Nei giorni scorsi sono stati resi noti i risultati dell’indagine realizzata da Msd Animal Health per esaminare l’impatto della pandemia da Covid-19 sul settore dell’allevamento. La survey, condotta su un campione di circa 200 allevatori di piccole e grandi produzioni, ha analizzato il modo in cui queste realtà si sono interfacciate con l’emergenza sanitaria e le conseguenze di breve e lungo periodo sul comparto.
Le categorie coinvolte nel questionario sono state diverse così da far emergere una visione a tutto tondo:
- allevatori di suini (51,7%),
- bovini da latte (29,9%),
- bovini da carne (12,6%),
- ma anche ovini (2,3%),
- avicoli (1,7%)
- e caprini (1,1%).
Quali dunque i principali effetti sull’allevamento? In che modo il lavoro è stato riorganizzato? Quale ruolo ha giocato la figura del medico veterinario? Può questa emergenza rappresentare un’occasione in termini di incremento della biosicurezza e in generale per una maggiore valorizzazione del made in Italy? Sono queste le principali domande a cui la survey ha cercato di dare risposta, fornendo una panoramica e le prospettive future del settore.
Impatto e riorganizzazione del lavoro
Il settore dell’allevamento è stato immediatamente coinvolto e ha dimostrato resilienza e adattabilità di fronte alle improvvise difficoltà di un’emergenza sanitaria, non fermando la produzione.
Dalla survey emerge che le principali ripercussioni subite dagli allevatori riguardano problematiche e rallentamenti sui prodotti sia venduti sia acquistati (che rappresentano rispettivamente il 40% e il 18% delle risposte) mentre il 15% delle risposte indica la necessità di ripensare l’organizzazione del lavoro per garantire l’approvvigionamento e la continuità produttiva.
È da evidenziare come, durante tutta la fase 1, gli allevatori abbiano dimostrato una grande capacità di adattamento e grande senso di responsabilità, riorganizzando le proprie aziende per garantire la sicurezza dei lavoratori e degli animali. I principali cambiamenti a livello organizzativo riguardano l’aumento sostanziale delle ore lavorative (indicato dal 29% degli intervistati) e una differente pianificazione dei turni di lavoro (28%) che ha permesso di garantire le distanze di sicurezza lungo la catena produttiva. Si evidenzia infine una riorganizzazione del lavoro in ambito familiare (18%): nel caso di aziende a conduzione familiare, i titolari degli allevamenti si sono schierati in prima linea per far fronte a questa esigenza, coinvolgendo anche collaboratori familiari.
Oltre alla riorganizzazione del lavoro qualcuno si è impegnato anche nella diversificazione della produzione: «Solitamente, i nostri principali clienti appartengono all’Horeca e il lockdown ha segnato indubbiamente un calo delle vendite e quindi di fatturato. L’aumento di richiesta di prodotti da parte della grande distribuzione non ha compensato questo calo -, ha dichiaro Paolo Fellegara, co-titolare con il fratello Stefano della Società agricola Pievetta Ss di Fellegara -. Partendo da questa consapevolezza, abbiamo deciso di diversificare la nostra produzione, tradizionalmente incentrata su latte fresco e yogurt, e aumentare l’offerta di prodotti per i quali riscontravamo più domanda, come i dessert e i formaggi freschi. Questo ci ha permesso di riprenderci in fretta, tamponare il crollo del fatturato e trarre vantaggio da questa esperienza per attuare rapidamente nuovi processi di implementazione».
Parola chiave: biosicurezza
Il tema della biosicurezza è da sempre fondamentale e priorità assoluta per le aziende che si occupano di allevamento, che già in condizioni normali applicano norme e leggi stringenti. L’applicazione di ulteriori misure in questo senso non ha quindi rappresentato un ostacolo per un settore da sempre abituato ai massimi livelli di sicurezza, ma ha sicuramente richiesto lo sforzo di tutti gli attori coinvolti che si sono impegnati affinché il livello di guardia fosse ancora maggiore.
