Antico e moderno possono coesistere

Aree aperte, ampio spazio e presenza di paglia fanno sì che le morsicature alla coda siano praticamente nulle
L’azienda Brondino coniuga l’allevamento biologico con ampi spazi aperti a innovative tecniche di management. «La nostra è soprattutto una scelta etica, per assicurare il benessere degli animali e ottenere carni di qualità superiore»

L’allevamento biologico segue, come risaputo, regole proprie sotto molteplici aspetti. Dallo spazio per capo al tipo di alimentazione, dalle cure veterinarie ai tempi di allattamento, tutto è rapportato all’obiettivo di ottenere un maggior benessere per gli animali e, nei limiti del possibile, condizioni di vita più simili a quelle naturali. È quindi, per questo aspetto, una forma di zootecnia più vicina a quella del passato, sebbene portata avanti con scientificità e tecnologie assolutamente moderne.

L’azienda che vi presentiamo oggi abbina questa ricerca della tradizione a una modernità spinta in materia di digitalizzazione e tecnica di allevamento. Una ricerca che l’ha portata, per esempio, a essere la prima in Italia a sperimentare l’allattamento di gruppo, ormai diversi anni fa, e a nutrire le scrofe, sebbene in gruppo, secondo una curva personalizzata, grazie a un microchip auricolare e a un sofisticato sistema di alimentazione.

Ai piedi delle Alpi

Siamo a Fossano, provincia di Cuneo, dove da ormai tre generazioni la famiglia Brondino gestisce un piccolo allevamento di suini. «Iniziò mio nonno Bartolomeo nel 1982, con una scrofaia, dopo una vita passata a fare l’agricoltore. L’attività fu portata avanti da mio padre Giovanni, che, unico dei sei figli, rimase nell’azienda di famiglia», ci spiega Luca, che con il fratello Simone ha affiancato il padre Giovanni e la madre Adriana Milanesio nella conduzione dell’allevamento.

Un passaggio importante, secondo il giovane agricoltore, avvenne 22 anni fa, quando l’allevamento passò al ciclo chiuso, grazie alla costruzione di un capannone per l’ingrasso. «Arrivammo così a quella che ancor oggi è la consistenza della porcilaia, ovvero 200 scrofe. Nello stesso anno, fabbricammo il mangimificio aziendale in cui trasformiamo la nostra produzione agricola, realizzata su un’ottantina di ettari di superficie, in parte nostri e in parte in affitto», aggiunge Luca.

L’attività è proseguita, negli anni Duemila, con la realizzazione di un impianto fotovoltaico, ma il vero cambio di rotta è arrivato con la conversione al biologico.

Una scelta di benessere

Storia di una fattoria divenuta azienda e tornata fattoria”, recita il titolo della brochure che la famiglia ha realizzato per far conoscere la propria attività. Si torna, insomma, a quanto abbiamo scritto all’inizio di questo testo: la realizzazione di un allevamento che ricrea condizioni del passato, ma con scientificità e metodi moderni. «La conversione al biologico – ricorda Luca – coincise in pratica con il mio ingresso nell’attività. Un passo che, in realtà, non avrei mai pensato di fare». Il suo sogno, ci spiega, era diventare forestale o soccorritore alpino, per rincorrere la sua grande passione per la montagna. «Purtroppo, non risultai idoneo per problemi di vista e così dovetti ripiegare su altro. Mentre pensavo a cosa fare, iniziai a lavorare nell’azienda di famiglia e fu allora che un giovane veterinario mi coinvolse in un viaggio in Spagna, durante il quale mi mostrò il metodo Farm’s Mother, un modo completamente diverso di fare allevamento. Tecnologico, rispettoso degli animali e altamente professionale. Mi entusiasmai per quanto visto e tornato a casa proposi alla mia famiglia di muoverci in quella direzione. Fortunatamente, i miei genitori credettero in questo progetto e mio fratello minore ne fu entusiasta».

Comincia così la seconda vita dell’allevamento Brondino: una rivoluzione che lo porterà a essere il primo in Italia in cui si pratica allattamento di gruppo e, parallelamente, a trasformarsi in attività biologica (la certificazione è del 2018), sia per quanto riguarda la coltivazione dei terreni, sia per le porcilaie. «Da sempre in famiglia abbiamo il pallino della sostenibilità. Per esempio, nel 2009 installammo il fotovoltaico sul tetto e iniziammo a irrigare a goccia i nostri terreni. Diventare biologici è stata la naturale evoluzione di qualcosa che già perseguivamo da allevatori convenzionali».

