All’inizio del mese di maggio, l’Ansa rende noto il ritrovamento di una carcassa di cinghiale risultata positiva al virus della Peste suina africana in Calabria, nelle zone limitrofe a Reggio Calabria. La comunicazione arriva tramite un comunicato dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno con sede a Portici (Napoli). «Le analisi di laboratorio - afferma il direttore sanitario dell'Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno con sede a Portici, Esterina De Carlo - sono state effettuate nell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, sede di Catanzaro».
Veloce l’emanazione di un’ordinanza da parte del commissario per la regione Calabria (ordinanza del 19/05/23), per l’istituzione della zona infetta che include tutti i casi riscontrati fino al giorno della pubblicazione.
I comuni interessati sono: San Procopio, Fiumara, San Roberto, Laganadi, Palmi, Bagnara Calabra, Delianuova, Sinopoli, Santo Stefano in Aspromonte, Sant’Alessio in Aspromonte, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Scilla, Seminara, Melicucco, Casoleto, Calanna, Reggio Calabria, Roccaforte del Greco, Montebello Jonico. Condofuri, Bagaladi, Cardeto, Melito di Porto Salvo, Motta San Giovanni, San Lorenzo e Roghudi.
Purtroppo, la notizia si somma alla news delle ultime ore: il 23 maggio infatti le carcasse di cinque cinghiali sono state trovate dai Carabinieri forestali nel Salernitano. Gli accertamenti hanno stabilito che gli animali avevano contratto la peste suina africana.
La Peste suina africana sembra insomma comparire a macchia di leopardo da nord a sud nel belpaese. Immediato il comunicato della Giunta Regionale della regione Campania per le associazioni che praticano attività venatorie, affinché sollecitino le squadre di caccia al cinghiale ed i propri cacciatori a svolgere un attento monitoraggio del territorio di appartenenza per definire meglio l’areale interessato, che ad oggi sembra essere limitato ai comuni di Buonabitacolo, Casalbuono, Casaletto Spartano, Caselle in Pittari, Montesano sulla Marcellana, Padula, Sanza e Sassano.
I nuovi ritrovamenti in Calabria e Campania arrivano come un fulmine a ciel sereno, considerando che tutta l’attenzione era focalizzata al contenimento dei contagi nella zona infetta a cavallo tra Liguria e Piemonte, dove peraltro la Peste suina africana si è diffusa, favorita dal freddo, con un picco di nuovi casi tra i cinghiali nei primi mesi di quest’anno.
Ad oggi, il bollettino epidemiologico nazionale conta, tra Liguria e Piemonte, 716 casi in cinghiali selvatici, con nuovi casi che si avvicinano pericolosamente all’Emilia-Romagna ed alla Lombardia. La perdurante presenza di casi di Peste suina africana nelle popolazioni di cinghiali in queste due regioni del nord Italia e la vicinanza alle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, dove è collocata la più rilevante parte dell’allevamento suino nazionale e degli impianti di macellazione, trasformazione ed esportazione dei prodotti di salumeria, sta creando crescente preoccupazione nel mondo allevatoriale nazionale.
Si registra da più parti la necessità di un concreto coordinamento operativo che permetta la realizzazione di un intervento articolato e complesso cui devono corrispondere adeguate risorse umane e finanziarie, oneroso oggi, ma economico, se paragonato al danno che il virus potrebbe generare nei comprensori dove l’allevamento e la trasformazione delle carni suine rappresentano eccellenze produttive, sostengono assetti economici importanti e contribuiscono alla creazione di ricchezza per tutto il Paese. Già alcuni Paesi Terzi hanno bloccato le esportazioni, anche se i principali partner commerciali dei prodotti della salumeria italiana hanno accettato le garanzie fornite con la regionalizzazione dei focolai.
Tuttavia, l’infezione è a pochi Km dalle province di Piacenza e Parma, in Emilia-Romagna, e di Pavia e Cremona, della Lombardia, e non si possono avere ulteriori ritardi nel sostenere le azioni necessarie al contenimento della malattia nel rispetto delle norme europee.
Anche se finora la malattia in Piemonte e Liguria si è limitata al cinghiale, la permanenza di un virus con caratteristiche di resistenza ambientale eccezionali e quindi di facile diffusibilità, sia diretta che indiretta, nelle specie sensibili, con il persistere dell’infezione nei cinghiali aumenta la probabilità di contagiare il contesto zootecnico e gli stessi allevamenti di suini commerciali (fonte: ANSA; ordinanza del 19/05/23 reg. Calabria; Sivemp, Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica ).
Per monitorare la situazione epidemiologica italiana relativa alla Peste suina italiana, guarda il bollettino nazionale visitando il sito.