Biosicurezza e salute animale. Questi i temi centrali sviscerati in occasione della Giornata della suinicoltura, tenutasi il 26 maggio scorso a Montichiari. Due aspetti dello stesso tema che stanno diventando fondamentali per ridurre il consumo di farmaco veterinario, allevare suini capaci di esprimere al meglio il loro potenziale genetico e soprattutto per dar vita a filiere produttive in sintonia con i desideri di un consumatore preoccupato dall’antibiotico resistenza, ma totalmente impreparato ad affrontare questo argomento complesso e delicato, se non con un approccio emotivo e poco informato.
La Giornata della suinicoltura, evento molto atteso dai professionisti del settore, ha rappresentato l’occasione per discutere delle nuove strategie da mettere in campo al fine di prevenire la diffusione dei patogeni e far partire al meglio i suinetti che si avviano a diventare prosciutti, braciole o insaccati. Un confronto tra esperti che hanno deciso di condividere la loro esperienza, medici veterinari danesi e spagnoli e suiatri italiani che conoscono bene la nostra zootecnia e i vincoli strutturali e manageriali che a volte non la fanno decollare.
Un investimento che dà garanzie
«I costi che il suinicoltore deve affrontare per proteggere la propria azienda vengono ampiamente ripagati nel tempo». Queste le parole di Giancarlo Belluzzi, medico veterinario e chairman della giornata. «Gli allevatori – ha continuato - hanno compreso che biosicurezza e costi per la sanità vanno inversamente di pari passo: più investi in biosicurezza meno spendi in farmaci e meno rischi di introdurre malattie. L’atteggiamento talvolta attendista sta nel fatto che biosicurezza è sinonimo di prevenzione e la prevenzione dà risultati a medio-lungo termine; la prevenzione non risolve i problemi immediati ma li “previene in futuro”».
Ha poi continuato Belluzzi: «All’estero tutti stanno facendo passi in avanti, anche noi italiani. Ovunque ci sono allevamenti più strutturati e altri meno. In Italia la crisi di prezzo degli ultimi anni ha frenato molto la capacità di spesa, per cui solo chi se lo poteva permettere ha investito nell’allevamento, anche in biosicurezza. Tuttavia, parlando di allevamenti di una certa dimensione, mi sento di dire che lo sforzo per mantenere alto il livello sanitario europeo dell’allevamento suino è univoco».
Ricorso all’antibiotico
«Non occorre essere dei patologi per comprendere che con un maggior livello di salute animale si utilizza sempre meno farmaco veterinario – ha proseguito Belluzzi -. L’allevatore europeo non ha scoperto ora che si viaggia a due velocità. Come per la biosicurezza, anche per il consumo di farmaci vale la stessa regola. Ci sono Paesi, soprattutto quelli del centro nord, ma non solo, che sono partiti da tempo con un’attenzione particolare all’utilizzo ed al razionamento delle molecole farmacologiche. Complici molteplici fattori: la spesa ed il rendimento, la prevenzione e la lotta alle patologie, la qualità della carne prodotta per il consumo ed il suo prezzo, ma soprattutto il consumatore e le sue preferenze o le sue esigenze. La ricerca - ha continuato il veterinario - ha trovato terreno fertile quando i produttori hanno capito che il farmaco va utilizzato con cognizione di causa e non “a tappeto”, che il vaccino è un utile strumento preventivo se mirato, e che il consumatore è terrorizzato dai residui».
Il successo aziendale parte dal management
Per Loris Alborali, direttore responsabile della Sezione diagnostica di Brescia dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, migliorare la gestione è il primo passo verso il successo. Senza mai trascurare la biosicurezza, strumento principe di prevenzione
«Il fattore che gioca il ruolo più determinante – ha spiegato Alborali - è senz’altro il management e devo dire che negli ultimi 2-3 anni gli allevatori hanno fatto notevoli passi avanti, alla ricerca di una sempre maggiore efficienza economica. In passato, aldilà dei classici andamenti altalenanti dei prezzi, c’erano comunque momenti positivi in cui i guadagni consentivano anche agli allevatori meno attenti alla gestione di andare avanti. Oggi i margini sempre più contenuti chiedono la massima attenzione e non permettono errori sotto il profilo manageriale della porcilaia. E questo ha anche portato a un miglioramento dei parametri riproduttivi delle scrofe e dei parametri produttivi dei suini all’ingrasso».
