Quando si visita un’installazione seminuova, la sensazione è di trovarsi davanti a un’azienda che ha effettivamente una marcia in più: vuoi per i locali, luminosi e puliti, vuoi per le soluzioni strutturali e tecniche, che sono ovviamente di ultima generazione. L’azienda agricola Elisa di Mirco Scarabello ed Elisa Iannunzio, tuttavia, incrementa questa vibrazione positiva con una cura impeccabile degli esterni – si vedano le foto che pubblichiamo – oltre che degli interni (e sempre le foto ne sono testimoni). A indicare che oltre al benessere degli animali, tema particolarmente delicato quando si tratta di scrofaie a ciclo aperto, i proprietari tengono molto anche all’immagine generale dell’allevamento. E con ragione: persa tra campi e vigneti di Prosecco, Elisa tutto sembra tranne che un’azienda suinicola.
Sei anni di vita (con radici molto profonde)
Abbiamo scritto di un’installazione seminuova a buon diritto: i capannoni che visitiamo, ci dice Mirco Scarabello, sono stati edificati nel 2016, ovvero soltanto sei anni fa. L’esperienza professionale della famiglia è tuttavia molto più solida e ha radici che superano i 50 anni. «La nostra famiglia alleva suini dal 1970, quando mio padre e mio zio avviarono un’attività in buona parte simile all’attuale: scrofaia e vendita di suinetti, senza ingrasso». Lui, Mirco, ha lavorato dapprima assieme al padre e al fratello (lo zio, tutt’ora allevatore, si era infatti separato per realizzare un allevamento proprio), diventando indipendente nel 2018, quando Loris, fratello di Mirco, tenne le strutture originarie e Mirco la parte nuova, appena realizzata e che oggi gestisce con la moglie Elisa e i figli Luca e Giulia secondo criteri ben precisi.
Benessere all’estremo
Quali siano questi criteri, ce lo spiega lo stesso Scarabello: «Attualmente abbiamo 900 scrofe in produzione, come dicevo con ciclo aperto e vendita dei suinetti a 30 kg. Siamo però tra gli unici in Italia a praticare un allevamento antibiotic free e senza tagli di coda tra i suinetti; almeno finché gli animali non iniziano a mordersi».
Anche allora, tuttavia, i tagli sono più unici che rari, al pari del ricorso agli antibiotici. Circa il 90% dei nati, garantisce il suinicoltore, arriva allo svezzamento senza aver mai assunto un antibiotico e con la coda integra: un risultato che chiunque farebbe suo a occhi chiusi, al limite pure pagando qualcosa. La domanda, allora, è come Scarabello riesca in ciò che molti altri allevatori hanno tentato ripetutamente, ma con scarsi risultati. «Non c’è alcun segreto e non ci sono nemmeno regole fisse, ma un insieme di comportamenti, di tanti piccoli pezzi che, tutti assieme, ci permettono di arrivare a questo esito, oggettivamente soddisfacente. Iniziammo due anni fa – prosegue Scarabello – subito mettendo in atto una strategia complessiva di gestione della mandria e nel tempo abbiamo ulteriormente perfezionato il nostro metodo, che ora sta dando dei buoni frutti».
Ambiente e controlli
Analizziamo allora questa strategia, evidentemente vincente. Il primo elemento non lo si può replicare, essendo rappresentato dalla collocazione in un territorio povero di suinicoltura. «Viviamo a Roncade, provincia di Treviso. Qui gli allevamenti di suini sono pochi e molto distanziati. Ci sono molti più vigneti, per dire, e noi stessi siamo viticoltori oltre che allevatori. Essere lontani da altre realtà suinicole è un grosso aiuto per scongiurare le epidemie.
Il resto lo facciamo con la prevenzione, che cerchiamo di portare ai massimi livelli. Per esempio, abbiamo completamente recintato i capannoni, creando una zona rossa in cui entrano soltanto pochissime e selezionate persone. Un eventuale visitatore, per avervi accesso dovrebbe fare la doccia e cambiarsi completamente d’abito». La recinzione, come si vede anche dalle immagini, è strettamente limitata ai capannoni e ai corridoi annessi. In questo modo, l’azienda crea un vero cordone sanitario che può essere oltrepassato dagli operatori e da pochissimi altri. «Questa soluzione ci permette, per esempio, di tenere personale esterno, come gli autisti dei camion che ci riforniscono di mangime, fuori dal perimetro recintato». Gli autotreni arrivano infatti al cancello dell’azienda, sono disinfettati durante la pesatura e accedono poi alla prima area protetta, da cui riescono a scaricare il mangime nei sili senza entrare nell’area di massima sicurezza e senza contatti con gli addetti all’allevamento.
Altrettanta attenzione è dedicata a tutelare i suini dal contatto con animali selvatici: la recinzione chiaramente impedisce l’accesso a quelli terrestri, mentre i volatili sono bloccati da reti poste di fronte alle prese d’aria dei capannoni. «Le nostre strutture beneficiano di ventilazione forzata, con prese d’aria sopra alle finestre. Le abbiamo chiuse con griglie, in modo che nessun volatile possa entrare», ci spiega Scarabello.
