«Ci sono segnali positivi. Quattordici container hanno superato il controllo della dogana. Adesso ne rimangono ancora 26 che speriamo possano essere sdoganati senza problemi entro il 20 febbraio. E poi abbiamo lanciato anche una proposta per evitare danni alle aziende italiane dell’agroalimentare che esportano». Così Valerio Pozzi, amministratore delegato di Opas (Organizzazione prodotto allevatori suini) attualizza (al 25 gennaio, ndr) la situazione che si era andata creando agli inizi di gennaio quando le Autorità della Cina avevano distrutto il primo container di carne suina giunto nel paese asiatico (leggi la notizia ).
Ciò che in Italia e, nello specifico, in Opas era stato ipotizzato come pretestuoso ed infondato era infatti l’esito delle analisi svolte sui cartoni contenenti la carne di suino che – a detta delle Autorità cinesi – avevano riportato la presenza del Covid 19 sui cartoni. La decisione aveva scatenato reazioni di sorpresa e di stupore anche perché scientificamente senza fondamento. D’altra parte il blocco aveva anche sollecitato le attenzioni di varie Istituzioni europee ed anche nazionali – come il ministero degli Esteri, ministero della Salute e l’Ambasciata a Pechino – oltrechè di organizzazioni come Coldiretti e Assica e il Servizio sanitario della Regione Emilia Romagna.
«Di certo – erano state in quei giorni le parole di Pozzi in risposta alle nostre domande – il blocco è una notizia che ha gravi ripercussioni per una realtà di Organizzazione di prodotto quale è Opas e risulta molto difficile entrare in una logica più generale e complessa come quella dei rapporti fra Cina ed Unione europea visto che sono coinvolte anche aziende tedesche, danesi e olandesi. In tutto ciò occorre sempre tener presente che i prodotti che stiamo portando in Cina non hanno alcun interesse a livello nazionale ed europeo».
Ora però le notizie che arrivano dalla Cina sembrano dare un orizzonte di positività. «Oltretutto – dice sempre l’Ad di Opas – abbiamo introdotto, al nostro interno, dei test rapidi affinché si possa, nell’eventualità, avere riscontri attraverso l’avvio di un sistema di verifica al nostro interno».
Una risposta al mancato coinvolgimento di Opas nelle analisi svolte alla dogana cinese?
«Sì, certo – rimarca Pozzi –. Non è semplice entrare in logiche di governance così lontane, non solo culturali, ma anche fisicamente lontane. Di certo – sottolinea Pozzi – sarebbe stato quantomeno gradito un contradditorio magari non tanto con Opas ma con persone di Istituzioni europee o nazionali – presenti in Cina - in grado di verificare scientificamente ciò che è stato contestato. Cerchiamo di andare avanti trovando ed abbiamo imboccato una strada affinché non si ripetano queste situazioni, anche a tutela di altri prodotti italiani. Queste cose alla fine minano la fiducia in rapporti commerciali internazionali che invece dovrebbero basarsi su lealtà e reciproca soddisfazione commerciale: si dovrebbe sempre guadagnare in due oppure perdere tutti e due, ma sempre alla pari. Altrimenti è sola speculazione che impoverisce».
Al di là della parte tecnica/scientifica è possibile ipotizzare qualche soluzione da “tenere nel cassetto” se dovessero ripetersi in futuro episodi del genere o simili?
«L’esperienza che stiamo vivendo ci ha portato – continua Pozzi – a ipotizzare soluzioni che potrebbe venire incontro a complicazioni del genere soprattutto quando sono coinvolti prodotti dell’agroalimentare. Anzi abbiamo ufficializzato una proposta all’attenzione delle Autorità nazionali proprio per ambiti più generali dove le caratteristiche qualitative del food made in Italy possono essere annullate e distrutte. In sintesi potrebbe configurarsi come un ulteriore e specifico intervento del ministero degli Esteri – attraverso Sace Simest – per assicurare i beni agroalimentari esportati in modo che, se dovessero essere pretestuosamente bloccati e non solo per motivazioni relative a situazioni politiche o di instabilità socio-politico, le aziende italiane potrebbero essere ristorate adeguatamente senza avere perdite economiche che vanno poi a coinvolgere aspetti di occupazione e, quindi, di ambito sociale. Gli Stati Uniti e il Canada lo stanno già facendo, si tratta solo di copiare questa buona idea».
Proprio a dicembre la Commissione Ue ha deciso di assegnare a Opas un finanziamento di 3,6 milioni di euro per promuovere nei prossimi 3 anni la carne suina in Cina. Che ne sarà?
«Riteniamo – chiosa Pozzi –che il coinvolgimento della Commissione europea – a prescindere dall’aspetto di mercato che è e rimane fondamentale e prioritario – possa riguardare anche questo aspetto. Il Regolamento 1144/2014 è finalizzato all’aumento delle esportazione di prodotti a marchio europeo nel mondo. E ciò vale per tutti i settori dell’agroalimentare. Non solo per la carne suina. Non solo per l’Italia. Noi oggi continueremo a soddisfare le richieste che sono previste dall’ufficializzazione della graduatoria per arrivare – pensiamo in tempi brevi – a poter iniziare le azioni che avevamo previsto nel progetto. Anche in questo caso rientriamo nel discorso delle Op che sono fra i beneficiari dei finanziamenti europei. Tuttavia – aggiunge Pozzi – avevamo già iniziato a pianificare insieme ad alcuni clienti cinesi proprio l’avvio di questo progetto e proseguiremo a farlo. Non vedo motivo per cui arrendersi davanti a questa prima difficoltà. Non saremo certo noi a rinunciare a unire commercialmente due culture diverse sfruttando questo progetto che ci serve per conoscere dei clienti che possono ancora diventare dei partner».
Scontato pensare che farete di tutto per evitare la chiusura di questo mercato estero, ma come vi muoverete?
«Ovviamente – conferma l’Ad Pozzi –, come Opas stiamo da tempo rivolgendo attenzioni al mercato internazionale a tutto tondo. Già oggi nel fatturato annuale abbiamo una quota importante – attorno al 10% - che va per i mercati internazionali; ciò escludendo i prodotti precotti ad alto servizio a marchio Eat Pink che – per ora – sono sempre più apprezzati dal consumatore italiano. Vogliamo incrementare quindi le esportazioni. L’intendimento è di portare il prodotto che deriva da capi nati, allevati, certificati e macellati “made in Italy” dei nostri allevatori oltre i confini nazionali. Non credo che il mercato cinese chiuda all’Italia perché il prodotto italiano piace. Nel nostro caso sono mesi che esportiamo e abbiamo raccolto solo commenti positivi perché la nostra carne di suino ha una qualità e un prezzo adeguato alle loro aspettative. Quindi anche in Cina alla fine chi lavora e si comporta con serietà viene premiato e difficilmente ti chiudono la porta se ti sei sempre comportato in modo leale. Noi dobbiamo essere pronti perché prima o poi la vicenda del Covid finirà e con essa tutta una serie di sospetti commerciali che non ci riguardano».