Lunedì 27 febbraio al Palazzo Trecchi di Cremona si è tenuto il Suinicoltura Congress, un evento organizzato da EV srl in cui sono stati affrontati i temi salienti della suinicoltura moderna, dalla Psa all’aumento del prezzo delle materie prime, grazie all’intervento di numerosi relatori. Ha dato inizio al congresso Francesco Feliziani, dell’Izs Perugia, con un intervento sulla Peste suina africana, seguito da Umberto Rolla con un focus sulla tecnologia applicata in suinicoltura e da Romano Marabelli, consigliere della Direttrice Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità Animale a Parigi dal 2017.
Dopodiché, sono intervenute Ester Venturelli e Marika De Vincenti, analiste dei mercati per il Clal; Gabriele Canali del Crefis e Eva Gocsik di Robobenk, che hanno fornito un quadro generale sull’andamento del mercato suinicolo e delle materie prime.
A sorpresa è intervenuto in collegamento in diretta Vincenzo Caputo, appena eletto commissario nazionale per la gestione della Psa, che ha sottolineato l’importanza della biosicurezza negli allevamenti e della gestione della fauna selvatica per la lotta alla Psa.
Le minacce sanitarie che incombono sugli allevamenti italiani ed europei
Le malattie infettive in suinicoltura sono un problema centrale, e le due maggiori minacce sono il virus della Prrs e quello della Peste suina africana (Psa). Queste malattie occupano un ruolo centrale, perché se da un lato si sta cercando di risolvere il problema dell’antibiotico resistenza attraverso l’uso di vaccini, dall’altro c’è la Psa, per cui invece non ci saranno vaccini a disposizione per molti anni. Ci si trova di fronte a due strategie completamente differenti: da un alto combattiamo malattie per cui abbiamo a disposizione sia vaccini sia antibiotici, dall’altro possiamo gestire la Psa unicamente con biosicurezza e gestione del territorio.
La strategia italiana contro la Psa
La strategia italiana contro la Psa è stata quella della regionalizzazione, che consiste nella differenziazione delle zone in base al rischio. Il grosso problema però, è che la diffusione della Psa non è solo dovuta allo spostamento della fauna selvatica fra territori contigui, ma anche ai grossi balzi territoriali causati del fattore umano. Questo deve far riflettere sul fatto che sono coinvolti tutti, non solamente coloro che vivono nella zona infetta. Per cercare di limitare la diffusione della Psa si deve spezzare la catena dell’infezione, composta da molti fattori (agente infettante, reservoir, vie d’uscita, vie d’ingresso, ospite suscettibile, etc.), in modo da eliminare i punti di connessione tra i diversi anelli. Così è stato fatto in Sardegna, dove gli animali tenuti illegalmente a pascolo brado erano il punto cruciale come fattore di rischio su cui agire, dato che erano il vero e proprio reservoir dell’infezione; eliminando questo fattore di rischio si è ridotto il problema.
I due cluster italiani di Psa, quello piemontese-ligure e quello romano, hanno visto due sviluppi molto diversi nel corso del tempo, soprattutto per la conformazione del territorio coinvolto. Il cluster di Roma è stato gestito tramite una sorveglianza attiva, al fine di controllare sistematicamente il territorio con segnalazioni che arrivavano per lo più dai cittadini, e non da chi invece si occupa abitualmente di fauna selvatica (es. i guardiacaccia). La conformazione del raccordo anulare romano ha permesso di contenere adeguatamente la popolazione infetta, e grazie alle installazioni di protezioni sopra le gallerie e i cavalcavia la popolazione di cinghiali è stata isolata dal resto del territorio e l’estate ha fatto il suo corso sterilizzando le carcasse, che rappresentano una vera bomba biologica la quale garantisce la persistenza del virus nell’ambiente. Nel cluster di Piemonte e Liguria, invece, i primi casi sono stati trovati molto distanti l’uno dall’altro, indice del tardivo ritrovamento della Psa, e l’evoluzione in questo caso non è stata affatto favorevole, perché l’area infetta è più che raddoppiata. Subito è stata elaborata una strategia di eradicazione, come accaduto in Repubblica Ceca e in Belgio, i cui punti chiave erano il contenimento dei cinghiali infetti, il divieto di attività di disturbo per evitare che i cinghiali uscissero ed entrassero dalla zona infetta, la sorveglianza rinforzata e il depopolamento dei cinghiali in senso centripeto, che però in Italia non è mai partito. Si sarebbe dovuti partire dal depopolamento dall’esterno per poi arrivare all’area fulcro collocata fra le due autostrade, tuttavia i finanziamenti per la costruzione della recinzione del perimetro della zona infetta sono arrivati molto tardi: il risultato è stata la diffusione dei casi postivi oltre il tracciato. Ormai, dal cluster di Liguria e Piemonte l’infezione si è allargata, bisognerà quindi passare al piano B, ovvero la compartimentalizzazione, una gestione aziendale che comporterà però dei costi alti per la filiera.
Allevamenti e innovazioni tecnologiche, un binomio vincente
La suinicoltura moderna deve affrontare nuove sfide: la valorizzazione del prodotto garantendo sempre sicurezza e qualità, il benessere degli animali, lo stato sanitario per motivi etici e la sostenibilità ambientale. L’innovazione tecnologica, perciò, non è più una scelta: basta scegliere una tecnologia e decidere come farla entrare in allevamento. Il Precision Livestock Farming (Plf) è l’“allevamento tecnologico”, in cui ci sono una raccolta dati ed un monitoraggio continui, fattori che permettono una gestione delle risorse e una presa di decisioni basate sull’evidenza, e non sulla pancia. Gli ambiti di applicazione del Plf sono numerosi, per esempio può essere usato per la ricerca, per la gestione della mandria, attraverso l’uso di microchip sia nelle scrofe, per un’alimentazione individuale, sia nei grassi per la tracciabilità, con la possibilità di seguire il prodotto lungo tutta la filiera. Dal punto di vista sanitario sono disponibili diversi tipi di sensori, per esempio quelli di rilevamento audio, in grado di rilevare sintomi respiratori fino a 5 giorni prima che l’orecchio umano se ne accorga. Questo sicuramente permette di intervenire preventivamente ed eseguire delle terapie mirate per il singolo animale, con un risvolto positivo per l’uso dell’antibiotico.
La tecnologia in allevamento ormai è inevitabile, dobbiamo considerarla come uno strumento che ci aiuta a fare meglio qualcosa che già facciamo o a farlo diversamente; è vero che in Italia la parola chiave è “tradizione”, ed è ciò che ci rende speciali, ma bisogna fare in modo che la tradizione stia al passo coi tempi. La tecnologia è ormai essenziale per migliorare il management aziendale: grazie alla raccolta dei dati e all’ottimizzazione delle tempistiche si ha un maggior controllo della situazione in azienda, permettendo un miglioramento di performance e costi.
I consigli pratici per introdurre la tecnologia nei nostri allevamenti sono fondamentalmente 3: elaborare un progetto a lungo termine, settare il progetto in base agli obiettivi aziendali e programmare un business plan dettagliato. La raccolta dei cosiddetti big data permette quindi trovare nuovi pattern e modelli di interpretazione, ciò significa per gli allevatori cercare nuove figure professionali e per gli operatori del settore sviluppare nuove skills. Il grosso ostacolo è uno solo: il personale aziendale! La formazione del personale è fondamentale e deve andare di pari passo con il piano di sviluppo; non è sufficiente che sia competente in allevamento, ma è necessario che abbia anche una buona compliance verso la tecnologia, che deve essere percepita come un’opportunità di miglioramento, e non come un ostacolo. Tuttavia, per avere un personale qualificato ormai non è sufficiente aumentare i salari: occorre stimolarlo con un progetto e fare in modo che cresca con noi.
Tecnologia e tracciabilità, il futuro della suinicoltura
La filiera deve soddisfare il consumatore, perché è colui che orienta il mercato: per esempio, se si pensa alle norme sul benessere, sono arrivate proprio dal consumatore. Con la tecnologia siamo in grado di raccogliere moltissimi dati, e unendo l’informazione al consumatore il punto di arrivo è la tracciabilità, che è la chiave della filiera. Il consumatore vuole essere informato, poiché spesso o è mal informato o ha delle convinzioni errate. Per migliorare la tracciabilità, una strategia può essere l’identificazione individuale dei suinetti, che consentirebbe di tracciare tutti i trattamenti eseguiti, l’alimentazione e altri aspetti su ogni animale, creando una sorta di passaporto digitale, che raccoglie una serie di dati trasmessi lungo tutta la filiera, fino all’industria alimentare. Il settore, per rispondere alle richieste del consumatore, deve affrontare due grossi problemi: la struttura degli allevamenti e l’impatto ambientale. In Europa il consumatore è molto attento, tuttavia ha una conoscenza limitata delle produzioni animali e aspettative irrealizzabili. Perciò, ad oggi, le produzioni animali in Europa spesso non sono in linea con le aspettative del consumatore.
Economia: le difficoltà di oggi, le incertezze di domani
Oggi è ormai chiaro come i rapidi cambiamenti dei costi delle materie prime siano un punto fondamentale per il settore suinicolo; l’Italia, infatti, non è autosufficiente nella produzione delle materie prime per le razioni, in primis per quanto riguarda il mais e la soia, per cui dipende dai mercati internazionali. I grandi fornitori di queste materie prime sono Usa, Brasile, Argentina e Ucraina, tra i grandi importatori invece troviamo Europa e Cina. L’andamento dei prezzi delle materie prime ha subito brusche variazioni a partire da 2020 ad oggi, per diversi fattori che in successione hanno provocato un rialzo dei prezzi. Il risultato degli aumenti delle materie prime ovviamente è un aumento del costo della razione: se a settembre 2020 il costo/kg era di 0.79 euro/kg di carne prodotto, oggi è di 1,26 euro/kg di carne prodotto. L’andamento del prezzo del mais e della soia è stato analogo negli ultimi anni: ha subito un iniziale incremento a metà del 2020, momento in cui la Cina stava ripopolando i propri allevamenti dopo l’ondata di Psa. Dopo un breve periodo di calo del prezzo, si è assistito ad un nuovo aumento in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina. Oggi i prezzi si stanno ridimensionando, ma rimangono comunque molto maggiori rispetto alla media storica. Per la stagione corrente le produzioni di mais sono stimante in diminuzione, a causa del calo della produzione in Usa e Ue per la siccità. Il prezzo del grano ha subito un lieve aumento dopo la pandemia da Covid-19 e un picco importante dopo lo scoppio della guerra, dato che l’Ucraina è un importante esportatore; anche per il grano oggi i prezzi rimangono superiori alla media storica.
Oggi si deve aggiungere anche l’aumento dei costi delle energie, che ha raggiunto un picco ad agosto 2022. Se non accadrà nulla di nuovo, i prezzi delle materie prime saranno in progressivo recupero verso valori non così elevati, consentendo una ripresa. Forse in Europa non sono ben chiare le questioni in gioco: il problema non è l’autosufficienza nazionale, ma un pesante deficit europeo di mais e soia, che sono alla base dell’alimentazione della nostra zootecnia. L’Italia non sarà il Paese che soddisferà la richiesta di proteine crescente, ma fornirà un prodotto di qualità. Saranno necessari dei grossi investimenti sulla filiera, che dovrà essere in grado di coordinarsi ed essere forte e ben integrata per stare sul mercato.