Microchip e niente gabbie

La combinazione tra il metodo di allevamento appreso in Spagna e la conversione biologica ha fatto della ditta Brondino un unicum a livello italiano. Vediamo di scoprirne i dettagli con l’aiuto di Luca.

Per prima cosa, la tecnologia. Ogni scrofa, a Fossano, porta un microchip all’orecchio. Tramite la classica antenna radio è possibile identificarla, ricevendo sul palmare informazioni su stato di gestazione, numero di parti, ritorni di calore, eccetera. Soprattutto, però, si può applicare a ogni femmina una curva nutrizionale personalizzata. «Le scrofe vivono in gruppi di 80 capi e sono alimentate singolarmente, tramite una gabbia apposita. Quando l’animale entra è riconosciuto dal sistema elettronico, che somministra esattamente la quantità di mangime stabilita da noi, con uno scarto massimo di 100 grammi. Chi controlla gli animali, basandosi sull’osservazione degli stessi e sui dati in suo possesso, può decidere in ogni momento di cambiare la razione, aumentandola o riducendola. Si fa tutto tramite il palmare, direttamente dall’allevamento. Senza questo sistema elettronico, l’operatore dovrebbe segnarsi l’appunto su un foglio, andare in ufficio e applicare le modifiche. Tra le mille cose da fare, i fogli che si perdono e le immancabili urgenze, finirebbe per tralasciare la maggior parte di queste modifiche, mentre con il palmare l’intervento avviene in tempo reale ed è quindi molto più frequente».

L’alimentazione, come abbiamo anticipato, avviene in un box specifico. «Le porte si aprono automaticamente a mezzanotte e gli animali vanno a mangiare quasi sempre nello stesso ordine, rispettando le gerarchie. La gabbia non crea problemi, anzi dà alla scrofa un senso di protezione e le permette di mangiare con tranquillità. Quando scade il tempo stabilito, il trogolo rientra e si apre la porta di uscita, per far posto all’animale successivo».

Sulla carta, insomma, è tutto semplice e rodato, ma per arrivare a questo risultato occorrono tempo e pazienza. «Il problema principale è addestrare le scrofe. Con l’esperienza abbiamo notato che ci si riesce meglio se si inizia su animali giovani, attorno ai 40 kg di peso».

Allattamento di gruppo

Passiamo però alla caratteristica che più distingue l’allevamento Brondino dalla media, ovvero la gestione di parti e allattamento. «Le scrofe restano in gruppo fino al giorno 112, poi sono divise. Naturalmente, per le regole del biologico, non possono essere messe in gabbia. Quando partoriscono – prosegue Brondino –, restano isolate per circa dieci giorni. In seguito le rimettiamo nel gruppo, con una procedura che abbiamo messo a punto in questi anni, sfruttando quanto visto in Spagna, ma anche in un allevamento olandese».

La routine, continua l’allevatore piemontese, prevede di liberare prima i suinetti, che in questo modo mescolano i propri odori. «Quando tornano ai box per dormire, vanno quasi tutti dalla loro madre, ma ormai hanno addosso anche l’odore degli altri. Il mattino successivo, mentre le scrofe mangiano, le liberiamo e creiamo un gruppo unico. Non riscontriamo particolari problemi in questa fase, in quanto si ritrovano con animali con cui erano assieme fino a dieci giorni prima e che quindi conoscono. C’è soltanto un po’ di scompiglio con le primipare, che infatti introduciamo nel box per prime».

A questo punto inizia l’allattamento di gruppo. «Dopo pochissimi giorni, quando una scrofa si mette a terra per allattare, le altre la seguono nel giro di pochi minuti e i suinetti si alimentano dalla scrofa più vicina, perdendo il legame con la madre. In questo modo - continua la famiglia Brondino -, i piccoli ricevono anticorpi da più adulte e risultano più forti nell’affrontare il successivo svezzamento». Che avviene, in base ai canoni del biologico, al quarantesimo giorno di vita.

