La relazione di Vincent ter Beek (editore di Pig Progress dal 2005) al Simposio europeo Esphm 2023 illustra i pilastri su cui l’allevamento del suino dovrà verosimilmente fondarsi per adattarsi ai tempi che cambiano.
Più attenzione al cambiamento del clima
Sebbene sia un argomento molto ampio da considerare, il tema del cambiamento climatico è oggi imprescindibile dall’essere considerato. Tutti i produttori del mondo, in tutti i settori, dovranno imparare a produrre con risorse più limitate del passato, per esempio per il pericolo della riduzione della disponibilità di acqua o di energie, o per una ridotta disponibilità di materie prime o per l’aumento del loro costo. Oppure, considerando il rovescio della medaglia, dovranno considerare come diventare più competitivi e versatili sfruttando nuove fonti, come per esempio l’energia solare.
Applicare le tecnologie di precisione
L’allevamento di precisione potrebbe diventare la risposta alla necessità di raggiungere sempre il potenziale produttivo di ciascun animale, riducendo al massimo le perdite di efficienza. La cura del gruppo di animali dovrà lasciare spazio alla cura del singolo animale all’interno del gruppo, con attenzioni specifiche e su misura.
La tecnologia aiuterà nella gestione dell’ambiente di allevamento, con software di controllo della ventilazione e della distribuzione dell’alimento automatizzati, ma aiuterà anche nell’osservazione degli animali, con sensori che riconoscono segnali di allarme prima ancora dell’occhio umano.
L’alimentazione di precisione garantirà che ogni suino riceva esattamente la quantità di alimento di cui avrà bisogno, secondo la sua età e la sua genetica, mentre l’intelligenza artificiale arriverà ad individuare precocemente le patologie in atto.
Allevamenti multipiano
La Cina sta sviluppando da qualche anno la tendenza a costruire sempre più allevamenti a più piani. Il record è un allevamento a 26 piani costruito nel 2022 nella provincia di Hubei, che accoglie 48.000 scrofe. Il più alto investimento in questo tipo di costruzioni invece è a Muyuan, con 660 milioni di euro di spesa. Nel contesto cinese, si tratta di una ricerca di efficienza.
In un Paese sovraffollato di persone che necessitano di carne e altri alimenti salubri, pur mancando di terra e spazi dove costruire, l’allevamento multipiano appare una soluzione logica. Effettivamente, se tutti gli allevamenti fossero a due piani anziché uno, lo spazio che occuperebbero sarebbe di circa la metà. Facile pensare al risparmio di spazio in caso di edifici sempre più alti. Rimangono i dubbi legati
- alla biosicurezza,
- alla gestione dei liquami
- e, dal punto di vista occidentale, anche dell’accettazione sociale di questa soluzione.
In Cina, il limite etico sembra essere il meno importante, e per questo sono ad oggi pionieri di questo trend.
Migliorare la biosicurezza
Il concetto legato alla biosicurezza che rappresenterà il futuro sarà legato ad una nuova impostazione mentale, con coscienza e trasparenza. Negli ultimi anni, si è reso chiaro come sopravviva soltanto chi resiste alla Peste suina africana, alla Prrs ed alla Ped (tanto per fare degli esempi!). Ed il successo della biosicurezza è strettamente connesso alla consapevolezza delle proprie azioni, del proprio modo di lavorare, ed anche di come si muovono le malattie infettive. Senza questa consapevolezza, qualunque intervento di biosicurezza in azienda, anche il più costoso, non conterà nulla perché non sarà utilizzato a dovere.
Sempre più biologico
Se da un lato, c’è chi tende a concentrare tutto in poco spazio con gli allevamenti multipiano ed una biosicurezza stellare, c’è anche chi segue il trend de ritorno alla natura e conclude che il modo migliore di produrre sia farlo con i suini all’aperto. Questo trend soddisfa anche i consumatori che, pur non essendo contrari al consumo di carne, ritengono che un allevamento più eticamente sostenibile sia la soluzione.
Certamente la soluzione è anche prevedere che questi consumatori paghino di più il prodotto così ottenuto, sebbene resti la perplessità di poter gestire in questo modo una richiesta crescente di carne. Tuttavia, il trend si presenterà prepotentemente nel prossimo futuro, e tenerlo a mente permetterà ai produttori di decidere coscienziosamente sul proprio modo di lavorare.
Abolizione del taglio coda e della castrazione
La domanda che ci si porrà sempre più spesso in futuro sarà: è corretto “aggiustare” le caratteristiche dei nostri animali allevati per renderli adatti ad essere allevati negli ambienti convenzionali? Alcuni Paesi europei non hanno la tradizione di castrare i suini, come per esempio la Spagna, la Gran Bretagna ed i Paesi Bassi. Altri invece hanno abolito il taglio coda, come Norvegia, Svezia, Finlandia e Svizzera. Ma quanti Paesi hanno abolito sia la castrazione che il taglio coda? Ad oggi nessuno.
Si apre, dunque, uno scenario di evoluzione per tutti i contesti europei, ma anche mondiali considerando che il dibattito esce dai confini del vecchio continente.
Le soluzioni all’odore di verro nelle carni ed alla morsicatura della coda non sono sempre univoche e scontate, ma la risposta alla domanda iniziale sembra essere “no, è più corretto ‘aggiustare’ le caratteristiche dell’ambiente di allevamento e non l’animale”.
