Il box individuale con scrofa libera può essere una valida alternativa ai box parto-allattamento convenzionali, soprattutto quando si vuole valorizzare la produzione aziendale dal punto di vista del benessere animale finalizzata alla premialità sul mercato e a una migliore immagine rispetto al consumatore. L’adattamento può avvenire con due approcci: adattando box tradizionali già presenti in allevamento oppure adottando nuovi box che garantiscono un livello maggiore di benessere, ma che al contempo comportano un costo di costruzione superiore.
Ma vediamo intanto quali sono le differenze tra i due sistemi convenzionale e con scrofa libera e quali i vantaggi e gli eventuali svantaggi. Inoltre, valutiamo quale costo comporterebbe convertire il proprio allevamento in uno dotato di box individuale con scrofa libera.
A illustrarci il tema è Paolo Rossi, responsabile dell’Ufficio edilizia al Crpa di Reggio Emilia, che ha presentato una relazione nell’ambito del convegno “Il benessere animale negli allevamenti suinicoli”, in occasione della recente Fieragricola di Verona. Il convegno ha illustrato le attività previste dal progetto “Benessere dei suini in allevamento”, attivato dal Consorzio del Prosciutto di Parma in collaborazione con Crpa, Università degli Studi di Milano e Anas.
Box parto-allattamento con scrofa in gabbia
«Come allestito nella suinicoltura moderna – racconta l’esperto – il reparto di maternità, composto dalle sale parto e dai box parto-allattamento con scrofa in gabbia, è stato pensato per fare in modo che il parto e l’allattamento si svolgano regolarmente e che siano “produttivi”, inoltre per facilitare gli interventi sugli animali da parte degli operatori, ai quali pertanto è garantita anche una propria sicurezza. Non ultimo, è stato progettato per garantire la tranquillità dei suini e per assicurare condizioni ambientali e igieniche ottimali alla scrofa e ai lattonzoli».
La tenuta in gabbia della scrofa, ammessa dalla normativa benessere (Dir 2008/120/Ce attuata con D.lgs. n. 122/2011), comporta diversi vantaggi. «Non solo – precisa Rossi – limita il rischio di schiacciamento dei lattonzoli da parte della madre, ma riduce anche lo spazio occupato dal box parto, contenendo quindi l’investimento strutturale del reparto. La scrofa in gabbia aumenta poi anche la sicurezza degli operatori durante l’esecuzione di interventi sui lattonzoli. Come sappiamo bene, infatti, in questa fase delicata la scrofa può essere più aggressiva del solito».
Lo svantaggio della costrizione della scrofa in gabbia sta invece nel fatto che l’animale può godere ovviamente di una libertà molto limitata, sia nella fase del parto che in quella dell’allattamento. Ma è anche vero che, in termini di rapporti costi-benefici, in un allevamento a ciclo chiuso o da riproduzione il box parto è il reparto che all’allevatore costa di più, in termini di euro per metro quadrato. Se egli riesce a ridurre la superficie, riuscirà a ridurre anche l’investimento. E questo è il motivo che fino a oggi ha portato alla costruzione degli attuali box parto-allattamento convenzionali.
«Nei box attuali, infatti – illustra l’esperto – le superfici possono variare tra 3,35 e 3,6 m2/box per scrofa disposta longitudinalmente e tra 3,5 e 3,9 m2/box per scrofa disposta diagonalmente. Se poi consideriamo anche le aree di servizio occupate da corridoi e corsie, possiamo stabilire che con il sistema tradizionale abbiamo bisogno di una superficie che va, come minimo, dai 5,8 ai 6,2 m2/box».
Scrofe libere nei box parto
Puntualizza poi Rossi: «È vero che la normativa benessere ammette il box parto con scrofa in gabbia. Tuttavia, all’art. 7, punto 2.f, si sollecitano “ulteriori sviluppi dei sistemi in cui (…) le scrofe partorienti hanno una libertà di movimento che soddisfa le loro esigenze senza compromettere la sopravvivenza dei lattonzoli”. E anche questo input ha alimentato ulteriormente l’interesse – peraltro già esistente – a cercare sistemi alternativi che permettessero una modalità di allevamento delle scrofe senza o con limitato periodo in gabbia. Soprattutto negli allevamenti che puntano ad avere molte nascite, per avere buoni risultati, la forte costrizione della scrofa in questa fase molto delicata della sua vita non è in realtà del tutto auspicabile. È chiaro che un numero elevato di suini nati all’anno incide sulla produttività e quindi sulla redditività dell’allevamento».
A quali sistemi ha dunque pensato la ricerca oggi per un allevamento che crei il minore stress possibile alle scrofe durante il parto e l’allattamento? Risponde Rossi: «Lo scopo era quello di permettere all’animale di essere libero già prima del parto o appena dopo, permettendogli di realizzare attività naturali come la preparazione del nido e l’accudimento dei suinetti. Per diversi anni abbiamo assistito a tecniche sperimentali che soddisfacessero queste esigenze. Oggi si è giunti alla conclusione che la soluzione migliore è quella delle scrofe libere nei box parto».
Ospitando la scrofa libera, dunque, il box parto avrà caratteristiche e dimensioni che consentono due opzioni. La prima opzione permette alla scrofa di essere temporaneamente limitata e poi liberata (restando in gabbia soltanto i primi giorni) grazie a dispositivi che spostano i battifianchi della gabbia e che faranno ritrovare l’animale insieme alla nidiata nel box libero. La seconda possibilità prevede che la scrofa sia libera fin dall’inizio nel box, dove partorirà in modo naturale e allatterà egualmente libera i propri piccoli.
