Non bisogna per forza avere una storia lunga cent’anni per essere custodi della tradizione. A volte basta il saper credere in un’idea, unita alla voglia di fare e a una buona dose di umiltà, fondamentale per passare dal ruolo di spettatore a quello di parte attiva di un lungo e complesso percorso di tutela. Perché quando si parla di Mora romagnola, è bene ricordarlo, non si discute solo di una razza autoctona dal colore caratteristico e dalle carni prelibate, ma soprattutto di un esemplare animale che ancora oggi, nonostante il lavoro fatto, è ancora a rischio estinzione. Ecco allora che l’attività di suinicoltori come Lucio Zavatta, titolare insieme al padre Giorgio dell’allevamento nel Riminese, assume un peso specifico completamente differente, perché comporta nozioni come salvaguardia e attenzione alla genealogia. Termini usati come spina dorsale di una vita spesa non solo ad allevare un particolare tipo di suino, per poi rivendere i prodotti frutto della sua macellazione, ma anche e soprattutto per ridare alla Romagna un pezzo di memoria che sta rischiando ormai da troppo tempo di scomparire.
Il sogno di padre e figlio
Siamo a Uffogliano, una minuscola frazione di Secchiano Marecchia nel comune di Novafeltria, in provincia di Rimini. Geograficamente parlando, la zona è quella del Montefeltro all’interno della Valmarecchia. Qui, dal 2006, Lucio e papà Giorgio sono titolari di un podere di circa ventisei ettari di dimensioni, situato a 350 metri sopra il livello del mare. Un luogo semplice, fatto di ampie distese di prati e fitto bosco, ma perfetto per mettere le radici di un nuovo progetto. Parlare di “nuovo”, in questo caso, è fondamentale, perché gli Zavatta non sono arrivati alla zootecnia partendo proprio dall’autoctona. Fino al 2011, Giorgio era socio insieme al fratello nella conduzione di un allevamento intensivo da circa ventimila capi all’anno destinati al prosciutto di Parma. Terza generazione di una dinastia di suinicoltori, il 44enne Lucio si è formato le ossa proprio all’interno dell’azienda del padre e dello zio. «Per anni mi sono occupato più o meno di tutti i settori – ricorda –, maturando un bagaglio culturale sulla cura e la crescita dei suini».
Il più giovane della famiglia ben presto comincia però a maturate un sogno, che trova una condivisione nelle idee del padre. Si arriva così al 2006 e all’acquisto dell’appezzamento di terreno di Uffogliano. Grazie al Piano di sviluppo rurale (Psr) riescono a ottenere dei finanziamenti pubblici per realizzare la stalla, i recinti e un laboratorio di trasformazione. Dopo qualche anno, tutto è pronto «e nel 2012 – ricorda Lucio – abbiamo formalmente iniziato la nuova avventura con la Mora romagnola».
Allevamento semi-brado
Provando a mettere sul piatto qualche nozione di carattere tecnico, quello costruito dagli Zavatta è un allevamento semi-brado associato a Slow Food e che si attiene in maniera pedissequa al disciplinare previsto dall’associazione “La Mora del presidio”. Al principio “I Fondi” era partita con alcuni capi di Mora romagnola in purezza e un incrocio di Mora e Large White. Progetto, quest’ultimo, accantonato quasi subito, per concentrare gli sforzi solo e unicamente sull’autoctono cento per cento.
All’interno del podere, dieci ettari sono dedicati al pascolo dei suini, divisi in due grandi siti rispettivamente da sei e da quattro ettari. Le imponenti recinzioni che corrono lungo tutto la collina, delimitando gli spazi riservati all’attività, sono state tutte realizzate con una rete elettrosaldata alta quasi due metri, che affonda fino a trenta/cinquanta centimetri sottoterra. Questo consente agli allevatori di mantenere le bestie all’interno di confini ben delimitati e di proteggerli dal potenziale ingresso esterno di animali selvatici come lupi e cinghiali, particolarmente presenti nelle zone collinari.
Una volta trascorsi tre o quattro mesi dalla nascita e dopo aver effettuato le vaccinazioni previste per legge, i suini di Mora romagnola vengono tutti spostati nei pascoli, dove rimangono fino al raggiungimento dei 170/200 chili, suddivisi in gruppi da circa cinquanta (questo garantisce loro uno spazio per muoversi di ben dieci volte superiore a quello previsto dalle linee guida).
Trattandosi di un allevamento semi-brado, i suini si nutrono del cotico erboso che trovano girando per l’ampia collina, ma tuttavia Lucio integra l’alimentazione con del mangime vegetale no Ogm acquistato dalla ditta Veronesi e sempre presente nei vari ricoveri sparsi all’interno dei recinti. Una scelta, questa, chiaramente dettata dal bisogno di portare gli animali al peso ideale dopo circa quindici mesi.
Attualmente la capacità dell’azienda è di duecento capi all’anno che, come si diceva prima, vivono tutta la loro esistenza all’aperto. «Trattandosi di una razza geneticamente molto rustica – ricorda l’allevatore –, resiste bene anche al freddo invernale. Per farle un esempio, nel 2012, quando abbiamo iniziato, ci fu una grande nevicata e i suini pascolavano in mezzo alla neve. Non ne abbiamo perso nemmeno uno».