Costi su del 30% e oltre

Le regole per fare suinicoltura biologica sono abbastanza note, quindi ci soffermeremo soltanto marginalmente su di esse. Si va dal maggior spazio per ogni capo al divieto di usare gabbie costrittive, dalla necessità di avere uno sfogo all’aperto per le porcilaie a prescrizioni molto severe in materia di alimentazione e cure medicinali. «I problemi principali sono legati all’alimentazione, perché sia le materie prime di origine aziendale sia quelle provenienti dall’esterno devono essere biologiche. Questo porta a un innalzamento notevole dei costi. Per alcuni nuclei, per esempio quello di svezzamento, il prezzo è quasi del 50% più alto rispetto a un alimento simile ma convenzionale, a fronte di una minor energia, per cui i suinetti hanno un arresto di accrescimento. Il fatto di avere già 40 giorni li aiuta però a sopportare meglio lo stress».

Per ridurre l’intervallo inter-parto, i Brondino adottano una tecnica particolare nell’ultima fase di lattazione: «a partire dal ventottesimo giorno, dividiamo i suinetti dalle madri per un tempo crescente, da 5 ore in su. In quell’intervallo introduciamo il verro, che stimola i calori. In questo modo, le scrofe vanno in estro e sono fecondate mentre ancora allattano. Perdono progressivamente il latte, ma i suinetti trovano, a compensazione, il mangime, oltre ad avere ancora la madre vicina». In questo modo, i Brondino riescono a ridurre il gap di grassi rispetto alla suinicoltura convenzionale. «Si passa dagli 1,8 turni di un allevamento comune a circa 1,5 turni all’anno. Meno, ma in misura accettabile».

I maggiori costi sono naturalmente compensati da un prezzo di vendita superiore. «Le quotazioni variano, come per ogni mercato, ma spesso sono premianti. A ogni modo, vorrei ribadire che la nostra scelta non è mossa tanto da ragioni economiche quanto dalla volontà di assicurare una vita migliore agli animali. Le nostre azioni sono guidate da un’etica di fondo: quella di rendere più naturale la suinicoltura. Abbiamo adottato l’allattamento di gruppo per liberare le scrofe durante la lattazione e siamo diventati biologici per dare più spazio ai capi e produrre animali di qualità superiore. Siamo convinti che il futuro dell’umanità sia nel mangiare meno carne, ma di alta qualità e di provenienza certa. Per esempio, carne che non abbia problemi di resistenza agli antibiotici, e in questo ci aiuta il divieto di fare più di una medicazione nel corso della vita dell’animale. Inoltre, la carne è più matura, perché i tempi di accrescimento sono più lenti, e dunque ha caratteristiche organolettiche molto migliori».

La destinazione degli animali è il classico circuito di Parma e San Daniele, ma Brondino sottolinea anche un progetto che ha in corso con Eataly e che prevede la fornitura di un ridotto numero di animali per i negozi della nota catena. «In futuro ci piacerebbe approfondire questo discorso, sia con Eataly sia, magari, con qualche macelleria delle principali città, in modo da svincolarci almeno parzialmente dal giro dei grandi macelli».

Il suino antico e tecnologico al tempo stesso dell’allevamento Brondino sembra insomma destinato a fare molta strada. Ma, più ancora delle gratificazioni economiche, è la certezza di portare avanti una forma di zootecnia più sostenibile a far felici i proprietari. E a farli dormire più tranquilli. «Diciamo che se si presentasse ai nostri cancelli una troupe di qualche tv non avrei alcun timore a farla entrare, mostrandole ogni angolo dell’allevamento. E questo per noi è impagabile».

 

La gestione delle code

L’allevamento biologico non prevede mutilazioni, dunque i suini crescono con la coda naturale. «Abbiamo affrontato il problema della coda in anticipo rispetto ai colleghi – commenta Luca Brondino – e lo abbiamo superato senza particolari difficoltà. In parte grazie a una genetica molto tranquilla, frutto di una scrofa Goland e di verri Comeva e Goland C21. Soprattutto, però, sono gli spazi molto ampi a fare la differenza. I nostri suini hanno sempre uno sfogo all’aperto e crescono su lettiere di paglia o carta, con una pavimentazione su grigliato inferiore al 50%. La ridotta presenza di ammoniaca, unita ai materiali di svago e agli spazi ampi, li rende tranquilli e non sentono necessità di morsicarsi. Il rovescio della medaglia è che si devono pulire frequentemente i box».

Antico e moderno possono coesistere - Ultima modifica: 2022-07-19T12:17:51+02:00 da K4

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