Valorizzazione degli effluenti e sostenibilità produttiva

sostenibilità produttiva
Le emissioni ammoniacali nell’ambiente sono una criticità della zootecnia. Qual è l’impatto del settore zootecnico sulle emissioni? E qual è l’effetto delle emissioni sulle performance dei nostri suini?

Lo scorso 25 gennaio, alla Fiera di Montichiari, si è tenuto un convegno organizzato da Olmyx e Vetemontana per parlare di un tema oggi molto discusso: le riduzioni di emissioni di ammoniaca ambientale e il loro effetto sulle performance dell’allevamento suino. Il convegno era indirizzato per lo più ad agronomi, che tutti i giorni si trovano ad affrontare questo tema in relazione ai fertilizzanti e allo spandimento dei liquami. Al convegno hanno partecipato Alberto Finzi, ricercatore presso l’Università di Milano, che ha presentato alcuni numeri delle emissioni ambientali di ammoniaca e i metodi corretti di gestione e di stabulazione degli effluenti; Marco Acutis dell’Università di Milano che ha trattato la valorizzazione agronomica degli effluenti. Sono anche intervenuti Anne Morvan e Luca Storti, entrambi di Olmyx, sul tema del management aziendale degli effluenti. E infine un intervento preparato da Annalisa Scollo, ricercatrice dell’Università di Torino, e presentato dalla sua collaboratrice, Alice Perrucci, focalizzato sull’impatto dell’ammoniaca ambientale sulle performance dell’allevamento suino.

Gestione degli effluenti, quali sono i problemi oggi?

Il liquame è una miscela di urine e feci, la cui gestione oggi presenta delle problematiche; in primis l’impatto delle emissioni di ammoniaca e di altri gas su ambiente ed animali, dal punto di vista sia sanitario sia del benessere; poi la gestione dell’azoto, sostanza da non perdere, dato che si tratta di un gas molto importante usato come fertilizzante, e infine la gestione quotidiana degli effluenti, in termini energetici e di tempo, in allevamento. È evidente, quindi, come la perdita di azoto nelle varie fasi dell’allevamento sia un aspetto cruciale non solo per la perdita di tale componente, ma anche perché alti livelli di ammoniaca nel capannone possono essere dannosi per gli animali e per il personale aziendale, che si trova esposto a questa molecola per un numero considerevole di ore al giorno. Il liquame è un ecosistema microbico in continuo cambiamento: alcune condizioni ambientali presenti possono favorire la crescita di alcuni batteri, ma non di altri, con una conseguente differenziazione microbica. Vengono prodotti acidi grassi volatili, gas a fermentazione anaerobia, quali l’ammoniaca e l’acido solfidrico, che portano ad un impoverimento del valore economico del liquame, e la materia organica si stratifica con una fase liquida che galleggia in due fasi più solide. Si tratta quindi di una matrice in continua evoluzione e di difficile gestione.

Qual è il ruolo del settore zootecnico sulle emissioni di ammoniaca ambientale?

Se vogliamo conoscere i dati delle emissioni atmosferiche di diverse sostanze, fra cui l’ammoniaca, bisogna guardare nel database online consultabile da tutti, Inemar (INventario EMissioni ARia), gestito dall’Arpa. A questo database partecipano 2 Province autonome e 7 Regioni, fra cui la regione Lombardia. In Lombardia, la zona con maggiori emissioni di ammoniaca sono le province di Brescia e Mantova, e il 97,10% di queste emissioni origina dall’attività agricola, per un totale di 90.727 tonnellate. I primi responsabili di queste emissioni sono i bovini (50%) e i secondi i suini (27%). Gli animali, infatti, sono una delle principali fonti di ammoniaca ambientale, e le aree con i più alti livelli di NH3 nell’aria sono quelle a maggiore carico zootecnico. In Europa ben il 75% delle emissioni ambientali di ammoniaca è di origine zootecnica (Webb, et al., 2005).

Il contesto normativo

La normativa sulle emissioni dell’ammoniaca non è univoca, e negli anni è diventate via via più stringente. La norma che più tocca il settore zootecnico è la direttiva Ied 2010/75/Ue (ai più nota come direttiva Ippc), che affronta il problema delle emissioni delle attività industriali, di cui fanno parte anche alcune tipologie di attività zootecniche. In tale norma è indicato quali tecniche deve adottare un’azienda per ridurre le emissioni per rientrare nei livelli di emissioni autorizzabili stabilite dalla normativa. Queste tecniche sono chiamate Bat (Best Available Techniques) o Mtd (Migliori Tecniche Disponibili) e sono riportate in documenti di riferimento (Bref - Bat Reference Document), di cui uno ad hoc per l’allevamento intensivo suino e avicolo. Ad oggi sono obbligate a richiedere l›Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) solamente le aziende suinicole con più di 2000 posti da ingrasso (>30 kg) o 750 scrofe, e le aziende avicole con più di 40.000 posti. Una recente proposta della Commissione europea prevede di ridurre la soglia di ingresso in Aia a 150 Uba, ampliandola anche agli allevamenti bovini.

