Sulla relazione tra il consumo di carne e il benessere, e i presunti rischi per la salute, verrebbe da dire, è proprio il caso di ripartire da zero. E ridimensionare così gli allarmismi eccessivi lungo lo stivale. Per intenderci, «finora i dati diffusi (Fao, Ismea) si sono basati solo sul consumo di carne apparente che comprende cioè parti non edibili come anche cali di lavorazione e scarti inducendo a una notevole sovrastima del quantitativo ingerito, tant’è che il dato reale corrisponde di fatto a meno della metà. Ossia: negli ultimi anni il consumo giornaliero pro-capite reale di carne (tutti i tipi: pollo, suino, bovina, ovi-caprina) è stato in media di 104 grammi invece che 237». Lo ha detto Vincenzo Russo, autore del volume “Consumo reale di carne e di pesce in Italia” e professore emerito di Zootecnia all’Università di Bologna, a un’attenta platea di universitari, ricercatori e imprenditori riunitasi a Bologna, presso il comando regionale dei Carabinieri, in occasione del convegno dal titolo “Carne e i suoi valori nell’alimentazione umana”, organizzato il 27 settembre scorso dall’Accademia nazionale di agricoltura, presieduta dal professor Giorgio Cantelli Forti, in collaborazione con la Società italiana di nutrizione umana (Sinu), l’Associazione Carni Sostenibili, l’Associazione regionale giornalisti specializzati in agricoltura e ambiente (Arga) e l’Associazione per la scienza e le produzioni animali (Aspa).
Carne rossa: 69 g al giorno
Nello specifico il consumo reale di carne rossa (bovina e suina) e salumi, escludendo quindi le carni bianche, si attesta a 69 g al giorno; se si considera solo la carne bovina il dato scende a 24,8 g al giorno pro capite, ben al di sotto dei 100 grammi al giorno indicati da Oms/Iarc quale soglia di rischio di contrarre malattie tumorali. «La nostra ricerca – continua l’autore del libro nato dal lavoro condotto da un team di 14 università – si è posta l’obiettivo di trasformare il consumo apparente in consumo reale attraverso uno strumento di stima rapido e affidabile, il “Metodo della detrazione preventiva delle perdite”, desunto dai bilanci di approvvigionamento dei diversi Paesi». Il metodo può essere facilmente applicato a tutti gli alimenti disegnando una nuova mappa delle corrette quantità di nutrienti per una sana e corretta alimentazione. In sintesi fornisce valori più attendibili e precisi, attesi e invocati soprattutto dal comparto zootecnico «che conta in Italia 180mila unità, di cui 80mila addetti nel comparto delle carni bovine; 30mila nelle carni suine e 64mila nelle carni avicole, con un giro d’affari di 10 miliardi di euro (4 dall’avicolo; 2 dal suinicolo e 4 dagli allevamenti di bovini) su un totale di 45 miliardi relativo all’intero settore agricolo», come ha illustrato nel suo intervento Lara Sanfrancesco, segretario generale Associazione Carni Sostenibili. L’importanza economica e sociale del settore zootecnico, sostiene, è da tutelare e da aiutare a crescere per garantire l’accesso alle proteine nobili verso una popolazione sempre più numerosa.
Il mercato
«Cresce la dimensione delle aziende zootecniche: molte meno unità produttive, più strutturate e con maggiori competenze; si assiste cioè – prosegue Sanfrancesco – a un processo di concentrazione degli allevamenti». Ne consegue che per una maggior aggregazione dell’offerta, occorre procedere verso l’innovazione di processo e di prodotto. «L’allevatore rimane fortemente legato al territorio ma, con il ricambio generazionale, le giovani generazioni sono capaci di apportare nuove, importanti conoscenze: un cambiamento importante che bisogna favorire».
Alcuni dati: il consumo annuo di carne suina e salumi è di poco inferiore ai 2 milioni di tonnellate di cui circa il 60% prodotto in Italia; la produzione annua di salumi e di circa 1,2 milioni di tonnellate (oltre il 10% esportati, soprattutto Prosciutto di Parma e Prosciutto San Daniele che contribuiscono a rappresentare il nostro Paese nel mondo). Quanto alla carne bovina, l’Italia è importatore di bovini vivi per l’ingrasso (42% della domanda) e di carni fresche (58% della domanda). È invece autosufficiente per quanto concerne la carne avicola, con una produzione superiore al fabbisogno ed esporta una quantità pari a circa il 14% della produzione interna, forte di una quota d’export in tendenziale aumento.
Tracciabilità, sicurezza e sprechi
Tracciabilità e sicurezza? «Sono entrambe garantite» rassicura il segretario generale dell’Associazione Carni Sostenibili. Sprechi? «Nella zootecnia non si generano sprechi e il riutilizzo è un concetto cardine. Oggi esistono sistemi virtuosi per riutilizzare, a esempio, i sottoprodotti della macellazione. Si va verso un all’allevamento 4.0 (energie rinnovabili, agricoltura di precisione e App per il controllo dei parametri in stalla). «Sicché la grande sfida è produrre di più con meno risorse. L’innovazione nella zootecnica permette di aumentare la sostenibilità delle attività sia in termini tecnici, sia economici. Risultato: la progressiva riduzione degli impatti ambientali».
La Regione Emilia-Romagna sta finanziando 50 milioni di euro del Psr 2014-2020 sui progetti d’innovazione e ricerca, di cui 18 già stanziati. «Siamo in grado di risalire a cosa ha mangiato l’animale e la carne che proviene da allevamenti “di precisione”, attenti al benessere animale, va incontro alle richieste del consumatore di oggi» osserva l’assessore all’Agricoltura dell’Emilia Romagna Simona Caselli.
Il modello alimentare italiano (equilibrato e onnivoro), basato sulla dieta mediterranea, è un punto di riferimento globale anche per garantire l’accesso al cibo di qualità. E c’è la necessità di avere informazioni attendibili sui consumi reali di carne. L’Associazione Carni Sostenibili, con il supporto di una rete di esperti, ha come obiettivo quello di promuovere questo modello di sviluppo, dare informazioni corrette, combattere le fake news, riportare il dibattito su argomenti oggettivi.
L'articolo completo di infografica si trova sulla Rivista di Suinicoltura n. 12.