Aumentare la distanza per una maggiore sicurezza

La società Itaca ha installato la scrofaia in pieno Appennino, a 500 metri di altitudine. Qui, lontani decine di chilometri dagli allevamenti di pianura, i rischi di contagio sono ridotti al minimo

Gli allevamenti in cui si fanno riproduttori seguono regole proprie, diverse da quelle della comune suinicoltura. L’attenzione per la sicurezza sanitaria, per esempio, è massima. Perché, come ha ben sintetizzato il nostro ospite, che presenteremo tra breve, «Se sbagliamo qualcosa noi, il problema si ripercuote a cascata su tutti gli allevamenti a cui cediamo scrofe e verri».

Con questa premessa, la scelta di allestire una scrofaia a Farini, piccolo comune dell’appennino piacentino, acquista un suo senso. Qui, in mezzo sostanzialmente al nulla, i rischi di contagio scendono al minimo possibile, anche se cresce, rispetto alla pianura, il pericolo di contatti coi cinghiali, che in zona prosperano. «Tutto il sito è però recintato e i camminamenti sono vincolati e protetti da barriere, per cui su quel fronte siamo relativamente tranquilli», ci dice Stefano Repetti – nessuna parentela con lo scrivente – che assieme alla figlia Chiara e al socio Leonardo Cogni amministra Itaca, società agricola con cinque siti produttivi. Nata nove anni fa, Itaca ha avuto uno sviluppo repentino, che in parte ha sorpreso gli stessi titolari – uno agronomo, l’altro esperto amministrativo – passando rapidamente ad avere 26 dipendenti. Sintetizzando, gestiscono un centro di riproduzione per scrofette a Esine, in Val Camonica, poi un centro verri a Bedonia, sul confine tra Piacenza e Parma, oltre a due Siti 2, a Camairago (Lo) e Pontenure (Pc). Infine c’è la scrofaia che ci apprestiamo a visitare e che è nata tra il 2016 e il 2018, grazie anche a un contributo regionale.

«La storia di questo sito è abbastanza particolare», spiega Repetti, agronomo progettista di impianti zootecnici di primo lavoro, ma ormai anche suinicoltore a pieno titolo. «La nostra società è infatti in soccida con il gruppo CM (Gruppo Chiola, ndr) che cinque o sei anni fa ci chiese di trovare dei siti per allevare verri e scrofe da riproduzione. L’obiettivo era trovare ubicazioni lontane dai grandi centri della suinicoltura padana, per ridurre al minimo i rischi di malattie virali. Mentre cercavamo un sito adatto al centro verri, capitammo qui a Le Moline, frazione di Farini a 500 metri di altitudine. A pochi passi dalla provinciale sorgeva un caseificio dismesso e vedendolo ci venne l’idea di trasformarlo in un allevamento di suini».

Repetti, esperto di progettazioni zootecniche e relativa burocrazia, chiese assieme ai soci un finanziamento regionale, in misura 4.1.01 del Psr. «Ottenemmo i fondi, che ci diedero una bella spinta per la trasformazione del caseificio in allevamento», aggiunge l’agronomo.

 

Ristrutturazione e edificazione

L’intervento, come è facile vedere anche dalle immagini pubblicate, è un misto di recupero e nuova edificazione. «Abbiamo conservato le palazzine degli uffici, che in parte sono state trasformate nella cucina, e parte dei magazzini, adattati a porcilaie per la rimonta e l’allevamento dei verri. Il capannone delle sale parto è stato invece creato ex novo, abbattendo il caseificio e seguendo criteri molto rigidi in materia di sicurezza e benessere animale». Il risultato è un sito da 700 scrofe, con gestazione, sala parto, un reparto per l’allevamento della rimonta – molto rapida, fa notare Repetti – e uno per i verri, che hanno una linea genetica a parte e sono portati a un peso di oltre 150 kg prima di essere ceduti ai centri di inseminazione. Le femmine sono invece trasferite subito dopo lo svezzamento, a un peso di circa 7 kg. «Restano in loco soltanto quelle destinate alla rimonta interna, vale a dire dai 16 ai 18 capi per ogni ciclo. Necessari, in quanto per mantenere una genetica spinta occorre una rimonta abbastanza rapida».

Completano l’installazione un impianto fotovoltaico da 19 kW, dedicato interamente al consumo interno, e un biodigestore da 63 kW, alimentato soltanto con i liquami aziendali. Nei prossimi mesi sarà inoltre realizzato ex novo un secondo capannone, per rimonta e linea dei verri.

 

Benessere e sicurezza

Come abbiamo visto, l’attenzione per la sicurezza sanitaria in un allevamento di questo tipo dev’essere massima. Un contributo fondamentale è dato naturalmente dalla collocazione, distante decine di chilometri da qualsiasi altro allevamento di suini. Anche i protocolli interni sono rigorosi, con uso di doppi calzari, disinfezione dei visitatori e forte riduzione degli ingressi. «Stiamo anche pensando di fare una linea per il trasporto del mangime, in modo da tenere i camion fuori dal cancello», aggiunge l’agronomo.