Sulla questione biosicurezza, Alborali ha così esordito: «La biosicurezza può giocare un ruolo determinante, ma è un percorso fatto di formazione del personale, lungo tutta la filiera. La biosicurezza non si costruisce dalla sera alla mattina. È chiaro che lasciare fuori i patogeni dall’allevamento, adottando uno scrupoloso piano di lavaggio degli automezzi che trasportano i suini sia uno strumento essenziale per evitare che i patogeni presenti in un’azienda vengano trasferiti a centinaia di chilometri di distanza in un’altra, ma non vorrei nemmeno sottovalutare la gestione della circolazione delle persone all’interno dell’azienda, sia dipendenti che fornitori. È un cambio di mentalità sul quale occorre lavorare ancora».
Vaccinazione, strumento da utilizzare al meglio
«La lotta all’antibiotico-resistenze passa necessariamente dal ricorso sistematico ai mezzi di prevenzione, di cui i vaccini sono gli elementi di punta». Così Stefano Fioni, veterinario di campo e suinicoltore, ha esordito all’incontro di Montichiari, sottolineando l’importanza della vaccinazione.
«Per limitare il ricorso agli antibiotici il ricorso alle vaccinazioni è fondamentale. Il primo passo da compiere è fare il cosiddetto punto zero, ovvero allevatore e veterinario devono riflettere su come è strutturato l’allevamento e individuare quali sono i patogeni presenti anche per mezzo di opportune indagini sierologiche. Perché non esiste un protocollo vaccinale standard, valido in qualsiasi situazione e per qualsiasi allevamento, ma solo soluzioni su misura. L’errore principale – ha sottolineato il veterinario - è posizionare il vaccino in modo scorretto dal punto di vista temporale. Troppo spesso i suinetti vengono letteralmente bombardati di vaccini quando il loro sistema immunitario è ancora immaturo. La vaccinazione è un tassello, sicuramente importante, ma soltanto un tassello di un corretto management, che comprende anche un adeguato piano di biosicurezza, una corretta alimentazione, una razionale gestione delle diverse fasi e dei gruppi, e così via. Solo vaccinando suinetti sani, con una bassa incidenza di malattie, il vaccino darà i suoi frutti».
I fattori critici della redditività aziendale
Gabriele Canali, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole (Crefis), in occasione della Giornata della suinicoltura, ha analizzato un aspetto delicato, ribadendo l’esigenza di rilanciare l’interprofessione.
«Un aumento della redditività, per gli allevatori, che ad aprile ha fatto registrare un +5,2% sul mese precedente, e addirittura un +23,3% se confrontato con lo stesso mese del 2016. L’indice Crefis (Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole) conferma ancora una volta il buon andamento del settore suinicolo iniziato ormai un anno fa, spezzando a quanto pare una congiuntura avversa che proseguiva da alcuni anni. I prezzi dei suini pesanti destinati alle produzioni dop, Prosciutto crudo di Parma e San Daniele in testa, sempre nello scorso mese di aprile hanno raggiunto sulla piazza di Modena quotazioni di 1,661euro/kg, pari a un +5,3% su marzo e a +35,8% rispetto ad aprile 2016. Tutto bene allora? Non proprio. Questo insperato miglioramento della redditività è figlio di una congiuntura favorevole a livello internazionale e non di scelte e/o azioni strategiche messe in atto dal comparto – ha affermato il direttore di Crefis -. Sarei molto prudente a modificare i livelli produttivi in maniera strutturale perché non vi è certezza sulla durata di questa ripresa, proprio in considerazione della sua origine e di come si è sviluppata; la situazione potrebbe quindi cambiare, anche repentinamente, e non in maniera positiva. Una maggiore redditività potrebbe in ogni caso indurre gli allevatori ad affrontare altre tipologie di investimenti aziendali o, meno assillati dalla necessità di far quadrare i conti, spingerli verso la realizzazione della tanto auspicata interprofessione. Il momento in effetti è propizio per pensare a una strategia di medio-lungo periodo – ha sottolineato il direttore di Crefis – ma a parte qualche voce fuori dal coro che al riguardo si interroga, di interprofessione purtroppo nessuno parla, quasi come se il buon andamento economico di questi ultimi tempi anziché motivare la nascita di iniziative strategiche per il futuro le deprimesse. È un paradosso, ma purtroppo nel tempo abbiamo sperimentato quanto sia difficile riuscire a mettere tutta la filiera intorno a un tavolo per discutere e possibilmente attuare progetti concreti che guardino al futuro della suinicoltura italiana. Eppure i temi per sviluppare nuove strategie a vantaggio della suinicoltura italiana non mancano. Pensiamo solo alla crescente sensibilità del mercato verso il benessere animale, alle iniziative che a questo riguardo stanno adottando le più importanti catene della gdo e alle implicazioni che, vere o presunte, potrebbero avere sulla salute umana».
