Una delle più grandi preoccupazioni per i consumatori di carne e derivati è la presenza di residui di antibiotici negli alimenti che giungono sui banchi vendita. Purtroppo, in passato, in medicina veterinaria sono stati commessi diversi errori e la mancata (o scorretta) comunicazione dei cambiamenti gestionali e legislativi nel settore contribuisce a mantenere uno status di timore e preoccupazione nel pubblico.
Il presente articolo si pone come obiettivo quello di fare un punto sulla questione e rendere i consumatori e i produttori realmente consapevoli delle dimensioni di quella che è, a tutti gli effetti, una delle più grandi emergenze sanitarie attuali al mondo: l’antibiotico resistenza.
Perché si usano gli antibiotici in zootecnia?
Gli antibiotici sono farmaci utilizzati per combattere infezioni batteriche (e talvolta fungine) in medicina veterinaria, dove sono fondamentali per garantire la sostenibilità economica delle produzioni alimentari, riducendo le perdite causate da malattie infettive negli animali. L’uso di antibiotici per la prevenzione e/o la cura risulta, pertanto, in molti casi, essenziale per garantire la sostenibilità economica di determinati cicli produttivi nelle aziende zootecniche. Come vedremo, però, l’impiego di questi farmaci è sottoposto a diversi regolamenti e limiti.
Regolamentazione
Nell’Unione Europea, l’uso degli antibiotici è strettamente regolato: è consentito solo per la prevenzione e il trattamento delle malattie, ma vietato per promuovere la crescita (Reg. CE 1831/2003). Inoltre, sia in medicina umana che veterinaria, gli antibiotici possono essere prescritti solo da un medico o un veterinario tramite ricetta elettronica.
In precedenza, è stato citato l’uso di antibiotici per la prevenzione delle malattie batteriche; in realtà, all’interno del concetto di “prevenzione”, va fatta una distinzione tra metafilassi e profilassi.
Metafilassi e profilassi: distinzioni e normative
La profilassi implica la somministrazione preventiva di antibiotici a individui sani per evitare infezioni, ed è vietata per trattamenti di massa in animali sani.
La metafilassi, invece, consiste nel trattare un gruppo di animali quando alcuni sono già malati, per limitare la diffusione della malattia tra i soggetti a rischio. Questo approccio è permesso solo in casi di emergenza e non può essere utilizzato di routine. Inoltre, la normativa europea (Reg. Ue 2019/6) è chiarissima su questo aspetto: la metafilassi non può essere un modo per sopperire a pratiche zootecniche e igienico-sanitarie scadenti.
In aggiunta alle suddette limitazioni, la normativa (Reg. Ue 2016/429) prevede che per alcune zoonosi, come ad esempio la tubercolosi, la brucellosi o la salmonellosi, l’uso di antibiotici a scopo metafilattico o terapeutico sia assolutamente vietato negli animali allevati a scopo alimentare, in quanto andrebbe a selezionare ceppi batterici zoonosici resistenti agli antibiotici comunemente usati per la terapia umana, in cui già osserviamo un elevato livello di antibiotico-resistenza.
Le dimensioni del problema
L'Antibiotico-resistenza: una sfida per la zootecnia
In Europa si stima che circa 35.000 persone muoiano ogni anno a causa di infezioni causate da batteri multi-resistenti agli antibiotici. Tuttavia, la distribuzione delle responsabilità tra medicina umana e veterinaria in questo fenomeno non è ancora chiara. Entrambi i settori contribuiscono in modo complesso all’antibiotico-resistenza, ma ci sono delle distinzioni importanti.
Più dei due terzi degli antibiotici critici per la salute umana sono vietati negli animali destinati alla produzione alimentare, limitando il rischio che tali sostanze si trovino nei prodotti di origine animale. Inoltre, quando gli antibiotici vengono usati in veterinaria, esistono regolamenti rigorosi (Reg. CE 470/2009) per garantire che i residui nei prodotti alimentari non superino i limiti sicuri per i consumatori. Il periodo di attesa tra la somministrazione dell’antibiotico e la messa in commercio dei prodotti (detto “tempo di sospensione”) garantisce che i residui si riducano a livelli accettabili.
Riduzione dell’uso di antibiotici per migliorare la redditività
Capiamo bene, quindi, che, se è vero che l’uso degli antibiotici può abbattere i costi delle produzioni alimentari è altresì vero che ogni volta che si usano antibiotici l’allevatore è costretto a – letteralmente – buttare latte o uova e in alcuni casi a rimandare la macellazione degli animali, con evidente aumento dei costi di produzione. L’allevatore, pertanto, ha tutto l’interesse nell’usare quanti meno antibiotici possibili, non fosse altro perché questi rappresentano dei costi legati allo scarto di prodotti alimentari, alle visite veterinarie e al maggior tempo dedicato al lavoro. Pertanto, l’allevatore, se potesse non usare mai antibiotici, sarebbe solo contento.