Altrettanta attenzione è data alla climatizzazione e in generale al benessere degli animali, naturalmente per quanto possibile in un impianto che fa genetica. «Partendo dalla gestazione, teniamo le scrofe in gabbie individuali per le prime quattro settimane dopo la fecondazione, un passaggio per ora inevitabile. Tuttavia abbiamo allargato le gabbie di 5 cm rispetto agli standard. Creando anche qualche problema alla posa della pavimentazione, che è basata su pannelli di cemento grigliato larghi 60 cm. Per adattarli alle gabbie, tra uno e l’altro i posatori hanno dovuto inserire spessori di 5 cm in metallo». La parte finale della gestazione avviene invece in gruppi da 14 scrofe, con box abbastanza grandi da lasciare un buono spazio per singolo capo.

È però nella sala parto e nella climatizzazione dove si sono raggiunti i risultati migliori. La prima, che come abbiamo visto è di nuova edificazione, è fondata sul principio delle gabbie aperte: ogni scrofa ha a disposizione 6 metri quadrati ed è costretta in gabbia soltanto nei primi 10 giorni dopo il parto. Successivamente il battifianchi resta aperto e l’animale può muoversi liberamente coi piccoli. «Abbiamo qualche perdita per schiacciamento, indicativamente tra l’otto e il dieci per cento dei nati, ma non differisce di molto dagli schiacciamenti che si verificano con le gabbie chiuse. Invece stiamo ottenendo importanti vantaggi da una modifica che abbiamo apportato ad alcune gabbie, spostando lo spazio della scrofa più al centro dell’area, in modo che i suinetti riescano a muoversi liberamente per andarsi ad alimentare. Con la conformazione classica, infatti, la scrofa quando è coricata appoggia i piedi contro la parete e i neonati devono scavalcare le sue zampe per arrivare al colostro. Nelle nostre gabbie sperimentali, grazie allo spostamento della scrofa in area più centrale, hanno spazio per passare tra la zampa e la parete. I risultati sono incoraggianti: dimezzamento delle morti per schiacciamento oltre a maggior vitalità e tassi di crescita elevati per i suinetti, grazie al fatto che raggiungono facilmente il colostro e succhiando si irrobustiscono subito, oltre a provocare una forte montata lattea».

Passiamo ora al controllo del clima nelle varie strutture. In questo ambito Itaca ha fatto una scelta abbastanza radicale: raffrescamento in tutte le sale, compresa la gestazione delle scrofe. Lo si ottiene con cooling ad acqua: grossi cubi con pannelli a nido d’ape impregnati di acqua in cui l’aria è costretta a passare per raggiungere i locali interni. «Abbiamo un sistema a depressione che richiama aria dall’esterno e la estrae tramite camini con ventilatori in estrazione installati nelle sale parto. In caso di necessità, per esempio nelle giornate più calde, altri ventilatori installati a valle dei sistemi di raffrescamento aumentano l’ingresso di aria, migliorando la ventilazione. L’aria fresca entra nei corridoi e si diffonde nelle sale attraverso aperture con flap. In questo modo riusciamo ad abbattere la temperatura anche di diversi gradi rispetto all’esterno, senza mettere a rischio la salute degli animali». Per l’inverno, visto che a 500 metri di altitudine si va spesso sotto zero, sono invece presenti dei bruciatori a metano che scaldano l’aria nei corridoi. Segnaliamo infine il riscaldamento dei nidi nelle gabbie parto: è ottenuto con acqua calda che circola sotto al pavimento in acciaio plastificato, nella zona priva di grigliato. In tal modo i suinetti sono invogliati a restare in quell’area, protetti dai movimenti della madre.

 

 

Inseriti nel tessuto rurale

L’alimentazione è somministrata in forma liquida, con due linee separate: una per la sala parto, l’altra per gestazione, verri e accrescimento. Acque sporche e reflui sono raccolti in vasche, trattati nel biodigestore e distribuiti in campo. «Li usiamo sui terreni della zona; alcuni li abbiamo in affitto, per altri ci siamo accordati coi proprietari. Che, peraltro, sono molto contenti di avere sostanza organica e fertilizzanti a disposizione. Parliamo infatti di terreni montani, che, in alcune zone, da anni non ricevevano fertilizzante. Non appena abbiamo iniziato a concimarli, la differenza con i campi non trattati è stata evidentissima».

In questo modo l’allevamento di Itaca è riuscito a inserirsi facilmente nel tessuto rurale del territorio, evitando di essere visto come attività impattante sull’ambiente. «Abbiamo buoni rapporti con tutti e del resto con questa attività abbiamo dato un posto fisso a quattro persone, mentre altre due lavorano con contratti stagionali. Grazie a questi numeri, che non sono così eccezionali in verità, siamo tra le principali attività produttive del territorio», scherza Repetti.

Il numero di dipendenti è basso in valore assoluto, in effetti, ma alto in rapporto al numero di animali. «In un allevamento convenzionale basterebbe la metà del personale, ma per un impianto legato alla genetica il controllo è fondamentale. Così come è stato fondamentale, a mio parere, che i nostri collaboratori non avessero, se non in un caso, alcuna esperienza di suinicoltura. In questo modo si sono formati secondo i nostri protocolli di gestione e sicurezza, che ovviamente sono molto più vincolanti rispetto a quelli standard. Se avessero lavorato precedentemente in altre realtà, forse avrebbero faticato di più ad adeguarsi a certe regole».

Aumentare la distanza per una maggiore sicurezza - Ultima modifica: 2022-09-16T13:47:57+02:00 da Annalisa Scollo

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