In questa rubrica abbiamo raccontato di allevamenti grandi e piccoli, familiari o di taglio industriale, iper-tecnologici o ancora molto (troppo?) tradizionali; ma mai, a nostra memoria, ve ne avevamo presentato uno così profondamente e totalmente innovativo, tanto da non avere, a nostra conoscenza, eguali in Italia e andarsi a porre di diritto tra quelli più avanzati d’Europa. Lo ha pensato e realizzato una storica famiglia di allevatori di Milzano (Bs) grazie all’intraprendenza e alla lungimiranza dei suoi attuali discendenti, Azzurra ma soprattutto Alberto Cavagnini, che da anni ha ormai preso le redini dell’azienda di famiglia, suinicoltori da tre generazioni. Giusto per darvene un’anticipazione, parliamo di una scrofaia da 750 capi, completamente isolata dall’esterno e areata da un sistema di ventilazione forzata in pressione positiva, con doppio filtro in ingresso.
In altre parole, tutta l’aria che si respira all’interno del lungo capannone è biologicamente pura e infatti gli animali che vi nascono e crescono hanno un livello di sanità eccezionale, che li rende – per esempio – negativi alla Prrs, al momento. Ma questa è soltanto una delle caratteristiche salienti di questa scrofaia di ultima generazione. Andiamo a scoprirla in compagnia del titolare.
Un anno rivoluzionario
Alberto Cavagnini ha ricevuto l’azienda dai genitori, che la gestivano assieme ai due fratelli del padre. Azzurra, sua cugina, è figlia di uno dei titolari e lavora nella ditta di famiglia da poco più di un anno. Risolviamo immediatamente la pratica dei numeri: duemila scrofe, più diversi siti di svezzamento, magronaggio e ingrasso, con una parte degli animali acquistata all’esterno, in quanto la scrofaia aziendale non fornisce tutti i suinetti necessari a riempire i capannoni. Da qui la scelta, quasi una necessità, di avere una nuova scrofaia. «Quando iniziammo a progettarla, ci ponemmo alcuni obiettivi ben precisi. Il primo era di realizzarla in prospettiva delle future norme di benessere animale e stabulazione, dal momento che questo tipo di investimenti va programmato con una visione di almeno 20 anni.
Il secondo, migliorare le performance produttive e il benessere degli animali, o meglio migliorare le performance attraverso migliori condizioni di vita per gli animali. Una necessità ancor più sentita, in quanto volevamo entrare in alcune filiere specifiche che valorizzassero questo modus operandi».
Dall’idea al progetto, nel corso di pochi anni i Cavagnini hanno dato vita a una struttura da 750 scrofe, con il progetto di raddoppiarla a breve. «Abbiamo già chiesto i permessi. Quando sarà completa, servirà a raggruppare in un unico sito tutta la riproduzione, oggi divisa tra questa nuova struttura e la scrofaia tradizionale, che conta 1.300 capi». Inaugurata nell’autunno del 2021, la scrofaia lavora ormai da quasi un anno e mezzo ed è dunque possibile farne un primo bilancio, anche per valutare se e quanto le misure introdotte stiano migliorando la salute e il benessere degli animali. Senza dimenticare, ovviamente, la sostenibilità ambientale e, imprescindibile, quella economica.
Struttura all’avanguardia
È davvero difficile scegliere il punto di partenza per questa descrizione e inizieremo pertanto con l’idea più innovativa (per l’Italia) che abbiamo visto a Milzano, ovvero la filtrazione totale dell’aria in ingresso. Per realizzarla, i progettisti hanno costruito un capannone gemello – sebbene ovviamente molto inferiore per cubature – a fianco della scrofaia. «Si tratta di una struttura che corre lungo il fianco del capannone, per quasi tutta la sua lunghezza. Tutta l’aria che respirano gli animali passa da qui: entra da una fessura nella parete, attraversa due filtri e infine è spinta da una ventola verso le sale», riassume Alberto.Questa, però, è soltanto la sintesi del processo, alla quale dobbiamo aggiungere i numerosi e fondamentali dettagli.
Per cominciare, l’aria attraversa una serie di radiatori, che nei mesi caldi contengono acqua fredda e abbassano la temperatura di circa 5 gradi. «Questa è soltanto una delle soluzioni che abbiamo adottato per abbattere la temperatura interna. L’altra, più sostenibile ambientalmente, prevede che l’aria attraversi circa un chilometro di condutture a sette metri di profondità, sotto alle fondamenta. Da qui parte una rete di tubature che la porta nelle varie sale. In questo modo otteniamo due fondamentali risultati: il primo è che l’aria subisce una seconda climatizzazione, perdendo altri sei o sette gradi grazie alla permanenza nel sottosuolo, dove la temperatura è costante. Il secondo, è che grazie al polmone sotterraneo si rallenta notevolmente la sua velocità: riusciamo così a pomparla nelle sale senza creare eccessive correnti, che oltre a essere pericolose sanitariamente, disturbano le scrofe. Il flusso in ingresso è molto basso, ma sufficiente a mantenere la scrofa lontana dal foro di immissione.
Sfruttiamo questo comportamento per determinare il luogo prevalente di permanenza degli animali e, di conseguenza, lo spazio di defecazione». In pratica, siccome le scrofe non gradiscono la corrente, i progettisti hanno sistemato il pavimento fessurato – 30% della superficie totale – in corrispondenza delle prese d’aria. In questo modo gli animali usano questo spazio per le deiezioni, mentre vivono e si coricano nella parte di box più riparata. «Qui trovano anche un secondo elemento che li invita a fermarsi: la paglia tritata. Abbiamo un macchinario che ripulisce la paglia dalla polvere, la tritura e poi la predispone o per il posizionamento manuale o per il trasporto, per via pneumatica, nei vari box e nelle sale parto. La paglia è un materiale manipolabile per eccellenza, con cui gli animali giocano volentieri e su cui si coricano per riposare». Chiaramente, la presenza di materiale grossolano comporta alcuni problemi, per esempio la necessità di pulire manualmente i box parto. «È indubbiamente un impegno per gli operatori, ma abbiamo cercato di semplificare il più possibile il loro lavoro. Inoltre, abbiamo risultati così incoraggianti che, crediamo, ne valga la pena».
Il secondo elemento caratterizzante per la scrofaia dell’azienda è il controllo automatizzato di tutti i parametri. Non soltanto temperatura e umidità, ma anche ammoniaca, CO2, pressione, assunzione di acqua e cibo sono costantemente monitorati da una rete di sensori e telecamere. «I dati finiscono quotidianamente in un unico software e questa è a mio avviso una soluzione molto intelligente, perché non siamo costretti a lavorare con due o tre sistemi diversi, ma ci interfacciamo con una sola piattaforma, dalla quale gestiamo tutto: ventilazione, temperatura, curve settimanali della temperatura e così via. Abbiamo lavorato quasi un decennio per arrivare a questo risultato».
L’alimentazione è personalizzata: in base alla marca auricolare, le scrofe nei box di gestazione ricevono automaticamente la loro razione giornaliera. Allo stesso modo, questa versione zootecnica del Grande Fratello monitora l’acqua bevuta e il movimento degli animali. «Questi dati ci servono per ragionare sulle performance produttive, ma il vero obiettivo è arrivare ad anticipare ed evitare eventi che possono pregiudicare la salute o il benessere. Se per esempio notiamo che in corrispondenza di un evento imprevisto, come un aumento di temperatura o del tasso di ammoniaca, abbiamo avuto cadute produttive o problemi di salute, possiamo creare una relazione tra i due fenomeni e stabilire un segnale di allarme che scatta ogni qualvolta stanno per ripetersi quelle stesse condizioni». Un caso tipico è quello degli schiacciamenti, favoriti dal fatto che le scrofe partoriscono e vivono in box aperti.
Benessere a tutto tondo
Nella scrofaia della famiglia Cavagnini non ci sono gabbie fisse. «Abbiamo soltanto delle autocatture che si attivano quando dobbiamo fare l’inseminazione. Gli animali vi restano comunque pochissimi giorni (ore), poi sono trasferite nel box di gestazione, dove vivono libere. A sei giorni circa dallo sgravamento, le spostiamo nella sala parto, dove hanno a disposizione 7,2 metri quadrati di superficie, di cui 1,3 di ambiente protetto, dedicato ai suinetti». Si tratta di un nido chiuso da protezioni e dotato di pavimento riscaldato: «Grazie alla temperatura più alta, i suinetti restano molto tempo nel nido, riducendo i rischi di schiacciamento. Anche così – continua l’allevatore – abbiamo comunque un tasso di morti per schiacciamento maggiore rispetto ad una sala parto convenzionale. Stiamo quindi lavorando, di concerto con un team dell’Università di Torino ed una startup innovativa (Struttura srl), per analizzare le riprese delle videocamere, individuando gli schiacciamenti e identificando soluzioni per ridurli.
I primi dati incoraggianti dicono che la temperatura gioca un ruolo: quando è bassa, i suinetti restano più tempo nel nido e quindi corrono meno rischi». I locali, grazie al particolare sistema di ventilazione, non sono riscaldati durante l’inverno, se non per pochissimi giorni dopo il parto. Successivamente, i suinetti si radunano nel nido, dove resta attivo il pavimento riscaldato. In estate, invece, il sistema di cooling unito all’effetto geotermico riduce la temperatura dell’aria di circa 12 gradi rispetto ai valori esterni. «Nel 2022, anno difficile per le ripetute ondate di caldo, non siamo mai andati oltre i 26-27 gradi di temperatura interna», conferma Cavagnini.
Ammortamento accelerato
Siamo ora alla domanda fondamentale: ovvero, perché? Perché realizzare una struttura come questa, con un costo di quasi un terzo superiore a una convenzionale, quando si sarebbe potuto allevare lo stesso numero di animali a un costo molto inferiore?
«Premesso che lavoriamo sul benessere animale da ormai dieci anni, come ho detto in precedenza una struttura di stabulazione va pensata in una prospettiva di medio-lungo termine, vale a dire almeno 20 anni. Vista la piega che stanno prendendo le normative nel Nord Europa, c’è da scommettere che ben presto le gabbie parto saranno vietate ovunque. E questa è già una prima ragione per non fabbricarne di nuove. La seconda è invece produttiva: con questa scrofaia otteniamo risultati sanitari e di benessere che permettono ai suinetti di esprimere al meglio le loro potenzialità; dunque, abbiamo accrescimenti maggiori e in minor tempo».
L’aspetto sanitario, che finora abbiamo sottinteso, è basilare, per Cavagnini: «La biosicurezza, anche come parte del benessere animale, è stata il faro per la progettazione dell’intero edificio. Grazie alla filtrazione di aria e alla sanificazione dell’acqua, ma anche ad altri accorgimenti, come il rigido controllo degli ingressi, il trattamento ai raggi Uv per i materiali in entrata e simili, dopo quasi un anno e mezzo siamo ancora negativi alla Prrs. Forse non lo saremo per sempre e in tutti i siti, ma il nostro obiettivo è spostare il più avanti possibile eventuali contagi, in modo che i suinetti si siano già rafforzati quando entreranno in contatto con le malattie».
Superfici ampie, pavimentazione piena e soprattutto forte riduzione degli antibiotici vi permettono di entrare in filiere molto restrittive.
«Non abbiamo tuttavia progettato la scrofaia in funzione di questo. Arrivo anzi a dire che la collocazione degli animali è più una conseguenza che una causa del nostro investimento. Abbiamo lavorato in vista di normative future e per migliorare gli accrescimenti. Chiaramente, trovandoci con animali dalle caratteristiche molto particolari cerchiamo poi di piazzarli in filiere che valorizzino questi aspetti, anche dal punto di vista economico».
L’economia, appunto: ha senso un impegno economico di questo genere?
«Sicuramente la spesa iniziale è stata importante, ma d’altra parte ci consente di risparmiare somme considerevoli per l’energia, per esempio. L’impennata dei prezzi dovuta alla crisi ucraina ha ulteriormente ridotto i tempi di ammortamento, inizialmente calcolati in circa sette anni. Se aggiungiamo il risparmio sulla spesa in antibiotici e i migliori tempi di accrescimento dovuti alla sanità degli animali, il punto di pareggio si avvicina ulteriormente».
Un’ultima domanda, d’obbligo: lo rifarebbe?
«Certamente sì. Non so se rifarei tutto nello stesso identico modo, probabilmente apporteremmo qualche cambiamento, ma sì: gli aspetti fondamentali resterebbero uguali».
Complimenti per l’articolo di questo bellissimo allevamento della famiglio Cavagnini. Spero che seguano tanti altri la strada che hanno scelto i Cavagnini: quella di eliminare la PRRS e applicare la tecnologia per creare un ambiente che offre il maggiore benessere animale.