L’interesse dell’allevatore nell’usare meno antibiotici possibili è legato, specialmente nelle realtà di medie e piccole dimensioni, anche a contributi europei, che premiano gli allevatori che fanno un uso razionale degli antibiotici. L’uso degli antibiotici, più o meno frequente, contribuisce alla categorizzazione degli allevamenti in base al rischio da parte delle autorità sanitarie, che faranno più ispezioni (con conseguenti “fastidi” e perdite di tempo da parte di chi alleva) laddove il rischio risulta essere stimato più alto.
Al contrario, in medicina umana non è raro imbattersi in persone che obbligano o minacciano il proprio farmacista o il proprio medico a farsi dare o prescrivere un antibiotico anche quando non strettamente necessario. In fondo, la spesa da sostenere è minima.
Quanti antibiotici si usano?
Al netto del mercato nero, l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, ha elaborato nel corso degli anni delle stime sull’uso di antibiotici sia in medicina veterinaria sia in medicina umana.
A livello europeo dal 2018 a 2022 si è assistito a una riduzione del 28% dell’uso di antibiotici nella medicina degli animali produttori di alimenti, a fronte di un andamento pressoché stabile nel tempo in medicina umana, dove l’uso di questi farmaci si conferma costantemente maggiore rispetto alla medicina veterinaria. Sempre a livello europeo, inoltre, gli antibiotici di massima priorità per la salute umana, ossia quelli salvavita (i cosiddetti HP-CIAs), rappresentano poco meno del 6% del totale impiegato negli animali da reddito.
Consumo di antibiotici in zootecnia e medicina umana
In tal senso, ricordiamo che la normativa attuale consente di utilizzare solo un terzo delle classi di antibiotici critici per la salute umana in zootecnia. Ciò significa che non solo in zootecnia si usano meno antibiotici rispetto alla medicina umana, ma anche che gli antibiotici di priorità maggiore per la salute umana sono molto meno impiegati. In Italia, dal 2010, l’uso di antibiotici negli allevamenti è diminuito del 62,7%, e solo l’1,2% del totale rientra nella categoria di priorità massima.
Si è osservato, in linea con quanto accade nel resto d’Europa, inoltre, che in valore assoluto, l’uso di antibiotici negli allevamenti è minore rispetto a quello in medicina umana. In particolare, di quelli impiegati nella zootecnia italiana, il 70,9% è nel gradino più basso in ordine di importanza per la salute umana.
Paura dei consumatori
Negli ultimi anni, le restrizioni sull’uso degli antibiotici, la diffusione delle filiere “antibiotic-free” e il divieto della profilassi antibiotica di gruppo hanno favorito un aumento del mercato nero nel settore zootecnico. Questo rappresenta un rischio maggiore non solo per i consumatori, ma soprattutto per gli operatori del settore, che sono esposti a batteri sempre più resistenti agli antibiotici di importanza critica.
Uso improprio degli antibiotici anche da parte dei consumatori
C’è da dire, comunque, che le preoccupazioni dei consumatori sono spesso incoerenti. Infatti, a tal proposito una riflessione è d’obbligo: se da un lato il consumatore ha paura che negli allevamenti si faccia un uso improprio di antibiotici, dall’altro è lui in primis a non sapere cosa si intende per uso improprio o persino è lui stesso soggetto, in prima persona, di questa malpractice.
Per uso improprio, infatti, intendiamo:
- l’impiego di antibiotici di importanza critica quando sono disponibili altri antibiotici di minore importanza;
- l’impiego di antibiotici senza ricetta medica;
- l’interruzione della terapia antibiotica alla regressione dei sintomi;
- l’impiego di antibiotici anche quando non strettamente necessario;
- l’attuazione di misure igienico-sanitarie per prevenire le infezioni.
Si tratta, in tutti e cinque i casi, di comportamenti che i pazienti, più o meno spesso, compiono per se stessi ma che non vorrebbero che gli allevatori mettessero in atto nella propria attività.
Farmacosorveglianza e educazione sanitaria
Questo scenario evidenzia come il problema dell’antibiotico-resistenza non vada attribuito esclusivamente al settore zootecnico, ma piuttosto affrontato attraverso farmacosorveglianza e, soprattutto, una maggiore educazione sanitaria, ancora carente sia in ambito umano sia veterinario.
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sulla Rivista di Suinicoltura n. 8/2024
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