Ciwf, per una filiera davvero sostenibile
L’applicazione delle norme di biosicurezza rappresenta un elemento integrante del rispetto del benessere animale.
Ne è convinta Elisa Bianco, responsabile del settore alimentare di Compassion in World Farming, che all’incontro di Montichiari ha affermato: «La qualità di vita, la salute degli animali e la biosicurezza sono aspetti molto importanti a cui noi guardiamo con grande attenzione perché concorrono a ridurre in maniera considerevole lo stress degli animali con indiscutibili benefici anche di carattere sanitario. È infatti scientificamente dimostrato che un animale meno esposto a condizioni di stress durante il suo ciclo vitale avrà meno probabilità di contrarre malattie. È importante però che l’adozione delle pratiche previste in materia di biosicurezza coinvolga tutte le fasi produttive perché come un effetto domino ognuna, dalla nascita fino alla macellazione, ricade su quella successiva».
DANIMARCA, dove la biosicurezza paga
Ma non solo di allevamenti italiani si è parlato alla tanto attesa Giornata: Frede Keller, suiatra danese, ha confermato il ruolo strategico della prevenzione in un Paese che esporta milioni di suini all’anno e che non può permettersi incidenti sanitari di alcun tipo, che potrebbero bloccare la movimentazione degli animali.
«La Danimarca ha puntato molto sul settore suinicolo, creando una filiera particolarmente competitiva, non solo sul mercato interno, ma soprattutto su quello internazionale. Una strategia che impone livelli sanitari particolarmente elevati, sia per rispettare le normative vigenti, ma anche per garantire alla clientela estera di acquistare un prodotto sano sotto ogni punto di vista. Traguardo impegnativo che richiede una applicazione costante e monitorata della biosicurezza, lungo tutta la catena. Più di 25mila mezzi per il trasporto del bestiame – ha affermato Keller - sono passati nel 2016 nei 5 centri di lavaggio danesi contribuendo al successo del settore: è un percorso che la Danimarca ha costruito investendo risorse economiche e coinvolgendo tutti gli operatori ma i risultati non mancano e permettono ai nostri allevatori di sfruttare al massimo il potenziale genetico dei suini in termini di accrescimento giornaliero, indice di conversione alimentare, longevità degli animali. Da vent’anni vacciniamo sistematicamente contro Mycoplasma e da una decina contro Pcv2 con effetti positivi non solo da un punto di vista sanitario, ma anche di riduzione del farmaco. Un obiettivo perseguito utilizzando tutti gli strumenti necessari messi a disposizione per un allevamento sempre più sostenibile».
SPAGNA, la crescita non è soltanto numerica
Approccio diverso ma stesso obiettivo per gli allevamenti suinicoli spagnoli. Ne ha parlato Carlos Piñeiro, veterinario spagnolo. «Negli allevamenti iberici – ha spiegato - l’applicazione delle norme di biosicurezza ha fatto sensibili passi avanti. Anche perché è la porta di accesso ai grandi flussi esportativi. In generale possiamo dire che la situazione negli allevamenti spagnoli per quanto riguarda la biosicurezza sia buona e che stia migliorando, ma ci sono ancora notevoli disparità tra gli standard in essere negli allevamenti più professionali e quelli dei piccoli produttori o delle realtà a conduzione familiare, dove il margine di miglioramento è più ampio rispetto ai primi. C’è da segnalare – ha precisato Piñeiro -, un’attenzione crescente degli addetti ai lavori rispetto a questo tema, sia per le conseguenze dirette che l’applicazione della biosicurezza produce sull’azienda, sia sul possibile impatto che essa ha nei confronti dell’export. Negli ultimi anni la Spagna è infatti riuscita a incrementare sia il numero di scrofe che la produzione di carne suina e nel 2015, secondo i dati diffusi a dicembre 2016 da Miquel Angel Berges Saura (Mercolleida), ha registrato un aumento del 20% delle esportazioni verso i Paesi del sud-est asiatico».
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura n. 6/2017
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura