Secondo quanto pubblicato ieri 1 dicembre dall’Istat (nel documento “L’impatto del covid-19 sul comparto degli allevamenti”), il settore degli allevamenti è stato colpito in modo notevole dagli effetti della pandemia Covid 19 anche a causa del diffondersi di numerose fake news sull’impatto degli allevamenti intensivi, accusati di essere responsabili dei problemi ambientali del nostro pianeta e, nello specifico, della situazione pandemica attuale oltre a rappresentare un fattore di rischio per la diffusione del virus.
L’emergenza, si legge nel rapporto dell’Istat, ha modificato drasticamente il lavoro degli allevatori e in generale la vita in azienda. Il blocco degli spostamenti ha comportato una riduzione dei contatti tra gli allevatori e altri operatori del settore. Le forme di aggregazione, discussione, confronto sono state sospese e riprenderanno con difficoltà nel breve-medio periodo.
E se da un lato questa riduzione degli impegni extra-aziendali ha permesso agli allevatori di dedicare maggior tempo alla conduzione dell’azienda, dall’altro, la difficoltà ad avere contatti diretti con i tecnici e i venditori ha impattato sulla tradizionale organizzazione del lavoro, sull’assistenza tecnica e sulla vendita di prodotti zootecnici.
Gli aiuti comunitari
In tale emergenza la Commissione europea ha adottato alcune misure per aiutare il settore agricolo, compresa l’introduzione di un’eccezionale flessibilità e semplificazione nell’uso del Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale. Ad esempio, i fondi disponibili possono ora essere destinati alla cooperazione nella catena di approvvigionamento alimentare, con gli agricoltori che vendono direttamente ai consumatori o la creazione di servizi di consegna a domicilio; gli investimenti a livello di azienda agricola possono essere sostenuti per la trasformazione, la commercializzazione o l’imballaggio degli alimenti, ecc.
La Commissione ha adottato misure eccezionali per i mercati agroalimentari che hanno avuto il maggiore impatto della pandemia, tra cui misure per gli aiuti all’ammasso privato nei settori lattiero-caseario e delle carni.
Il 30 aprile 2020 ha inoltre presentato una proposta di modifica dell’atto di base sullo sviluppo rurale (Reg. UE n. 1305/2013) che mira a inserire una nuova misura che consentirebbe agli Stati membri di versare una somma forfettaria agli agricoltori e alle piccole imprese agroalimentari particolarmente colpite dalla pandemia.
In questo contesto l’Istat, all’interno dell’indagine su “Consistenza del bestiame bovino, bufalino, suino e ovicaprino”, ha raccolto dati aggiuntivi relativi all’impatto del Covid-19 nelle aziende agricole che praticano allevamento.
Al 1°giugno 2020 in aumento i capi di tutte le specie allevate
Confrontando il numero di capi posseduti dall’azienda tra giugno 2019 e giugno 2020 in Italia si registra un aumento di tutte le specie di animali considerate nel patrimonio nazionale zootecnico anche se con intensità leggermente diverse, +1,6% per i bovini, +2,2% per i bufalini e +3.1% per i suini. L’aumento del numero di capi detenuti in azienda appare connesso alla riduzione delle macellazioni registrate in concomitanza al lockdown, iniziato il Italia il 9 marzo 2020 e terminato il successivo 18 maggio.
Macellazione di suini ridotta di un quinto nel primo semestre 2020
In generale, sottolinea l’Istat, gli stabilimenti industriali hanno subito una forte riduzione del ritmo delle attività di macellazione causata dalla adozione delle misure di prevenzione per il contenimento del contagio da Sars-Cov2 nei macelli e dalla diffusione di fake news sulla propagazione del virus anche a partire dagli stabilimenti di macellazione.
Nel primo semestre 2020 la macellazione di suini ha registrato in totale un calo del 20,2% rispetto allo stesso semestre del 2019. In generale sono stati rilevati valori mensili sostanzialmente più bassi del 2019 per i primi mesi del 2020; solo a giugno c’è stata una lieve ripresa del settore.
