Biogas: un’opportunità, ma per quali aziende?

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Impianto biogas
Gli impianti di biogas consentono di produrre energia elettrica rinnovabile riducendo le emissioni di gas ad effetto serra: sono quindi una risorsa per il settore agro-zootecnico e per la collettività, purché siano di piccola taglia

Gli impianti di biogas per la produzione di energia elettrica consentono di produrre energia rinnovabile riducendo le emissioni di metano (gas ad effetto serra) derivanti dalla gestione degli effluenti zootecnici. L’incentivazione prevista dalla normativa attuale, il dm 23.06.2016, favorisce gli impianti di piccola taglia, con potenza elettrica installata inferiore ai 300 kW a cui assegna un incentivo alla produzione per 20 anni.

Le regole attuali

Per accedere a questo sistema di incentivazione ci sono due alternative. Gli impianti fino a 100 kW possono presentare domanda con l’entrata in esercizio, mentre gli impianti con potenza superiore a 100 e inferiore a 300 kW devono essere iscritti ad un registro con cui viene assegnato il contingente di potenza disponibile. I registri vengono aperti periodicamente e l’ultimo è stato aperto dal 9 luglio al 7 settembre 2022. Il criterio che consente di accedere agli incentivi è la tipologia di alimentazione dell’impianto di biogas. Nel dm 23.06.2016 sono definite le tipologie ammesse di sottoprodotti (Allegato 1, tabella 1A) e prodotti (Allegato 1, tabella1B), mentre la legge 145/2018 (art.1 commi 954-956) stabilisce le quote delle due tipologie di alimento con la possibilità di aggiungere fino al 20% di colture di secondo raccolto.

In qualsiasi caso, le matrici utilizzate devono derivare dall’azienda agricola realizzatrice. Come si vede in figura 1, l’incentivo massimo è pari a 233 €/MWh (a prescindere dalla potenza installata, purché inferiore ai 300 kW) e si ottiene a patto che i sottoprodotti della tabella 1A superino il 70% in peso dell’alimentazione totale e i prodotti della tabella 1B restino sotto al 30%, altrimenti l’incentivo scende a 170 €/MWh. In caso di colture di secondo raccolto, per ottenere l’incentivo massimo queste non devono superare il 20% in peso e i prodotti della tabella 1B il 10%. Tra i sottoprodotti della tabella 1A, oltre a diverse matrici di origine agro-alimentare, sono presenti anche gli effluenti zootecnici che, al momento, sono la matrice più utilizzata in questa tipologia di impianti. Nei prodotti della tabella 1B invece si trovano colture quali triticale, loiessa, sorgo, erba medica, ecc. Tra le colture di secondo raccolto non ci sono indicazioni precise, ma tra quelle comunemente praticabili il mais da insilato è sicuramente la più interessante.

