Da qualche mese le filiere italiane delle carni suine e dei salumi sono sottoposte a una pressione di mercato molto forte. La causa è tutta esterna ed è legata al poderoso incremento di importazioni di carni e derivati suinicoli da parte della Cina, per compensare la crisi dell’offerta interna dovuta a una grave epidemia di peste suina. Un fenomeno che da qualche mese, in Italia e non solo, sta spingendo alle stelle i prezzi dei suini da macello.
Questa dinamica sta creando serie difficoltà agli anelli a valle della filiera, perché prezzi così elevati dei suini stanno pesando sui costi dell’industria di macellazione e, a cascata, sul settore della trasformazione delle carni.
Tab. 1 - Gli indici di redditività a confronto |
Indici | nov-19 | mar-19 | Var. % mar19/nov 19 |
Indice Crefis Allevamento | 8,461 | 5,430 | 55,8% |
Indice Crefis Macellazione | 2,131 | 2,757 | -22,7% |
Indice Crefis stagionatura prosciutto pesante DOP | 1,876 | 1,564 | 19,9% |
Fonte: Crefis |
Il problema è particolarmente sentito tra i produttori di salumi, dove il maggior onere non può essere facilmente trasferito sui prezzi al consumo, a causa delle pressioni competitive sia interne al settore che esterne (ad esempio con altre tipologie di carni) o per i vincoli imposti da contratti pregressi con la Gdo.
Qualche dato
Ma vediamo qualche numero, a cominciare dai prezzi dei suini. Secondo Assica – l’Associazione industriali delle carni e dei salumi – a partire dal mese di gennaio in tutta Europa si sono verificati forti incrementi di prezzo dei capi da macello; un fenomeno che in Italia si è sentito da marzo.
Ad esempio, i prezzi dei suini pesanti (160-176 kg), che in Italia sono fissati dalla Commissione unica nazionale sulla base di indicazioni raccolte settimanalmente sulla filiera, sono passati dagli 1,27 euro/kg di gennaio agli 1,79 euro/kg di fine novembre per un balzo di oltre il 40%. Allo stesso modo anche i tagli di carne suina fresca hanno registrato incrementi, raggiungendo picchi preoccupanti in novembre per spalla (+40%), pancetta (+73%) e coppa (+20%). Sono risultate in crescita anche le cosce fresche per la produzione dei prosciutti crudi che hanno toccato +16%.
Se ora si considera che – sempre secondo Assica – per l’industria di trasformazione il costo della materia prima rappresenta almeno il 50% (in alcuni casi si arriva al 75%) del costo totale di produzione, si capisce la forte preoccupazione di chi produce salumi.
La redditività della filiera calcolata dall’indice Crefis
Una preoccupazione che appare fondata se si approfondisce la questione con altri dati. Andando a vedere la redditività della filiera, così come calcolata dall’indice Crefis (Centro ricerche economiche sulle filiere sostenibili, www.crefis.it), si trovano indicazioni eloquenti. Restringendo l’analisi al confronto tra marzo scorso (mese in cui “l’effetto Cina” ha iniziato a farsi sentire in Italia) e novembre (ultimo dato disponibile) appare evidente come la redditività della fase di allevamento cresca sensibilmente (+55,8%), mentre l’industria di macellazione soffra un calo di remuneratività del -22,7%.
«Un aumento così repentino e importante delle carni suine – commenta il professor Gabriele Canali, direttore del Crefis – comporta ricadute decisamente negative sull’industria dei salumi, soprattutto per l’impossibilità di scaricare a valle, se non in piccola parte, tali aumenti dei costi. L’indice di redditività della stagionatura del Parma Dop non ha ancora risentito dell’aumento dei costi della materia prima – prosegue Canali – mentre si è avvantaggiato, nel periodo considerato, di una leggera riprese del mercato del prodotto stagionato. Tuttavia dalla prossima primavera i maggiori prezzi delle cosce fresche che gli stagionatori stanno pagando negli ultimi mesi, manifesteranno i loro effetti negativi sull’indice della stagionatura del Parma Dop, sempre che nel frattempo non si verifichi un aumento significativo del prezzo dello stagionato».
Necessario un adeguato riconoscimento del prezzo finale del prodotto
Una situazione che si può “plasticamente” vedere anche dai grafici che mostrano l’andamento degli indici Crefis per i tre anelli cardine della filiere suinicole italiane.
Dunque, l’impennata dell’export verso la Cina sta facendo lievitare i prezzi dei capi da macello e dunque i costi dei macellatori che iniziano a soffrire ma che scaricano più a valle i rincari.
E cioè ai tagli freschi, che in Italia spesso sono destinati alla produzione di salumi, una delle ricchezze del made in Italy. Un problema serio per un settore economico che conta, come ricorda Assica, circa 900 aziende di tipo industriale che danno occupazione a quasi 30mila persone.
E che – come ha recentemente sottolineato il presidente Nicola Levoni, «se le condizioni di mercato non miglioreranno sensibilmente nei prossimi mesi, consentendo un adeguato riconoscimento del prezzo finale del prodotto, già a partire da marzo almeno il 30% delle nostre imprese si troverà in una situazione di difficoltà economica e finanziaria».
Cos'è l'indice di redditività Crefis
Gli indici Crefis sono finalizzati al calcolo e al monitoraggio della redditività delle principali fasi della filiera suinicola italiana.
Volutamente intuitivi e aggiornabili su base mensile, sono calcolati tramite rapportando il prezzo dei principali output di una determinata fase produttiva e quello dei principali input: tanto più è elevato il valore dell’indice, tanto maggiore è la redditività.
In particolare, l’Indice Crefis di redditività dell’allevamento viene calcolato attraverso il rapporto tra il prezzo del suino pesante (principale output) e una media ponderata dei prezzi dei principali input, in particolare mais e soia, impiegati nell’intero periodo di allevamento.
L’indice, quindi, esprime sinteticamente la redditività dei suini macellati nel mese per il quale l’indice è calcolato, e fornisce all’allevatore un’immediata percezione, ovviamente in termini di media, di quanto sta rendendo la sua attività quotidiana e di quale sia l’andamento rispetto ai mesi precedenti.