Il casus belli ha una data e un luogo preciso. Mantova, giovedì 20 settembre. Avrebbe dovuto essere una normale giornata di mercato, per rilevare in Cun, la Commissione unica nazionale, i prezzi dei suini grassi da macello e stabilire i listini della settimana successiva. Due le parti a confronto, come sempre: gli allevatori da una parte, i macellatori dall’altra.
Fino ad allora, anche con il nuovo regolamento entrato operativamente in vigore alla fine di maggio, le dinamiche per raggiungere un accordo sul prezzo avevano tenuto, pur con i soliti mugugni che – da anni e ben prima dell’avvenimento della Cun – rappresentano ormai una costante.
Il 20 settembre no. È stato diverso. Coup de theatre: i rappresentanti dei macellatori disertano la Cun. Non si presentano in commissione e nemmeno inviano il proprio rappresentante al Comitato dei Garanti. Che fare, dunque?
Operativamente si procede in base al nuovo regolamento. Dopo una consultazione tra allevatori e il rappresentante commissariale del ministero delle Politiche agricole si stabilisce per i suini di peso fra 160 e 176 chilogrammi per il circuito tutelato (i suini destinati ai prosciutti dop) di quotare 1,6 centesimi al chilo, con un rialzo di 1,5 centesimi rispetto alla settimana precedente. Segnali rialzisti anche per il circuito non tutelato, con una crescita di 1,3 centesimi al chilogrammo. Polemiche archiviate? Tutt’altro. I rappresentanti dei macelli hanno informato che tali quotazioni non verranno considerate nei futuri scambi, che a loro avviso dovrebbero collocarsi a prezzo invariato.
Mondo agricolo in ebollizione
Coldiretti Mantova parla di «comportamento offensivo nei riguardi di migliaia di allevatori, che in altri tempi hanno subito veri e propri tracolli del prezzo, ma sempre si sono presentati al confronto con gli industriali dei macelli».
Il sospetto, secondo il mondo allevatoriale, è che il boicottaggio della Cun sia premeditato, per ritornare ad avere più mercati e, dunque, maggiore libertà di fissare il prezzo più conveniente per gli acquirenti.
Claudio Veronesi, allevatore con 1.200 scrofe a ciclo chiuso, commissario in Cun, censura con forza è l’atteggiamento della parte industriali, con alcuni macelli totalmente refrattari al dialogo. «Sarebbe stato più corretto un confronto, anche acceso, non il boicottaggio che è inaccettabile e oltraggioso nei confronti degli allevatori».
Le commissioni prezzi - sottolinea la Coldiretti – devono essere sedi appropriate per fare accordi trasparenti e il fatto di sottrarsi a questo obiettivo deve essere disapprovato con fermezza dagli stessi ministeri sotto la cui egida sono state costituite le stesse commissioni. Si fa un gran parlare in questi tempi di comportamenti etici nella commercializzazione e di pratiche sleali a livello nazionale e comunitario invece una parte della filiera italiana della carne suina – conclude la Coldiretti - sembra fare di tutto per sconfessare le buone pratiche alla base di un proficuo rapporto fra chi produce e chi trasforma.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Stefano Salvarani, presidente della sezione suinicoltori di Confagricoltura Mantova e di Confagricoltura Lombardia. «Quello che è successo è molto grave – spiega – perché non solo i macelli non sono entrati in Cun di proposito, ma anche il loro garante non si è presentato. Così non si può andare avanti, vuol dire non riconoscere più l’autorità della Cun stessa e del Ministero. Questa è un’azione forte che potrebbe avere conseguenze e ripercussioni».
C’è poi un altro tema di cui tener conto secondo Salvarani: «I macelli percepiscono i contributi nazionali per la suinicoltura solo se la filiera è completa. Quello che fanno dunque è fingere di lavorare in collaborazione con i produttori per portare a casa i soldi, quando nella realtà denigrano e danneggiano il settore».
Quali quotazioni si utilizzeranno dunque? «La Cun è valida – spiega Salvarani – e dovremmo percepire quanto quotato. I macelli però potrebbero mettere i produttori alle strette, proponendo loro un prezzo da prendere o lasciare».
La Lombardia convoca un Tavolo di settore
La vicenda non ha lasciato indifferente nemmeno l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Fabio Rolfi, che ha annunciato l’istituzione di un Tavolo ufficiale in regione Lombardia per il settore suinicolo.
«Trovo inaccettabile il comportamento tenuto dalla parte industriale del settore suinicolo, che ha deciso di non presentarsi alle Commissioni uniche nazionali, in cui i rappresentanti del comparto erano chiamati a fissare i prezzi - sottolinea Rolfi -. Questo atteggiamento va contro il senso stesso dell’organismo, perché impedisce un accordo e bene ha fatto il Ministero a richiamare l’attenzione e a stigmatizzare».
Per l’assessore Rolfi, «le Cun devono funzionare per garantire trasparenza e prezzi chiari. Il Tavolo regionale servirà a collaborare per migliorare la prevenzione nei confronti della fauna selvatica per controllare la peste suina africana. Parleremo poi della gestione del benessere animale partendo dal problema della prevenzione del taglio delle code dei suini per la quale la regione Lombardia si è già mobilitata e collabora con le aziende».
Insomma, un vertice che affronti a tutto tondo le diverse questioni che assillano il comparto, cercando, come suggerisce l’assessore lombardo, di «fare sistema per prepararsi e dedicare apposite misure del Psr».
Assica
Davide Calderone, direttore di Assica, l’associazione di rappresentanza degli industriali delle carni suine, smorza i toni. «Le tensioni che sono accadute sono i riflessi di un mercato difficile, che vede la componente dei macellatori in difficoltà – chiarisce -. I macelli vivono aspetti problematici, a causa di un mercato che in questa fase è molto complicato. Il prezzo nell’occasione del 20 settembre è stato fatto dai garanti, non è successo nulla».
La settimana successiva, a onor del vero, si è ritornati a quotare e con una dinamica ribassista, che ha portato i listini del circuito tutelato per la categoria 160-176 chilogrammi a 1,575 €/kg, in diminuzione di 25 millesimi rispetto alla seduta precedente.
Il commissario Cun
Chiede l’anonimato per parlare con maggiore libertà. Gliela concediamo, anche se lui mette le mani avanti: «Appena leggeranno le dichiarazioni sapranno chi sono». Con estrema chiarezza il commissario parla di «un vulnus nel regolamento della Cun, che è quello di non prevedere la possibilità di non trovare un accordo fra la parte allevatoriale e quella della macellazione. È una posizione assurda da parte di Borsa telematica, che gestisce la Cun per conto del ministero, perché obbligare le parti a raggiungere un’intesa e, in subordine, derogare tale compito a una commissione di garanti è un atteggiamento che esula dalle logiche della seduta».
Un’assurdità, secondo il commissario della parte industriale. «L’obbligatorietà del prezzo a qualsiasi condizione è impossibile da accettare per un macello, che è una struttura con una velocità di attività molto sostenuta e bilanci che di fatto sono settimanali – spiega -. Come è possibile sostituirsi a un macellatore per raggiungere un accordo sul prezzo? I millesimi di differenza di una quotazione rispetto a un’altra fanno la differenza con i volumi di lavorazione di un’industria di macellazione. Comprendiamo bene che tale posizione si scontri con la posizione della parte agricola, che preferisce a volte il prezzo politico».
Cosa succede quando non si raggiunge un accordo? «Si tratta direttamente con i propri fornitori e, le assicuro, questo avviene nella più totale serenità».
Trasloco a Parma della Cun: opinioni divergenti
Trapelata a mezza bocca fra gli operatori, rimbalzata come ipotesi, poi congelata. Ciclicamente emerge la proposta di trasferire la Commissione unica nazionale dei suini grassi da macello a Parma, posticipandola al venerdì e, dunque, accorpando il giorno di contrattazione degli animali con quello delle carni. Una soluzione gradita ad Assica. «Siamo da sempre favorevoli a un mercato unico, da tenersi in un solo giorno a Parma», afferma Davide Calderone, direttore dell’associazione aderente a Confindustria.
Più prudente Claudio Veronesi, allevatore. «Un’idea da valutare attentamente e, qualora si dovesse prospettare come ipotesi concreta, andrebbe compiuto il trasferimento opposto, cioè da Parma verso Mantova, essendo la maggiore parte dei macelli nel Mantovano – dichiara -. Non credo sia così semplice e non è detto che sia conveniente per gli allevatori e forse per il sistema. Il mercato dei suini vivi è condizionato da quello delle carni, sarebbe forse più opportuno mantenere separati i due giorni di contrattazione».
Molti operatori evidenziano il lungo cursus della borsa merci di Mantova, con una tradizione centenaria nella rilevazione dei prezzi dei suini da macello e che non andrebbe compromessa. I trader delle carni suine, inoltre, non hanno alcuna dimestichezza con le dinamiche dei suini vivi e, assicura qualche esperto, il rischio sarebbe solamente quello di allontanare le parti da un accordo, già ogni settimana precario.
L'articolo è pubblicato sulla Rivista di Suinicoltura n. 9/2018