob Kjærsgaard le ha individuate e ha fatto il punto della situazione durante un recente webinar organizzato dall’associazione Dfa (Danish farmers abroad)

Le materie prime sembrano essersi imbarcate su un ottovolante che stenta a raggiungere il punto di virata e discesa verso il basso. Jacob Kjærsgaard, intervenuto al webinar dell’associazione Dfa (Danish farmers abroad), ha evidenziato come la problematica del surriscaldamento dei prezzi delle materie prime non sia soltanto una conseguenza della guerra tra Russia e Ucraina, ma derivi invece una crisi che viene da più lontano e che si può far risalire a tre ragioni principali.

 

L’impennata vertiginosa
dell’import cinese

Dal 2020 si è assistito a un forte incremento delle importazioni cinesi di derrate agricole tra cui mais, orzo e frumento. Il Paese del Dragone, dopo essersi trasformato nel giro di 15-20 anni da debole esportatore a leggero importatore, dal 2020 ha fatto registrare un’impennata sugli acquisti dall’estero, in virtù di una normativa che per contrastare la diffusione della Peste Suina Africana ha imposto il divieto dell’utilizzo degli scarti alimentari per l’alimentazione dei suini. Stesso andamento per il grano, che da 2-3 milioni di tonnellate importate nel 2016 è passato a 8 milioni nel 2020, per crescere fino a quasi 10 milioni nel 2021. Le previsioni di acquisto per i due cereali in questione sono stimate in crescita nei prossimi anni. L’aspetto che dovrebbe far riflettere è che apparentemente la Cina ha i maggiori stock a livello mondiale per il mais (70% sul totale!) e per il grano (50% sul totale). Ciò che viene da chiedersi è se i valori dichiarati siano reali oppure no, come spesso avviene per i dati forniti da questo Paese. Tornando invece alle importazioni di materie prime si può citare il caso della soia, che in circa 15 anni è passata da un import di 10 milioni a 100 milioni di tonnellate nel 2021, motivo per cui attualmente la Cina rappresenta da sola il 70% del commercio mondiale per questa leguminosa.

 

Situazione degli stock mondiali
e raccolto 2021

Come seconda causa dell’elevato prezzo delle materie prime, Kjærsgaard ha messo in evidenza la situazione a inizio 2021: si veniva infatti dall’annata precedente, contrassegnata dai forti acquisti cinesi che avevano depresso gli stock mondiali delle principali derrate agricole. Il raccolto dell’anno appena trascorso è stato in generale abbastanza deludente, con la siccità che ha compromesso la produzione di mais in Sud America (Brasile in particolare) e di grano in Nord America (Canada in primis). Il raccolto della colza è stato dimezzato sempre in Canada, che ne rappresenta il maggiore produttore mondiale. Si potrebbero citare molti altri casi come questi in giro per il globo e, magari, obiettare che i dati relativi agli stock mondiali sono comunque elevati, ma secondo Kjærsgaard l’aspetto delle giacenze è poco significativo, in quanto i Paesi importatori potrebbero sì avere stock importanti, ma difficilmente sarebbero disposti a metterli sul mercato (vedi la Cina). Kjærsgaard ha invece osservato come un altro dato sia più rappresentativo della disponibilità mondiale, ovvero il rapporto tra le giacenze nei Paesi esportatori e l’utilizzo della materia prima stessa. Ad esempio, per il mais e il grano ci troviamo in una situazione che ha raggiunto i minimi storici. Stesso andamento potrebbe essere evidenziato per altre materie prime agricole come colza, girasole e soia. Per quest’ultima inoltre, le stime Usda nei Paesi maggiori produttori per il raccolto imminente sono improntate al ribasso: in Brasile da 144 a 125 milioni di tonnellate, in Argentina da 48 a 42 milioni di tonnellate, in Paraguay da 10 a 3 milioni di tonnellate.

In questa situazione di generale pressione sulle principali materie prime agricole si va ad inserire il fiorente mercato delle bioenergie. Gli Stati Uniti, che sono particolarmente attivi nel settore, utilizzano circa 3 milioni di tonnellate di mais alla settimana per la produzione di etanolo. Se moltiplichiamo questa enorme quantità per le 52 settimane dell’anno, raggiungiamo l’impressionante cifra di 150 milioni di tonnellate utilizzate nei soli Stati Uniti per questo fine. Da notare che il quantitativo di cui si sta parlando equivale all’intero raccolto annuo di grano dell’Ue nel suo insieme.

 

La guerra tra Russia e Ucraina

Proprio per l’alta richiesta delle materie prime agricole, siano esse impiegate nell’alimentazione umana, in quella animale o per la produzione di bioenergie, difficilmente ci si potrà aspettare un abbassamento del prezzo di tali commodities nel breve ma anche nel medio termine, secondo Kjærsgaard. Per questo motivo infatti, già sul finire del 2021 e all’inizio del 2022 ci trovavamo in una situazione di prezzi particolarmente calda.

Infine è arrivata la guerra tra Russia e Ucraina, che in appena una settimana dal suo inizio ha fatto salire i prezzi mediamente del 35-40%.

Le preoccupazioni sono pienamente comprensibili, dal momento che la Russia è il principale esportatore mondiale di grano, mentre l’Ucraina è al quarto posto come esportatore mondiale di grano e mais, al terzo posto per la colza e al primo posto per il girasole. Ad oggi, purtroppo, la guerra è ancora in corso e nessuno è in grado di dire in che modo gli agricoltori ucraini abbiano potuto prendersi cura dei cereali vernini, o se potranno preparare adeguatamente i campi per le prossime semine di mais e girasole.

Ad esempio, al momento dello scoppio della guerra Russia e Ucraina dovevano ancora esportare 15 milioni di tonnellate di grano e 7 milioni di tonnellate di mais per raggiungere quelle che erano le stime Usda per l’anno in corso, che si chiude al 30 giugno 2022. Tutte queste materie prime che non sono entrate nel mercato mondiale, non hanno fatto altro che aumentare la pressione sui prezzi delle stesse.

 

Preoccupazione per l’indice Fao

Un indicatore di questa situazione particolarmente complessa è rappresentato dall’indice Fao dei prezzi dei prodotti alimentari, che si è attestato su una media di 159,3 punti a marzo 2022 facendo registrare un aumento del 12,6% rispetto a febbraio, mese in cui era già stato raggiunto il massimo livello dalla creazione dell’indice, nel 1990.

 

Conclusioni

A fronte di questa situazione quantomeno caotica, i Paesi esportatori hanno iniziato a innalzare barriere protezionistiche: la Russia già prima dell’inizio della guerra aveva preso misure per limitare l’export e, notizia di poche settimane fa, anche l’Argentina ha imposto maggiori dazi per rendere l’export di soia meno vantaggioso. Dal canto loro, i Paesi importatori stanno incrementando i sussidi per calmierare i prezzi dei prodotti alimentari, ma questi interventi sono chiaramente destinati ad avere vita breve, a causa dei forti costi che ne derivano.

Se abbassare la domanda di prodotti agricoli è difficile per i motivi già elencati, secondo Kjærsgaard non sarà facile nemmeno aumentare la produzione, soprattutto in virtù di due considerazioni principali:
- l’altissimo costo dei fertilizzanti che ne scoraggia in taluni casi l’utilizzo;

- i terreni messi a riposo, seppure ora autorizzati all’utilizzo, riguardano spesso aree marginali già di per sé meno produttive di quelle abitualmente in lavorazione.
Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni che si sono fatte, Kjærsgaard ha concluso dicendo che il prezzo delle principali commodities agricole rimarrà mediamente elevato nel prossimo futuro. Ovviamente, nessuno è in grado di fare previsioni relative alle modalità e tempistiche dell’eventuale storno dei prezzi che ora è tanto agognato. Ciò che sembra certo, oggi, è che i prezzi si andranno a livellare su valori medi a cui non eravamo abituati fino a pochissimi anni fa.

Il mercato dei fertilizzanti

Il webinar è poi proseguito ospitando l’intervento di Ole Schou, che ha avuto l’incarico di parlare del mercato dei fertilizzanti, anch’esso salito come una scheggia impazzita negli ultimi mesi in particolare. Schou ha esordito presentando quelli che sono i principali partners dell’Ue per tali prodotti:

  • la Russia, di gran lunga il maggior fornitore;
  • il Marocco, importante per i suoi depositi di fosforo;
  • l’Egitto, per la produzione di urea dai suoi giacimenti di gas naturale;
  • la Bielorussia, importante per i suoi depositi di potassio.

 

Il relatore ha poi mostrato come il prezzo dei fertilizzanti, soprattutto quelli a base di azoto che in Europa rappresentano oltre i ⅔ dei concimi utilizzati, sia fortemente correlato con due aspetti in particolare:

  • il prezzo delle materie prime agricole;
  • il prezzo del gas naturale.

Entrambi gli aspetti hanno una loro logica: è chiaro che, nel momento in cui le materie prime agricole aumentano, aumenta anche la richiesta di fertilizzanti per cercare di migliorare le rese per ettaro. Allo stesso modo, i produttori sanno che i margini stanno ampliandosi e ne approfittano per incrementare il prezzo dei loro preziosi concimi chimici.

Per quanto riguarda lo stretto rapporto tra fertilizzante azotato e gas naturale, basta dire che quest’ultimo rappresenta l’80-90% del costo di produzione del fertilizzante.

Anche in questo caso la guerra tra Russia e Ucraina ha finito per esacerbare ulteriormente una situazione già di per sé difficile, portando il prezzo dei fertilizzanti ai massimi storici.

Come per le materie prime agricole però, Schou ha affermato che anche a guerra finita il prezzo dei fertilizzanti difficilmente rientrerà sui livelli ai quali eravamo abituati. Purtroppo infatti, secondo molti analisti, il prezzo del gas naturale è rimasto su livelli talmente bassi negli ultimi 20 anni (tra 15 e 25 €/MWh) che quasi si potevano considerare irreali. Per cui, nonostante il prezzo si sia abbassato rispetto all’inizio della guerra, secondo Schou ci dovremo purtroppo preparare a fluttuazioni su livelli ben superiori rispetto a quelli cui eravamo avvezzi.

Preoccupante l’aumento prezzi delle materie prime - Ultima modifica: 2022-05-23T13:38:37+02:00 da Annalisa Scollo

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome