«Per ora dobbiamo consolidarci con questa nuova organizzazione, ma abbiamo ancora un sacco di progetti, tra cui un impianto di biogas. Ci penseremo durante l’inverno: l’importante è non fermarsi mai». C’è tutta l’imprenditorialità e la voglia di fare di un allevatore non ancora quarantenne nelle parole di Andrea Minardi, figlio d’arte, vicepresidente della Coldiretti di Piacenza ma soprattutto titolare, assieme al padre Nello e alla madre Emilia Co’, di uno dei più importanti allevamenti di suini della provincia, recentemente rivoluzionato nell’organizzazione e nella logistica.
«Dopo gli interventi del 2004 e del 2010 avevamo l’esigenza di strutturarci meglio. Ne abbiamo approfittato per predisporci a far parte di alcune filiere, come animal welfare e antibiotc free, che in un prossimo futuro potrebbero diventare interessanti. Siccome i lavori dovevano essere fatti, tanto valeva farli in modo da non precludersi possibilità future».
Un ragionamento tipico di un imprenditore che guarda al medio termine e non soltanto alla convenienza del momento. «Abbiamo speso di più e possiamo ospitare meno animali in rapporto agli spazi, ma questa soluzione ci potrebbe aprire molte porte negli anni a venire. Per cui, va bene così».
Una nuova organizzazione
La prima data-simbolo per l’allevamento Minardi è il 1999, quando Nello – il figlio allora era alle superiori – avviò l’attività con 700 scrofe. Cinque anni dopo aprì il primo centro per l’ingrasso separato, che assorbiva metà dei capi presenti nell’azienda.
«Nel 2010 realizzammo il secondo ingrasso separato, qui a pochi chilometri dalla sede principale. Due capannoni, che ora sono diventati quattro».
Seguirono otto anni di assestamento, finché, nel 2018, partì la riorganizzazione che si è conclusa soltanto nell’ottobre scorso, dunque poche settimane fa.
«Dal punto di vista strutturale, la novità maggiore è l’apertura di un sito 2 qui a pochi passi dalla sede principale, che diventata chiaramente il sito 1. In questo nuovo capannone facciamo svezzamento e portiamo gli animali fino a 50 kg, dopodiché li trasferiamo nei due centri di ingrasso e finissaggio. Realizzare questo spazio ci ha permesso di riorganizzare il sito 1, rifacendo le sale parto e la gestazione».
Tutto l’intervento, in effetti, è dovuto anche alla volontà di cambiare la gestione degli animali: da un lato passando alla banda tri-settimanale e dall’altro avvicinandosi ai principi dell’animal welfare, come già specificato. «Ci siamo attrezzati: se le filiere dovessero prendere ulteriormente piede, essendo già rodati potremo chiedere la certificazione in tempi rapidi e senza stravolgimenti della routine».
La nuova gestione prevede, per cominciare, che le scrofette F1 siano allevate su paglia, in un capannone dedicato, che rappresenta pertanto il quinto sito aziendale.
Nella sede principale, invece, si è intervenuti sulle sale parto, trasformando le gabbie in box apribili e riorganizzando le sale di gestazione, che sono passate dai tradizionali box con una decina di animali al massimo, alla filosofia dei grandi gruppi, con spazi in grado di ospitare fino a 100 scrofe. «Abbiamo notato immediatamente un miglioramento delle condizioni di vita, soprattutto per gli animali esclusi. Mentre in un box piccolo sono costantemente tormentati, in un gruppo da 100 capi sono molto più tranquilli e riescono ad alimentarsi con maggior facilità. Per semplificare ulteriormente la nutrizione siamo anche intervenuti sulla razione, rendendola più sostanziosa. In questo modo le scrofe dominanti si saziano prima e resta cibo a sufficienza per tutte le altre».
La razione alimentare
L’alimentazione, è il caso di ricordarlo, presso i Minardi è realizzata quasi totalmente in azienda. «Abbiamo circa 400 ettari di terreni, da cui ricaviamo quasi tutto il mais che ci serve e anche una buona parte di orzo. Inoltre disponiamo di un piccolo centro di essiccamento, che ci permette di ritirare mais e altri cereali dai nostri vicini. Crusca e una parte di orzo, oltre alle polpe, la acquistiamo invece dal consorzio Terrepadane di Piacenza. Alla luce di ciò, i nostri non sono suini italiani, sono suini piacentini… con qualche piccolo sconfinamento nel Parmense».
La razione alimentare è fornita in forma di broda, senza l’uso di auto-alimentatori. Fa eccezione la fase di svezzamento, durante la quale si usa un’alimentazione secca, oltre a una dose variabile di latte. Sono stati infatti collocate, in ogni box, tazze di auto-alimentazione: «Le abbiamo messe, per essere precisi, anche nelle sale parto, per dare un sostegno aggiuntivo ai suinetti, soprattutto a quelli un po’ sotto-media. Con la nuova organizzazione, infatti, questi ultimi non passano più al gruppo successivo, ma restano in ogni caso con i fratelli. In pratica, i gruppi che formiamo restano assieme per tutta la vita, dallo svezzamento alla macellazione. I suinetti sottodimensionati sono aiutati con l’alimentazione ma soprattutto con lo svezzamento ritardato di una settimana».
Bande tri-settimanali
Un cambiamento fondamentale, anch’esso strutturale in un certo senso, riguarda il passaggio dalle bande bi-settimanali a quelle tri-settimanali. «Una scelta che abbiamo ponderato molto e che è stata presa per dar modo ai suinetti di irrobustirsi un po’ di più prima dello svezzamento. Restare 28 giorni con la madre invece dei precedenti 21 ci dà animali più formati, più pesanti e più resistenti alle malattie. Inoltre abbiamo visto che non crea problemi alle scrofe, che non perdono eccessivo peso e tornano in calore in tempi regolari». Un cambiamento, conclude il giovane allevatore, che sta dando risultati positivi sotto tutti i fronti.
Gabbie aperte nelle sale parto
Come pure è positiva la scelta delle gabbie aperte per le nuove sale parto. Si tratta, come noto, di box apribili, in cui le scrofe possono muoversi abbastanza agevolmente, anche con la prole.
Un deciso passo sulla strada del benessere animale, quindi, che dovrebbe dare benefici più che sufficienti a compensare i maggiori spazi necessari per strutture di questo tipo. «A pochi mesi dal via, abbiamo ottimi riscontri e anche i casi di schiacciamento, che erano la nostra principale preoccupazione, dopo qualche settimana sono calati drasticamente, tanto che oggi sono uguali – o a volte inferiori – rispetto a quelli che registriamo nelle sale parto tradizionali».
La nuova organizzazione è quindi la seguente: le scrofe trascorrono la gestazione nei sopracitati box da 100 capi; una settimana prima del parto (indotto), sono fatte entrare nelle gabbie, che restano aperte fino al giorno prima della nascita.
Torneranno ad aprirsi quattro giorni dopo il parto, permettendo a madre e cuccioli di muoversi con molto più agio. «Inizialmente abbiamo avuto qualche problema, come sempre quando si adottano nuove soluzioni. Per esempio, avevamo messo delle mattonelle di cemento sotto alla scrofa, ma abbiamo visto che erano un catalizzatore per i suinetti, che avvertendo il caldo trattenuto dal cemento si concentravano proprio dove la scrofa si va a coricare.
È bastato spostarle al centro della gabbia, sotto alla lampada, per ridurre drasticamente le morti per schiacciamento».
Leggi l'articolo completo sulla Rivista di Suinicoltura n. 10!