«I primi studi sulle performance di queste soluzioni – specifica Rossi – si sono concentrati sul rischio che la liberazione della scrofa potesse provocare lo schiacciamento dei suinetti. Ma le conclusioni di tali ricerche hanno dimostrato che questi box forniscono, nel complesso, risultati produttivi analoghi a quelli dei box convenzionali».
I box con scrofa libera, ovviamente, dovranno essere più grandi di quelli tradizionali, in modo che risulti più difficile alla scrofa entrare in collisione con i piccoli. «Per soddisfare questa necessità – precisa ancora Rossi – sono state progettate delle strutture addossate al perimetro del box, le quali creano spazi di fuga per i suinetti. Pensiamo nella fattispecie a un cancello in tubi d’acciaio che gira intorno al box e che permette ai lattonzoli di ripararsi. A sua volta, se la scrofa si appoggia a questa struttura, resterà sempre correttamente staccata dalla parete. Intorno all’anello i suinetti possono camminare e muoversi protetti dalla scrofa».
I box Stg e Sl
Dal punto di vista costruttivo, per la scelta dei box con scrofa libera sono da considerare due aspetti. Li illustra ancora Rossi: «Primo, a livello di impiantistica, questi box sono per la maggior parte più complessi. In secondo luogo, il box individuale necessita di una maggiore superficie. Le dimensioni dovrebbero essere tali da consentire alla scrofa di essere temporaneamente intrappolata in una gabbia e poi di essere liberata all’interno della superficie del box (soluzione Stg = scrofa temporaneamente in gabbia) oppure di essere sempre libera all’interno del box (soluzione Sl = scrofa libera)».
Ma vediamo un po’ di numeri, così come Rossi li ha illustrati nella sua relazione a Fieragricola. Una prima possibilità, come progettato dall’anglosassone Midland Pig Producers, sarebbe un box di tipologia Stg di lunghezza 2,4 m e larghezza tra 1,6-1,8-2,1 m. Ne risultano tre diversi modelli con una superficie complessiva che può essere di 3,84 oppure 4,32 oppure 5,04 m2/box.
Dal dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Vienna viene il progetto di un box Stg con una lunghezza pari a 2,5 m e una larghezza di 2,2, m. La superficie che ne risulta è di 5,5 m2/box.
Ancora, la danese Vissin Agro propone box tipo Stg di 2,4 m per 2,4 m per una superficie complessiva di 5,76 m2/box.
Non ultimo, l’Università di Copenhagen insieme al Danish Pig Research Centre ha progettato un box di tipologia Stg lungo 3 m e largo 2 m per una superficie di 6 m2/box.
Per le tipologie di box Sl, invece, Rossi ha riportato l’esempio di un box progettato dalla Aarhus University e dalla Danish Animal Welfare Society.
Il box in questione ha una lunghezza di 3 m e una larghezza di 2 per un’estensione di 6 m2.
È possibile anche costruire un box come ideato dall’austriaco Institute of Organic Farming and Farm Animal Biodiversity, che prevede dimensioni di 2,85 m per 2,3 m per una superficie di 6,55 m2/box.
La Norwegian University of Life Sciences, invece, ha proposto un box Sl di 3,2 per 2,4 m che si estende così su una superficie di 7,68 m2.
Come commenta Rossi, «Questi box possono rappresentare un’alternativa per quegli allevatori che sono interessati a caratterizzare il loro prodotto con un alto livello di benessere animale o per coloro che hanno molte richieste da produttori esteri, i quali desiderano animali più liberi rispetto ai nostri standard italiani».
Come adattare un box parto-allattamento già esistente
Ma come è possibile adattare un box parto-allattamento già esistente di tipo convenzionale a questi appena descritti? Risponde ancora l’esperto: «L’adattamento può avvenire con due approcci. Primo, adattando box tradizionali già presenti in allevamento. Secondo, adottando nuovi box tipo Stg o Sl, che possono garantire un livello maggiore di benessere, ma che comportano un costo maggiore di costruzione, crescente al crescere della superficie unitaria del box».
Per quanto riguarda i costi di conversione, nel caso si voglia cioè passare da un settore maternità convenzionale a un box con scrofa libera, Rossi spiega: «Il settore maternità convenzionale ha un costo di costruzione di circa 4.000-4.200 euro/posto scrofa (circa 660-690 euro/m2 di superficie coperta) e incide sul costo totale di costruzione delle porcilaie per l’8% nel caso di ciclo chiuso per la produzione di suini pesanti e per il 23% nel caso di ciclo aperto da riproduzione. Se ipotizziamo invece un box tipo Stg con 44% di superficie in più rispetto al box convenzionale (da 3,6 a 5,2 m2/box), si può stimare un aumento del costo di costruzione della maternità del 25% circa».
In ogni caso non è detto che si debba convertire tutto l’allevamento. Conclude Rossi: «L’aspetto negativo è rappresentato dall’investimento iniziale. Ma se ho garanzia del ritiro del prodotto da parte di un cliente che mi paga di più, il bilancio è fatto. È possibile convertire anche solo una parte del parco scrofe (a esempio una banda su tre) per la produzione di animali con benessere animale e libertà, aspetti apprezzati e richiesti soprattutto dai compratori esteri».
Le foto sono del Crpa
Leggi l’articolo sulla Rivista di Suinicoltura n. 3/2018
L’Edicola della Rivista di Suinicoltura