Le conseguenze immediate della diminuzione della macellazione sono state il deprezzamento del valore dei capi, l’aumento dei costi di alimentazione e la difficoltà nella gestione degli spazi a causa del rallentamento del flusso di uscita degli animali.
Import di suini in calo di oltre un quinto durante il lockdown
Il periodo di lockdown causato dal dilagare della pandemia ha avuto effetti anche sulle importazioni ed esportazioni di bestiame. Prendendo in considerazione il primo semestre 2019 e 2020 l’importazione è diminuita sia per i bovini che per i bufalini (-1,2%) e soprattutto per i suini (-21,6%), molto probabilmente a causa di un sovrannumero di capi detenuti dagli allevatori e non macellati nel periodo considerato. All’opposto, nello stesso semestre, seppure con numeri abbastanza contenuti, è aumentato l’export dei capi di bestiame, infatti si è avuta una crescita apprezzabile dei capi bovini e bufalini esportati (+15,1%) e dei suini (+2,2%).
Riduzione dei prezzi e della domanda, effetti della pandemia
Secondo quanto riportato dall’Istat, per il 63,6% delle aziende la pandemia ha avuto e avrà un impatto sulla propria azienda agricola (per il 64,0% gli effetti sono “sostanziali”). L’impatto è più rilevante al Nord-ovest (68,6% delle aziende), meno importante al Centro 53,7%.
La principale ripercussione subita dagli allevatori è la riduzione dei prezzi di vendita (63,4 %); segue la riduzione della domanda (55,3%) . Ad aver risentito della diminuzione dei prezzi sembra essere soprattutto il Nord Italia, con un dato che supera il 70% delle aziende, mentre nel Centro-sud è inferiore al 50%. Esattamente l’opposto si registra per la riduzione della domanda, il cui dato nazionale del 45,9% è fortemente condizionato da Sud e Isole che si attestano a circa il 70%; ciò è dovuto anche alla difficoltà del trasporto merci in questo periodo, specialmente nelle Isole: quasi il 25% delle aziende del Sud, contro un 15% nazionale, indica la consegna tra le difficoltà avute.
Per le prospettive future, le preoccupazioni principali riguardano sempre la riduzione dei prezzi di vendita (51,7% delle aziende) e la riduzione della domanda (47,2%). Anche in questo caso la riduzione dei prezzi è temuta dalle aziende ubicate nel settentrione (oltre il 55%) mentre la riduzione della domanda preoccupa quelle del Centrosud (circa il 60%); altra preoccupazione è la mancanza di liquidità, che viene paventata principalmente dalle aziende del Centro-sud (37%).
Riduzione dei prezzi soprattutto per i grandi allevatori
I problemi sorti o che sorgeranno a causa del lockdown sono differenti a seconda della dimensione dell’azienda. L’impatto generale più comune è relativo alla riduzione dei prezzi di vendita dei prodotti (63,4% delle aziende), con un effetto però notevolmente più marcato per quelle di grandi dimensioni (86,9%) rispetto alle piccole (55,7%). Altra conseguenza molto comune è la riduzione della domanda, che è stata indicata dal 55,3% delle aziende: qui la differenza tra aziende grandi e piccole è minore, ma l’incidenza risulta comunque maggiore per quelle piccole e grandi (circa il 58%) rispetto a quelle di dimensione media (45%).
Un impatto meno comune ma comunque significativo è la difficoltà nella consegna della produzione, segnalata dal 17,5% delle aziende, senza grandi scostamenti dovuti alla dimensione aziendale.
Per quanto riguarda i timori di conseguenze future, i più comuni sono quelli di riduzione della domanda (47,2%) e la riduzione dei prezzi di vendita dei prodotti (51,7%). Quest’ultima si rileva principalmente per le grandi aziende (60% circa). Altro aspetto temuto per il futuro dalle aziende agricole è la mancanza di liquidità (34,5%).