Peste suina, dalla prevenzione alla gestione

Prevenzione
È il caso di non dare nulla per scontato. In questo momento di allerta rossa tutti devono fare la propria parte. Il monito degli esperti in occasione di un recente incontro presso l’associazione regionale allevatori del Friuli Venezia Giulia

Il ritrovamento di una carcassa di cinghiale infetto da Peste suina africana Psa - in Germania (nel distretto della Sprea-Neisse, nella regione del Brandeburgo), al confine con la Polonia, lo scorso 9 settembre, ha riacceso i riflettori su questo pericolosissimo virus. Anche in Friuli Venezia Giulia. Perciò, l’Associazione allevatori ha deciso di promuovere un incontro in presenza, per fare il punto della situazione epidemiologica, nel rispetto delle norme stabilite per la sicurezza sanitaria, nella sua sede di Codroipo (Udine). Agli allevatori intervenuti, hanno parlato due veterinari: Denis Vio, della Sezione territoriale di Pordenone dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie e Manlio Palei, della Regione Friuli Venezia Giulia. Si è parlato di prevenzione e di gestione.

Prevenzione, massima attenzione 

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Denis Vio

Secondo Vio, l’attenzione preventiva verso la Psa non può mai essere abbassata poiché si tratta della malattia infettiva dei suini più importante degli ultimi 50 anni. Un’infezione partita dall’Africa e arrivata in Georgia nel 2007. Poi ha viaggiato ancora coinvolgendo tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico e dell’Asia. Molti Paesi europei sono già stati contagiati portando con sé danni economici e sociali enormi poiché, dal cinghiale, il virus può essere trasmesso ai suini. E, non essendoci vaccini efficaci, per la prevenzione e il contenimento della Psa bisogna necessariamente passare per un’adozione stringente di tutte le necessarie misure di biosicurezza.

Per la fortuna dell’Italia, tutti i Paesi confinanti sono negativi all’infezione, ma in Europa si registra già un clima di inizio emergenza poiché, tra l’altro, il fronte della malattia avanza naturalmente alla velocità di 20-60 km l’anno, in relazione della densità della popolazione di cinghiali presente nelle diverse aree. Le esperienze di questi anni, comunque, segnalano che ci possono essere dei “salti” nella trasmissione del contagio dovuti, soprattutto, al fattore umano e all’accidentalità, assegnando alle previsioni dell’evoluzione della malattia un ampio margine di imprevedibilità.

Agire rapidamente

In caso di infezione, la rapidità di azione è tutto – ha detto Vio -, come hanno insegnato gli esempi della Repubblica Ceca prima e della Germania più recentemente. Il controllo della popolazione dei cinghiali serve a individuare i primi casi di animali infetti e circoscrivere in maniera efficace i focolai. Ogni ritardo può provocare conseguenze molto dannose anche qualora non fossero coinvolti suini. Infatti, la sola presenza del virus provoca, oltre che agli evidenti costi diretti di contrasto ed eradicazione, anche delle restrizioni al commercio (nazionale e internazionale) per i prodotti dell’area infetta, per un lungo periodo. Le “buone” esperienze precedenti ci dicono che, nel caso di azioni tempestive ed efficaci, la normalità può essere ripristinata in un paio d’anni.

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L’attacco ai visceri provoca vomito e perdite ematiche negli animali infettati che muoiono nell’arco di pochi giorni.

Nell’impegno per la lotta alla Psa, non si deve mai dimenticare che si tratta di un virus molto resistente e assai stabile. In una carcassa di animale, il virus può rimanere vitale e infettivo anche per parecchi mesi. Non viene debellato nemmeno con il congelamento e la salatura dei prodotti. I veicoli di infezione sono numerosi e vanno ben oltre la sola trasmissione tra gli animali selvatici. Chiunque frequenta un bosco potenzialmente infetto può rimanere contaminato e, poi, contaminare a sua volta. I veicoli di trasporto, determinate attrezzature e i prodotti suini trasportati, se infetti, possono a loro volta infettare. La scorretta gestione delle carcasse e dei rifiuti carnei (potenzialmente infetti) possono essere veicolo di contaminazione.

 

Agire correttamente

Una volta esploso il contagio, si verifica una prima “onda epidemica” nella popolazione selvatica che può diffondersi alla velocità di 20-40 km l’anno (dovuta alla trasmissione diretta del virus), trasformandosi poi in epidemia vera e propria. In termini di prevenzione, una prima azione preventiva per ridurre il rischio di infezione è quella di contenere la popolazione dei cinghiali per restringere le eventuali dimensioni del contagio. Una volta sviluppatasi l’infezione, però, serve un’azione corretta, coordinata ed efficace di eliminazione delle carcasse. In ogni caso, esistono già degli strumenti normativi ai quali fare riferimento per stabilire tempi e modi di azione.

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Una carcassa di cinghiale. In caso di ritrovamento, è necessario avvisare immediatamente le Autorità sanitarie competenti che provvederanno a effettuare i relativi controlli per verificare la presenza o meno dell’infezione. Poi, la carcassa sarà eliminata.

Gestione della sorveglianza e dell’emergenza

Innanzitutto, esiste il Piano nazionale di sorveglianza sulla Psa (che, a esempio, norma i test da fare sugli animali morti, la gestione delle carcasse e il costante monitoraggio dei selvatici e dei suini allevati). Il Piano, tra l’altro, definisce i compiti, le azioni e le modalità di azione, rispettivamente: del ministero della Salute, delle Regioni, delle aziende sanitarie, dell’Izs e del Cerep (Centro di referenza nazionale pesti suine Classica e Africana). Per organizzare il contrasto alla malattia, è prevista la costituzione di un’Unità di crisi centrale, un’Unità regionale e un’Unità locale. Sono ben delineate le operazioni di gestione delle carcasse (recupero, trasporto, campionamento, smaltimento), attraverso l’utilizzo di precisi protocolli di intervento applicati da personale specializzato e/o adeguatamente formato allo scopo.

biosicurezza
La Psa, una volta insediatasi nell’animale, attacca tutti gli organi, comprese le frattaglie che, nel caso di selvatici, non devono essere mai abbandonate in luoghi fuori controllo.

Una volta individuata, nel modo più preciso possibile (anche attraverso la geolocalizzazione), l’origine del contagio, viene istituita una Zona infetta che ha un diametro di almeno 6 km. Attorno a essa si crea una zona di sicurezza di altri 6 km e, poi, un’ulteriore Zona di sorveglianza del raggio di altri 15 km. Nella Zona infetta vengono proibiti uscite e ingressi di qualsiasi tipo (le attività agricole possono proseguire se debitamente autorizzate) e si procede alla gestione del focolaio.

Esistono, poi, le norme Ue di contenimento inserite nel “Manuale delle emergenze da Psa in popolazioni di suidi selvatici”.  Il manuale è stato predisposto per: definire il caso sospetto nei cinghiali; fornire indicazioni sulla corretta gestione di un individuo sospetto di Psa in un territorio indenne; illustrare le strategie di prevenzione e di contenimento del virus per evitarne l’ulteriore diffusione; delineare le informazioni per l’elaborazione di un Piano di eradicazione in caso di rilevamento della malattia.

In conclusione, è il pensiero di Vio, in una situazione di “pace” come quella che sta vivendo attualmente il Friuli Venezia Giulia e l’Italia (Sardegna a parte), serve: da parte degli allevatori, applicare in maniera scrupolosa tutte le regole della biosicurezza, obbligatorie a partire dal 2008; da parte di cacciatori e cittadini, segnalare ai Servizi preposti le carcasse di cinghiale che, eventualmente, si dovessero rinvenire casualmente; da parte dei Servizi pubblici, il recepimento del Piano nazionale, una adeguata formazione del personale di sorveglianza, una puntuale campagna di informazione e sensibilizzazione dei cittadini e degli operatori e la predisposizione di tutte quelle azioni che possono rendere rapida ed efficace l’individuazione tempestiva dei focolai e il loro controllo anche attraverso la redazione di specifici protocolli procedurali.

 

La Regione Friuli Venezia Giulia è pronta

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Manlio Palei

Palei, dal canto suo, ci ha tenuto a risollecitare gli allevatori a impegnarsi nella corretta organizzazione delle misure di biosicurezza nella gestione dei suini (allevamenti rurali compresi). Ha poi spiegato come, la Regione Friuli Venezia Giulia, nel 2019, abbia disposto e realizzato l’abbattimento, per motivi sanitari, di 250 femmine di cinghiale, allo scopo di contenere la numerosità della popolazione potenzialmente infetta e infettante. Questa misura ha consentito, per il 2020, di ridurre di almeno 7mila le unità dei nuovi nati. Inoltre, sta predisponendo la costruzione di un unico centro di smaltimento delle carcasse (attualmente non presente sul territorio) attraverso un rendering che manterrà le distanze di conferimento entro un raggio non superiore ai 60 km, riducendo gli spostamenti dei mezzi. In questo modo, sarà anche garantita la tempestività dello smaltimento, fattore molto importante dal punto di vista preventivo e sanitario.

 

 

 

 

Peste suina, dalla prevenzione alla gestione - Ultima modifica: 2020-10-12T16:15:01+02:00 da Mary Mattiaccio

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