Un ultimo canale di contagio potrebbe essere rappresentato dalle scrofette; ragion per la quale il protocollo sanitario è, al riguardo, particolarmente rigoroso: «Le scrofe da vita, al loro arrivo, sono ospitate in un’area separata e chiusa. Gli stessi addetti, ogni volta che entrano in questi locali cambiano tuta e stivali per evitare di trasferire eventuali patogeni nel resto dell’allevamento. Tutti gli animali – prosegue Mirco Scarabello – sono sottoposti ad esami del sangue e soltanto a seguito di esito negativo e quarantena sono immessi nei box. Senza questa procedura – conclude l’allevatore – diventerebbe molto difficile mantere il tasso di sanità che abbiamo al momento».
Gestione delle morsicature
Nonostante tutti gli accorgimenti, qualche epidemia sporadicamente coglie l’allevamento. «Il momento più difficile è tra i 40 e i 50 giorni di vita dei suinetti: in questo intervallo la Prrs colpisce duro e non sempre bastano i normali trattamenti. «Quando un box mostra malessere, in caso di febbre, usiamo il Paracetamolo. Se non è sufficiente a risolvere la situazione, piuttosto che perdere l’animale usiamo l’antibiotico. I capi trattati sono contrassegnati da una marca auricolare e saranno venduti come suini convenzionali». Una situazione, ribadisce Scarabello, che però riguarda un decimo al massimo degli animali venduti.
Un’altra eventualità che porta ad abbandonare il protocollo antibiotic free è la morsicatura della coda: «Quando avviene, dapprima disinfettiamo e cerchiamo di risolvere il problema, ma se ci sono complicazioni siamo costretti a ricorrere agli antibiotici».
Come abbiamo anticipato più sopra, in azienda non si tagliano infatti più code da due anni. «A parte qualche morsicatura sporadica, non abbiamo grandi problemi», ci dice il titolare. A evitarli, aggiunge, è una genetica abbastanza tranquilla (Goland con verro C21: un classico per le filiere Parma e San Daniele), unita ad ambienti non soffocanti e ben ventilati. «Anche lo spazio conta molto: abbiamo 0,35 mq per capo, contro gli 0,30 prescritti dalle normative. È inoltre presente il doppio degli abbeveratoi rispetto a quelli prescritti per legge, perché pensiamo che, prima che dalle normative, dipenda da noi allevatori creare le migliori condizioni in allevamento. C’è poi il management, un elemento che fa la differenza, unito a una buona alimentazione. Oltre alla normale presenza nei capannoni, facciamo un giro tra i box dello svezzamento due volte al giorno, prestando particolare attenzione a eventuali tracce di sangue sui muri o su una coda. In quel caso forniamo ai suini carta tagliata a strisce per cercare di distrarli e se necessario isoliamo l’animale preso di mira e lo trattiamo». La carta si aggiunge, come soluzione di emergenza, ai normali giochi, che sono principalmente catene, lunghe fino a terra per permettere all’animale di grufolare. «Ciò che distrae è utile, mentre ogni situazione che provochi stress o malessere è un possibile innesco di morsicature. Del resto, anche noi esseri umani siamo a disagio e solitamente nervosi in ambienti affollati e rumorosi. Per i suini non è diverso».
Le strutture
È noto quanto le strutture siano importanti per il benessere degli animali e abbiamo già visto come gli Scarabello adottino standard che superano le prescrizioni minime di legge. A rendere gradevoli gli ambienti sono inoltre l’età recente degli edifici e i sistemi di gestione del clima. L’allevamento è composto da tre capannoni: gestazione, parto e svezzamento, tutti con ventilazione forzata. «Abbiamo impianti della danese Skov in tutti i capannoni. Gestazione e sala parto hanno ventilazione forzata e raffrescamento con acqua nebulizzata, mentre lo svezzamento è ventilato e riscaldato, con 28 gradi di temperatura anche nei mesi freddi. Per le sale parto abbiamo naturalmente le lampade a infrarossi, che mantengono una temperatura di 34 gradi nel nido».
La pavimentazione, continua Scarabello, è grigliata (cemento in gestazione, ghisa e plastica nelle sale parto) e l’alimentazione è a secco, con prodotti Cargill. I reflui sono stoccati e distribuiti sui terreni aziendali e su quelli in convenzione mediante botti dotate di ancore e dischiere. «Usiamo i reflui sia su grano e mais sia nei vigneti, con un sistema di spandimento localizzato. I cereali che coltiviamo, comunque, non sono usati in azienda ma venduti, in quanto non abbiamo mai fatto il mangimificio aziendale. Il prossimo investimento – conclude l’allevatore – sarà per i box parto: al momento abbiamo gestazione libera e parto in gabbia, pur se con superfici superiori allo standard; tuttavia stiamo valutando il passaggio ai box aperti, come ulteriore azione migliorativa del benessere animale».
Buone performance
Abbiamo lasciato per ultimi i dati sulla produzione, in quanto i proprietari dell’azienda Elisa si sono, con ogni evidenza, concentrati soprattutto sulla qualità dell’allevamento. Ciò non toglie, tuttavia, che anche le performance siano di tutto rispetto: «Abbiamo una media di 28 suinetti venduti per scrofa/anno. Con una genetica non eccessivamente spinta, e allevando senza antibiotici e senza taglio della coda, è un dato che ci soddisfa». Buona anche la media di svezzati per parto: 12,5 capi, con punte superiori per le scrofe migliori. «Il nostro obiettivo è tuttavia quello di produrre animali con specifiche particolari, che entrino nelle varie filiere oltre che nei consorzi di Parma e San Daniele. Antibiotic free è un protocollo trattato da pochi salumifici, ma sicuramente interessante e, io credo, anche in progressiva espansione».