Dalla direttiva nitrati alla Pac, passando per la filiera del biogas e la conseguente enorme disponibilità di digestato: tutto concorre a far sì che la distribuzione degli effluenti sia ormai diventata una priorità per ogni stalla e che le tecniche per effettuarla si stiano via via raffinando.
Sebbene lo spandimento superficiale con carri-botte o l’interramento con ancore sia ancora maggioritario, sempre più imprenditori comprendono l’importanza di valorizzare reflui e digestato, facendo sì che esprimano tutto il potenziale fertilizzante di cui dispongono. E che è, per inciso, notevole: molteplici studi hanno dimostrato che concimare con il solo digestato non è soltanto possibile, ma permette di ottenere rese paragonabili, se non superiori, a quelle dei terreni trattati con fertilizzanti minerali.
Un interessante contributo al dibattito sullo spandimento è stato fornito da Ersaf (Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste) attraverso un confronto pubblico sulle varie tecniche di distribuzione organizzato presso l’azienda sperimentale Carpaneta di Bigarello (Mn). Qui, grazie anche alla collaborazione di Acquafert, società specializzata in irrigazione, fertirrigazione e valorizzazione dei reflui di Cremona, è stato possibile vedere dal vivo e in modo comparato alcune soluzioni per la distribuzione degli effluenti adatte anche, in parte, all’agricoltura conservativa. Queste ultime sono anche oggetto di un test svolto dall’università di Milano, che per alcune settimane ha rilevato le emissioni di ammoniaca in atmosfera per ciascuno dei sistemi di distribuzione considerati.
Spandimento superficiale
Per prima cosa, bisogna considerare la realtà di Carpaneta, azienda sperimentale della regione Lombardia che conta 200 ettari di superficie e una stalla di vacche da latte con annesso caseificio. Buona parte dei terreni è coperta da un sistema ombelicale utilizzato sia per l’irrigazione sia – ed è ovviamente il nostro caso – per la distribuzione dei reflui. Soluzione che consente un elevato rispetto dei terreni, dal momento che nel campo entra soltanto il trattore con l’attrezzo – spesso leggero – usato per la distribuzione, mentre i reflui sono pompati attraverso la tubatura di un normale irrigatore per aspersione (rotolone). In questo modo si riduce fortemente il compattamento, uno dei grandi mali dell’agricoltura moderna.
Vediamo ora, per prima cosa, i metodi di distribuzione superficiale mostrati a Carpaneta. Il primo, più semplice, è l’uso di un banale getto (“spandino”) fissato al sollevatore posteriore di un trattore di piccola cilindrata. Percorrendo il campo avanti e indietro, il trattore effettua una concimazione di superficie abbastanza tradizionale. C’è però la possibilità di controllare i dosaggi somministrati con l’uso del Gps, che rilevando la velocità di avanzamento e conoscendo il volume in uscita dal getto, può suggerire al conducente la velocità da tenere.
Più tecnologicamente avanzato l’impiego dell’ala piovana: si tratta di un semplice attrezzo collegato all’irrigatore e trascinato dal motore di quest’ultimo. Durante la dimostrazione si è vista in funzione una barra da 34 metri, misura scelta perché si combina bene con la rete ombelicale, che presenta una bocchetta di uscita ogni 100 metri. La barra, è stato spiegato, è fornita di calate a 140 cm di distanza, così da poter essere utilizzata, in interfila, anche su mais già alto. La velocità di rientro è generalmente compresa tra 100 e 150 metri l’ora, sufficienti a distribuire un buon quantitativo di effluente per ettaro.
Interramento e lavorazione
I due sistemi sopra descritti sono adatti anche alla semina su sodo e non inficiano il rispetto delle misure relative nel Psr, che finanzia con azioni specifiche l’agricoltura conservativa.
Discorso diverso per gli ultimi due sistemi presentati e che prevedono, sebbene in gradi diversi, la lavorazione del terreno. Vediamoli.
- Il primo attrezzo è stato realizzato dalla stessa Acquafert a scopo dimostrativo, sebbene la società precisi di essere specializzata soprattutto nella trasformazione di attrezzi esistenti. Si tratta di un ripuntatore a sei ancore, ognuna delle quali è dotata di una calata in ferro attraverso cui interra i reflui. Un distributore centrale che riceve il liquame dal sistema ombelicale e lo indirizza ai sei iniettori completa la struttura. L’aspetto più interessante è però il controllo satellitare della distribuzione. Il trattore è infatti dotato di antenna Gps, mentre un flussometro installato nel condotto rileva la quantità di prodotto che finisce nel terreno.
Un sistema di questo tipo permette di adeguare il dosaggio alla velocità del trattore, ma anche di effettuare concimazioni a rateo variabile in base a mappe di prescrizione. Il computer controlla infatti una elettrovalvola che apre e chiude la condotta, modificando in questo modo i metri cubi distribuiti per ettaro», ha spiegato Daniele Roncarati, manager di Spektra Agri, società specializzata in tecnologie satellitari e partner dell’iniziativa di Ferrara.
Il cantiere, dunque, rispetta i requisiti previsti dal Psr lombardo per la distribuzione degli effluenti, ovvero interramento dei medesimi e controllo satellitare delle operazioni.
- Ben più complesso il secondo cantiere, realizzato grazie alla collaborazione di Agrialex, contoterzista della provincia di Bergamo che da qualche anno coopera con Acquafert per alcune applicazioni speciali nel campo della distribuzione dei reflui. Quella mostrata a Carpaneta è senz’altro una delle più interessanti: è stato infatti trasformato un Top down della Vaderstad, un coltivatore combinato in grado di preparare il letto di semina in un solo passaggio, essendo formato da una doppia fila di dischi contrapposti, tre ordini di ancore, una fila di dischi stellati con funzione di interramento dei residui e, infine, un rullo packer che compatta il terreno appena lavorato. Su questo attrezzo, largo 3 metri e che richiede almeno 280 cv per lavorare al meglio, è dunque stato installato un sistema di distribuzione dei reflui di Acquafert, composto dal solito distributore e da una calata per ogni ancora. Avanzando a una velocità compresa tra 10 e 15 km orari, il Top down interra circa 100 metri cubi di effluenti per ettaro. L’alimentazione è ancora una volta ombelicale, ma in questo caso, anziché ricevere i liquami dalla rete di distribuzione sotterranea, il trattore pesca, sempre attraverso un rotolone di irrigazione, da un carro che funziona come serbatoio di riserva a bordo campo. E che è alimentato, a sua volta, da botti che fanno la spola tra le vasche della stalla e il punto di distribuzione. In questo modo è possibile massimizzare la produttività dell’attrezzo – si superano abbondantemente i 2 ettari e mezzo l’ora – ed evitare il compattamento del terreno.
Va da sé che in questo caso – e in quello precedentemente descritto – non si effettuerà poi una semina su sodo, ma casomai in minima lavorazione.
In ogni caso si tratta di una pratica in grado di ridurre i costi per l’azienda, abbattendo le ore di lavoro necessarie alla preparazione del terreno e, di conseguenza, limitare notevolmente l’inquinamento dell’aria, nonché le emissioni di azoto dai reflui (grazie all’interramento dei medesimi). Tutto questo garantendo una produzione identica a quella di un terreno lavorato secondo i canoni tradizionali.
L’articolo completo è pubblicato su Informatore Zootecnico n. 5/2016
L’edicola di Informatore Zootecnico