Gestione dei parti
La stalla dell’azienda “I Fondi” viene invece utilizzata per il ricovero dei riproduttori e delle sedici scrofe di cui oggi dispone. «Eravamo partiti con due – spiega Lucio –, ma una volta nati i primi suinetti, abbiamo intrapreso una selezione delle femmine per la riproduzione».
All’interno del capannone vi sono sei gabbie parto su paglia, dove le scrofe entrano una settimana prima, in modo che possano ambientarsi alla nuova sistemazione, e rimangono per i primi trenta/quaranta giorni di allattamento. In questo modo, la famiglia Zavatta riesce a mantenere una media di circa due parti all’anno per scrofa, ognuna delle quali genera tra i quattro e i dodici (a volte persino tredici) suinetti.
Terminato l’allattamento, i piccoli vengono allontanati dalla mamma e portati in un’area a loro dedicata della stalla, organizzata con box su paglia da trenta animali circa (qui vi rimangono fino al raggiungimento del quarto mese).
Chiaramente non viene effettuata alcuna mutilazione di code o orecchie e non viene applicata alcuna anella al naso. Per quanto riguarda la castrazione degli individui maschi, avviene entro tre giorni dalla nascita.
Una razza da salvaguardare
Quando si affronta l’argomento Mora romagnola, il momento appena descritto della nascita di nuovi suinetti è tra i più importanti. E non solo in termini economici per l’allevamento, ma proprio per quel discorso di salvaguardia della razza che si faceva all’inizio. I numeri che tratteggiano la storia di questo autoctono sono impietosi: se nel 1918 la popolazione ammontava a 335mila capi, nel 1949 si era già ridotta a 22mila e nei primi anni ’90 ne erano rimasti appena 15 esemplari con elevato livello di consanguineità, miracolosamente conservati dal faentino Mario Lazzari. L’intervento del Wwf prima e poi dell’Associazione nazionale allevatori suini (Anas) ha dato il “la” a un piano di recupero e tutela, gettando le basi per la ricostruzione.
Ciascun suinicoltore, oggi, dà quindi il suo apporto per riportare la specie a numeri che la conducano al di fuori dal rischio estinzione. Un contributo che si concretizza proprio nella fase della procreazione. «L’unico strumento che abbiamo – interviene Lucio Zavatta – è infatti quello di abbassare il più possibile la consanguineità tra i suini». La modalità attuata è semplice e supportata dalla tecnologia, grazie a un sistema di accoppiamento virtuale realizzato da Anas. «Ogni due anni – prosegue l’allevatore riminese – vado alla ricerca di nuovo sangue, girando le varie stalle per trovare il verro giusto. Una volta scelto, viene fatto l’accoppiamento virtuale, andando a controllare il “coefficiente di consanguineità”, che deve essere il più basso possibile. In questo modo nascono suini più forti, maggiormente resistenti alle malattie e aumenta la prolificità». È nato, insomma, quello che si potrebbe definire come una sorta di scambio tra allevatori, che sono sì in concorrenza, ma ugualmente uniti per perseguire un obiettivo comune.
Trasformazione e commercializzazione
La realtà aziendale costruita da padre e figlio sui colli di Rimini, tra l’altro, è a ciclo chiuso, perché Lucio non si occupa solo della nascita e crescita dei suini, bensì anche della trasformazione delle carni di Mora romagnola. «La nostra produzione è di tipo artigianale, rispetta la tradizione e ci avvaliamo di moderne biotecnologie (locali climatizzati) a tutela della salubrità dei salumi realizzati – ci tiene a precisare il piccolo artigiano –. Tutta la filiera avviene in azienda, ad esclusione della macellazione, effettuata come da disciplinare non prima dei 15 mesi di età del suino, e per la quale ci rivolgiamo al mattatoio comunitario di Talamello, a soli 15 minuti di distanza dalla nostra azienda». Una volta ricevute le mezzene, Lucio dà il via alla creazione di coppe, lonzini, lardo, pancette, salsicce stagionate, culatello (salume non certo tipico della tradizione romagnola, ma che qui fanno ugualmente per via della qualità espressa) e soprattutto del salame stagionato sessanta/settanta giorni insaccato in budello naturale ottenuto esclusivamente con carne di coscia e guanciale, «senz’altro – dice Zavatta – si tratta del prodotto che più ci caratterizza e contraddistingue».
Il laboratorio è semplice, in quanto composto da una sala di asciugatura e una di stagionatura, entrambe dotate di sistemi tecnologici per il controllo dell’umidità.
Chiacchierando un po’ di quantità, dentro “I Fondi” mandano al macello sei suini ogni tre settimane, dai quali ne ricavano dodici cosce. A quattro di queste viene estratto il culatello, mentre il resto diventa tutto salame.
Canale vendita smart
Una volta pronti, i frutti di questo lavoro vengono venduti per l’ottanta per cento tramite consegna a domicilio, sia per quanto riguarda la carne fresca che per quella stagionata. Nel tempo, Lucio ha infatti messo a punto una nutrita lista WhatsApp di clienti che informa una settimana prima della macellazione, ricevendone poi i vari ordini.
Il resto della produzione finisce sulle tavole dei ristoranti sia emiliano-romagnoli che del resto d’Italia o viene commercializzato direttamente dalla famiglia nel corso delle sagre o eventi ai quali decidono di partecipare. «Siamo ancora giovani come azienda – concludono –, ma stiamo imparando a farci conoscere».
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