«La biosicurezza è uno degli aspetti a cui più tengo all’interno del mio allevamento - ha dichiarato Mirko Lingiardi, della azienda agricola Serena con un allevamento di suini nella bassa pianura padana -. Fin dall’entrata in vigore delle normative europee sulla sicurezza, ho investito in misure e interventi concreti che garantissero il benessere della mia mandria.
Mi sono accorto infatti in prima persona di come, nel lungo termine, buone pratiche di biosicurezza garantiscano risultati ottimali, dalla riduzione del tasso della mortalità all’aumento di produzione, incrementando così il fatturato. Anche per questo motivo, durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, ho voluto continuare a mantenere standard qualitativi alti: è stato un periodo difficile ma non ho voluto che la mia mandria ne pagasse le conseguenze».
La figura del medico veterinario
Durante l’emergenza, ancora una volta, la figura del medico veterinario è stata fondamentale e ha saputo adattarsi con intraprendenza e professionalità alle diverse situazioni. Più dell’80% dei partecipanti alla survey ha dichiarato che durante la fase 1 la presenza del medico veterinario è stata costante.
Il 21% degli intervistati ha affermato che la loro presenza in loco è sempre stata assicurata per i casi più urgenti e il 10% indica che è stata garantita attraverso visite ed interventi pianificati. Anche la tecnologia ha avuto un ruolo fondamentale nel facilitare l’assistenza costante dei veterinari: il 12% degli allevatori ha infatti descritto di avere utilizzato strumenti telefonici e informatici di supporto tecnico alle visite. Un dato che lascia ben sperare sulle future possibilità di applicazione della tecnologia anche in questo settore che, come molti altri, dovrà cogliere la sfida dell’innovazione aperta dall’emergenza Covid-19.
«Il supporto del medico veterinario è stato assicurato durante tutto il periodo di lockdown - afferma Mirko Lingiardi -. In caso di impossibilità di presenza fisica, l’assistenza è stata telefonica. Questo ci ha permesso di continuare controlli e visite su tutta la mandria».
La figura del medico veterinario ha avuto un ruolo centrale non solo nell’assistenza agli allevamenti ma anche nella diffusione di una corretta informazione: il 33% delle risposte riconosce nel Veterinario la fonte più affidabile di informazioni per la gestione delle varie problematiche legate alla pandemia, orientandosi nel mare di un’informazione spesso confusa proprio grazie al ruolo degli specialisti. A seguire, le istituzioni e le associazioni di categoria (20% e 15% delle risposte).
Uno sguardo al futuro
Nonostante la pandemia da Covid-19 abbia avuto un forte impatto, sia in termini logistici sia economici, sul settore dell’allevamento, in vista della ripartenza emergono anche opportunità che la filiera potrà cogliere.
In termini di sicurezza, la pandemia rappresenta l’occasione per migliorare ulteriormente condizioni di biosicurezza e di prevenzione lungo l’intera catena produttiva, come confermato da oltre il 55% degli intervistati.
«La filiera italiana è una delle migliori in Europa e il potenziale è riconosciuto su larga scala. L’adozione di misure che ampliano le pratiche di biosicurezza e di prevenzione all’interno degli allevamenti non fanno altro che consolidare la forza dei nostri prodotti e della nostra offerta: perché un animale sano e allevato nel benessere, dai primi mesi di vita fino all’età della massima produzione, si traduce in maggiore rendita e qualità del prodotto finale. Per questo i controlli che vengono effettuati rappresentano per me un riconoscimento del mio lavoro, perché è l’attenzione quotidiana che mi permette di raggiungere i risultati di eccellenza», dichiara Paolo Fellegara.
Made in Italy
In termini più ampi, una menzione particolare riguarda infatti il made in Italy: il 61% degli allevatori vede un’immediata opportunità per la valorizzazione delle produzioni italiane e il rilancio del settore, rappresentato spesso anche da aziende locali e a conduzione familiare, piccole e media imprese impegnate ogni giorno a garantire la massima qualità dei nostri prodotti di eccellenza e conosciuti nel mondo.