Gli effetti dell’ammoniaca sull’apparato respiratorio del suino

Quando respiriamo, l’aria arriva nei polmoni a livello degli alveoli, delle piccole cavità contenenti aria dotati di una parete sottilissima, ed è qui che avvengono gli scambi gassosi che permettono la respirazione: l’ossigeno entra negli alveoli, mentre l’anidride carbonica che produciamo viene espulsa. In caso di polmonite è compromesso questo scambio efficace di ossigeno ed anidride carbonica. Gli agenti patogeni che possono causare polmonite entrano nel nostro organismo quando respiriamo, perché contenuti in goccioline disperse nell’aria, oppure quando ci tocchiamo gli occhi, il naso o la bocca dopo aver toccato superfici contaminate. Dopodiché, i germi si scontrano con la prima linea di difesa del nostro apparato respiratorio: la clearance mucociliare, una barriera costituita da muco, che intrappola i germi invasori, e da ciglia molto sottili, che spingono il muco verso la bocca, così da poter espellere i germi ed il muco con la tosse. Purtroppo, però alcuni patogeni riescono a superare questa prima linea di difesa e ad arrivare ai polmoni, fino agli alveoli. Negli alveoli ci sono delle cellule del sistema immunitario specializzate a combattere i microrganismi patogeni e che innescano il processo infiammatorio. Come conseguenza dell’infiammazione gli alveoli si riempiono di fluidi, che interferiscono con l’ingresso di ossigeno dall’esterno e l’espulsione dell’anidride carbonica. La CO2, quindi, si accumula nel nostro sangue, e per cercare di eliminarla respiriamo più velocemente; l’aumento della frequenza respiratoria è uno dei sintomi più comuni della polmonite assieme alla tosse, che ci aiuta ad espellere il fluido contenuto negli alveoli. Alcuni fattori ambientali, tra cui il fumo di sigaretta, possono danneggiare la clearance mucociliare, determinando un’incapacità del sistema di liberare la trachea da minime quantità di germi e di fluido. Questo è ciò che avviene in caso di polmonite non solo nell’uomo, ma anche nel suino. L’ammoniaca ha un’azione irritante e corrosiva che, come il fumo di sigaretta, danneggia la clearance mucociliare favorendo l’insorgenza di processi infiammatori a livello polmonare. Un’esposizione ad alte concentrazioni di ammoniaca nell’aria causa un immediato bruciore a naso, gola e tratto respiratorio ed un eventuale aumento di fluidi a livello di bronchioli e alveoli, fino alla distruzione delle vie respiratorie con insufficienza respiratoria. Invece, un’inalazione di concentrazioni minori di ammoniaca provoca tosse ed irritazione di naso e gola. La percezione in allevamento del tipico odore ammoniacale pungente deve essere considerata come il primo avvertimento della presenza di ammoniaca; purtroppo, però l’ammoniaca provoca un adattamento dell’olfatto in caso di esposizione prolungata a basse concentrazioni, vanificandone l’attenzione.
Parlando di lesioni respiratorie predisposte dalla presenza di ammoniaca nell’aria dei capannoni, è bene citare il macello come osservatorio delle conseguenze sanitarie sul suino provocate dall’esposizione all’ammoniaca. Si tratta di conseguenze a medio-lungo termine, perché le lesioni polmonari e le relative cicatrici sono visibili a lungo, anche se la causa che le ha provocate è stata rimossa (ammoniaca o agenti patogeni).

Figura 1 - INEMAR - ARPA Lombardia (2022), INEMAR, Inventario Emissioni in Atmosfera: emissioni in Regione Lombardia nell’anno 2019

Il macello è un luogo ideale per osservare le lesioni, perché tutti i visceri sono a nostra disposizione in maniera pulita e rapida (i ritmi di macellazione negli impianti sono molto elevati), permettendoci di controllare numeri considerevoli in tempi brevi. Inoltre, il macello ci consente di controllare degli animali apparentemente sani; si tratta di animali che sono arrivati alla macellazione ma che presentano una serie di lesioni e cicatrici che non potremmo mai vedere in allevamento. Il suino nella sua vita colleziona una serie di lesioni e cicatrici che abbiamo percepito dal punto di vista clinico durante l’accrescimento, ma che difficilmente quantifichiamo. Tutte le lesioni che il suino ha collezionato hanno comportato, seppur per un breve periodo, una riduzione della crescita dell’animale stesso, provocando quindi delle perdite economiche invisibili.
La catena di macellazione è un punto di raccolta di queste informazioni, che altrimenti non potremmo avere. Fra gli agenti patogeni più frequenti nell’allevamento suinicolo, le cui lesioni vengono predisposte dai fattori ambientali come l’ammoniaca, dobbiamo citare Mycoplasma hyopneumoniae. Questo microrganismo e l’ammoniaca condividono la stessa modalità d’azione: distruggono l’epitelio superficiale respiratorio e la clearance mucociliare, predisponendo il polmone ad altre infezioni respiratorie. In allevamento, questo patogeno è persistente, spesso cronico, è responsabile della polmonite enzootica e spesso apre la porta a patogeni secondari provocando il complesso delle malattie respiratorie del suino. La mortalità è scarsa, ma il danno economico per mancata crescita degli animali è ingente. Tra i più frequenti e pericolosi patogeni di origine batterica che possono colonizzare il tratto respiratorio del suino in seguito al depauperamento delle condizioni dell’epitelio respiratorio troviamo l’Actinobacillus pleuropneumoniae. Questo germe provoca una sindrome respiratoria importante e spesso acuta, caratterizzata da una tosse intensa e profonda con grave difficoltà respiratoria. L’esposizione prolungata all’ammoniaca può danneggiare anche le alte vie respiratorie, ovvero i turbinati nasali, che vanno incontro a corrosione e atrofia, fino ad alterare esternamente il profilo del grugno.

Non solo problemi respiratori

Purtroppo, la presenza di alti livelli di ammoniaca ambientale non porta solo a problemi di tipo respiratorio, ma anche di tipo comportamentale. In letteratura, nell’allevamento suinicolo è stata dimostrata l’associazione tra la presenza di alti livelli di ammoniaca nell’aria e la morsicatura della coda, che è probabilmente dovuta al nervosismo degli animali allevati in condizioni ambientali non ottimali (Scollo et al., 2017). Per decenni, la coda del suino è stata tagliata alla nascita per ridurre il rischio di un successivo cannibalismo; tuttavia, la legislazione in vigora vieta questa pratica, e la gestione degli animali a coda lunga può essere talvolta particolarmente difficoltosa. Purtroppo, però, anche in presenza di code tagliate, il fenomeno della morsicatura della coda può portare a delle tragiche conseguenze dal punto di vista di benessere, sanitario e produttivo.
Tra le tante cause di nervosismo, ci sono anche le cause ambientali, che sono le più frequenti in caso di mancanza di un evento evidente che possa portare alla morsicatura. Per esempio, un evento evidente è la mancanza di spazio al trogolo per tutti i suini nel box: alla distribuzione del pasto, chi rimane senza accesso all’alimento morde il maiale davanti che ha l’accesso al trogolo e sta mangiando. Spesso però, condizioni ambientali non ottimali, come la presenza di ammoniaca nell’aria o correnti d’aria inidonee, sono le cause che durante una visita in allevamento percepiamo di meno. La breve durata di una nostra visita non ci consente di percepire queste condizioni ambientali sfavorevoli, che al contrario sono ben percepite dai nostri suini, i quali vivono in un ambiente non ottimale 24 h/24. Oggi non è più consentito il taglio delle code e la letteratura concorda nel dire che il rischio di morsicatura è molto più elevato.
Dunque, è evidente quanto sia rilevante ed impattante la gestione dei parametri ambientali in un allevamento, pena non soltanto fenomeni respiratori gravi, ma anche patologie comportamentali di difficile gestione, con conseguenti ingenti perdite economiche.


Effetti dell’ammoniaca sul comportamento animale

Volendo rispondere alla domanda “in quali condizioni di allevamento ho più probabilità di avere almeno 1 suino con la coda morsicata?”, è stato visto che l’ammoniaca è il secondo fattore influente dopo la densità in allevamento: in caso di densità di allevamento elevate (sopra quanto è imposto dalla legge), basta un livello di ammoniaca di 2,7 ppm per fare alzare il rischio di avere almeno 1 suino morsicature dell’86%. Alla domanda “quale percentuale di morsicatura avrò nel mio allevamento?” l’ammoniaca viene chiamata in causa subito: se l’ammoniaca è ≥ a 28 ppm, non c’è bisogno di altri fattori: la morsicatura della coda sarà presente in quasi il 4% di animali. A.P.

Valorizzazione degli effluenti e sostenibilità produttiva - Ultima modifica: 2023-03-17T14:59:42+01:00 da Lucia Berti

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