Ridurre le emissioni
Al centro dei dibattiti contro gli allevamenti intensivi non ci sono soltanto le accuse contro lo scarso benessere animale, ma anche contro l’inquinamento prodotto da numeri elevati di animali. Effettivamente, ciascun allevamento non produce soltanto carne, ma anche liquami ed emissioni in atmosfera. Polveri, odori, ammoniaca, zinco, fosforo ecc. sono solo alcuni esempi di prodotti non voluti.
Per alcuni Paesi si tratta di un problema non ancora particolarmente sentito, mentre per altri rappresenta un muro insormontabile. Esempi sono il Belgio e l’Olanda.
Se per ora i movimenti politici sul tema, capitanati dai governi di questi due Paesi, sono contenuti e di piccola portata rispetto al resto del mondo, è anche vero che livelli elevati di ammoniaca danneggeranno i suoli ovunque. Questo potrà portare in futuro a nuove leggi restrittive anche nel resto d’Europa, e la suinicoltura non dovrebbe farsi cogliere impreparata. Alla fine, ridurre le emissioni può aiutare anche il microclima stesso negli ambienti interni di allevamento.
Produrre antibiotic-free (e anche senza zinco)
Il trend di produrre da animali allevati senza antibiotici è iniziato circa 20 anni fa nel Nord Europa, nel tentativo di ridurre l’utilizzo degli antibiotici ad uso auxinico e ridurre l’antibiotico resistenza.
Oggi, siamo tutti consapevoli che questi temi sono delicati e l’uso dell’antibiotico va preziosamente centellinato ai soli casi di necessità, ma per alcune filiere si comincia a mettere in discussione anche il suo utilizzo terapeutico.
Naturalmente ci sono differenze enormi tra Paesi e tra continenti, ma tendenzialmente il nuovo approccio ha intaccato maggiormente i siti di svezzamento, dove originariamente si faceva più utilizzo di antibiotico.
In Europa, Nuova Zelanda e Canada, la componente addizionale della riduzione dell’uso dello Zinco gioca un ruolo altrettanto importante. In futuro, sarà fondamentale concentrare le proprie energie per capire come gestire la fase di svezzamento nel modo migliore possibile per non sentire la mancanza di questi prodotti.
Movimento e spazio per le scrofe
Il sentimento che la popolazione media sviluppa di fronte al confinamento della scrofa in gabbia, è quello di sorpresa nel capire che per un intero mese di allattamento lei si trovi ad essere immobilizzata, senza potersi girare. Partendo da questo concetto, si sta arrivando ad una nuova legislazione europea (e ad un forte dibattito sul tema negli Stati Uniti) che vieta l’utilizzo delle gabbie in lattazione.
Questo porterà a conseguenze importanti per gli allevatori:
- un nuovo modo di allevare,
- ma soprattutto un intervento di sostituzione delle strutture aziendali decisamente invasivo.
Considerando le più ampie metrature da dedicare alla scrofa libera durante la lattazione, le aziende dovranno anche considerare di ridurre il numero di capi sull’unità di spazio.
Sostituire la carne
Questo trend potrebbe sembrare drammatico per alcuni, ed un’opportunità per altri. Con l’aumento della popolazione mondiale, la domanda che oggi ci si pone “come fare ad alimentare tutti con proteine animali?” potrebbe diventare “come fare ad alimentare tutti con proteine?”. Potrebbe la carne di suino (e di altre specie zootecniche) diventare un privilegio per pochi dunque? I prodotti che si trovano sugli scaffali del supermercato potrebbe cambiare molto nei prossimi anni.
Trovare fonti alternative alla soia
Questo trend del futuro si fonderà su diverse motivazioni. Tra le più importanti, quella che la soia utilizzata dai suini proviene da esportazioni massive, talvolta provenienti dall’America latina. Utilizzare quantità ingenti di prodotti provenienti dall’altra parte del mondo potrebbe rivelarsi la scelta meno sostenibile. Anzi, l’immagine dell’allevamento potrebbe peggiorare ulteriormente se venisse associata alla deforestazione.
Non sarebbe forse più logico iniziare a pensare a fonti alternative di proteine più locali, soprattutto dopo l’esperienza della carenza di materie prime dopo la guerra in Ucraina e l’aumento spropositato dei prezzi?
Utilizzare di più i social per comunicare
Un argomento molto sottovalutato nell’ambiente allevatoriale, è la comunicazione del proprio modo di lavorare sui social. Se fino a poco tempo fa, questo modo di comunicare poteva essere effettivamente superfluo, oggi diventa rilevante per l’uso che si fa dei media, e potrebbe essere indispensabile utilizzarlo correttamente in futuro per valorizzare l’operato di un settore.
Potrebbe arrivare il momento di adottare la comunicazione sui social per condividere ciò di cui il settore va fiero, ed i percorsi virtuosi che si stanno instaurando.
Certamente questo non porterà alla completa accettazione del proprio messaggio da parte di tutti gli utenti, ma comunicare in maniera trasparente è comunque un modo per mettere in buona luce i produttori. E se un produttore è fiero di aprire la porta del proprio allevamento per mostrare al mondo il suo modo di lavorare, probabilmente coglierà ancor meglio la necessità di smettere di tagliare le code, castrare o usare le gabbie.
L’articolo completo è pubblicato sulla Rivista di Suinicoltura 6/2023
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