L'innocenza della zootecnia è dimostrata. Solo una percentuale del 10% delle acque contaminate dai nitrati può essere attribuita agli effluenti degli allevamenti distribuiti nei campi, il resto è dovuto agli scarichi civili e industriali. A questa conclusione è arrivato lo studio condotto dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) con l'obiettivo di verificare l'impatto ambientale delle pressioni antropiche sullo stato delle acque superficiali e sotterranee. La ricerca, che era stata commissionata nel 2011, è stata completata e presentata al tavolo sui nitrati convocato il 28 maggio scorso dai ministeri dell'Ambiente e delle Politiche agricole.
Lo studio, finanziato dal Mipaaf, ha dimostrato che proprio nelle Regioni più penalizzate dagli obblighi della direttiva nitrati (Emilia, Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli) l'inquinamento di origine zootecnica non interessa più del 10% delle superfici. Fa eccezione il Piemonte, dove il tasso sale al 19%. Una conclusione già annunciata e attesa che alleggerisce il comparto zootecnico da un grande peso.
Anche gli obiettivi sulla strategia da adottare in futuro sono ora più chiari: l'Italia dovrà coinvolgere il ministero delle Politiche agricole, quello dell'Ambiente e le Regioni per ottenere una revisione a livello europeo della direttiva nitrati. Sul territorio nazionale si dovrà invece valutare l'effettiva capacità di assorbimento dell'azoto da parte delle colture, in modo integrato e intersettoriale.
«Siamo davanti a un problema - ha dichiarato il ministro Martina - che si trascina da tempo, in particolare per alcune Regioni, e che si è scaricato sul comparto agricolo in modo eccessivo».
Il ministro ha stabilito anche la data del 30 giugno per l'emanazione del “decreto sugli effluenti” e del decreto sul “digestato equiparabile”, due passaggi fondamentali sotto l'aspetto legislativo e che il mondo agricolo attende da anni, ma che non hanno mai trovato un accordo tra i due ministeri. «Il nostro impegno - ha aggiunto - è quello di aprire un tavolo anche a Bruxelles per ridiscutere l'intero impianto sulla normativa comunitaria».
Al tavolo ministeriale sui nitrati hanno partecipato anche gli assessori all'agricoltura della Regioni Lombardia, Gianni Fava, ed Emilia Romagna, Tiberio Rabboni, l'assessore all'Ambiente della Regione Friuli Venezia Giulia, Sara Vito, i rappresentanti di Piemonte e Veneto, le organizzazioni professionali agricole e il presidente dell'Ispra, Bernardo De Bernardinis.
Rivedere le aree vulnerabili ai nitrati
«Ci sono i presupposti per chiedere al prossimo consiglio dei ministri dell'Ambiente, in agenda per luglio a Creta, di rivedere le zone vulnerabili ai nitrati - ha detto Fava - e avviare un percorso in grado di scagionare gli agricoltori, per troppo tempo additati come gli unici responsabili dell'inquinamento delle acque». Fava ha annunciato la stesura di «un dossier congiunto per la revisione delle zone vulnerabili ai nitrati, che altro non sono che gabbie immotivate e veritiere a danno della zootecnia del Nord». Fava ha chiesto ai ministri delle Politiche agricole e dell'Ambiente di inserire un emendamento del Governo nel primo provvedimento utile calendarizzato in Parlamento sulla revisione sulla normativa sui nitrati per modificare il divieto di spandimento dei reflui che impone uno stop continuativo di 90 giorni.
Soddisfatto della riunione sui nitrati anche Rabboni, che ha sottolineato in particolare «l'imminente emanazione di un decreto con il quale si autorizzerà l'utilizzo agronomico del biodigestato prodotto da impianti a biogas alimentati con effluenti zootecnici e biomasse di origine agricola e una flessibilità nel calendario invernale degli spandimenti per tenere conto delle frequenti variabilità e anomalie meteorologiche».
«Si è fatta finalmente quell'operazione verità - ha commentato il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo - da tempo auspicata sulla vicenda nitrati e sulle lacune e falsificazioni nell'attribuzione alla zootecnia della responsabilità esclusiva di inquinamento delle acque».
È stata riconosciuta, ha spiegato anche Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia, «la bontà della nostra tesi, che l'agricoltura rappresenta solo una parte residuale del problema e che le vere cause vanno ricercate altrove, dall'industria agli scarichi civili”»
Per Antonio Boselli, di Confagricoltura, «occorre un nuovo approccio integrato, che tenga conto delle specificità e di tutti gli sforzi già fatti dagli agricoltori in questi anni, sulla base dei piani d'azione regionali che hanno permesso di ottenere rilevanti miglioramenti della qualità delle acque».
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