Le regole (probabili) per i futuri impianti

Da alcuni mesi è in discussione la revisione della normativa che incentiva le energie rinnovabili innovative, in cui rientrano anche gli impianti di biogas di piccola taglia (sotto i 300 kW di potenza installata). Si tratta del decreto Fer 2 la cui bozza stabilisce alcune modifiche che meritano attenzione, anche se non sono ancora ufficiali. Rimanendo nel campo delle ipotesi, l’incentivazione degli impianti di biogas dovrebbe essere mantenuta per 20 anni ma con una tariffa di 250 €/MWh e quindi superiore al valore attuale. Per accedere agli incentivi ogni impianto dovrebbe partecipare a procedure pubbliche competitive, anche gli impianti sotto i 100 kW che ad oggi beneficiano dell’accesso diretto. Per quanto riguarda i criteri relativi alle tipologie di alimentazioni ammesse, i sottoprodotti presenti nella tabella 1A non dovrebbero variare, mentre nella tabella 1B rientrerebbero anche colture quali mais di secondo raccolto, orzo, avena, barbabietola. Potrebbero cambiare anche le soglie di impiego delle matrici presenti nelle due tabelle, infatti i sottoprodotti della tabella 1A sembra debbano costituire almeno l’80% in peso dell’alimentazione, mentre l’eventuale quota residua dai prodotti della tabella 1B. Questa nuova ripartizione spinge ulteriormente verso l’utilizzo dei sottoprodotti a scapito dei prodotti, ma senza stravolgere le attuali regole che prevedono la soglia per i sottoprodotti al 70%. Riguardo all’utilizzo di sottoprodotti agroalimentari di origine extra aziendale il decreto Fer2 apre ad un maggior impiego, abbassando al 21% la quota di prodotti e sottoprodotti per l’alimentazione dell’impianto derivante dai cicli produttivi aziendali. Per un impianto di taglia contenuta però, può essere complesso utilizzare quantità rilevanti di sottoprodotti acquisiti da terzi, perché comporta un aggravio del carico di lavoro in termini di reperimento dei sottoprodotti sul mercato e la loro gestione aziendale nel tentativo di mantenere una costanza nell’approvvigionamento, fondamentale per non sbilanciare la stabilità biologica del digestore e ridurre di conseguenza la produzione di biogas. Altra novità da evidenziare riguarda le vasche per lo stoccaggio del digestato prodotto da questi impianti. Infatti, dovrà essere presente una vasca con volume pari alla produzione di digestato di almeno 30 giorni, dotata di copertura a tenuta e di sistemi di recupero del biogas da reimpiegare per la produzione elettrica.

Quale impianto e per quale azienda

Il contesto ideale per la realizzazione di un impianto di biogas di piccola taglia è quindi l’azienda zootecnica, perché dispone di sottoprodotti in grande quantità e a costo zero, cioè gli effluenti zootecnici. Per capire quali aziende zootecniche possono dotarsi di un impianto di biogas di piccola taglia sono stati definiti 8 scenari, basati sulle regole della normativa attuale, comprendenti allevamenti di bovini da latte e di suini sia da ingrasso che a ciclo chiuso, prevedendo potenze installate di 100 kW o 300 kW e alimentazioni basate su effluenti zootecnici da soli o con l’aggiunta di biomasse ottenute da colture dedicate. Come colture dedicate sono state considerate triticale da insilato (prodotto della tabella 1B) e mais da insilato in secondo raccolto dopo il triticale. I primi 4 scenari elaborati riguardano impianti da 100 kW o 300 kW alimentati solo ad effluenti zootecnici (Grafico 1). Risultano evidenti le considerevoli quantità di effluenti necessarie e infatti un impianto da 100 kW alimentato solo ad effluente suino richiede circa 30.000 t/anno di liquame.

Negli allevamenti di bovini da latte le quantità complessive di effluente si riducono di circa il 60%, perché il liquame bovino ha una potenzialità produttiva di biogas superiore al liquame suino, avendo una maggior concentrazione di solidi, ma anche perché questi allevamenti spesso dispongono di letame, che presenta potenzialità produttive ancora superiori ai liquami. Negli scenari elaborati relativi agli allevamenti di bovini, la quota di letame corrisponde al 30% dell’effluente totale prodotto. La dimensione degli allevamenti che possono dotarsi di un impianto alimentato solo ad effluenti è riportata in tabella 2. Per alimentare un impianto da 100 kW con effluente suino è necessaria una consistenza di circa 9000 suini grassi mediamente presenti, ad esempio un ciclo aperto in cui i suini entrano a 30 kg ed escono a 160 kg, oppure un ciclo chiuso che dispone di circa 650 scrofe, più tutti i capi presenti a partire dai lattonzoli fino ai grassi. Passando alla taglia da 300 kW, la consistenza dell’allevamento per garantire la fornitura di liquame per l’impianto assume dimensioni difficili da trovare nel contesto italiano. Nel caso dell’allevamento di bovini da latte, un’azienda è in grado di sostenere un impianto da 100 kW quando dispone di 300 vacche in produzione (lattazione e asciutta) e relativa rimonta (pari al numero delle vacche in produzione), una consistenza che ormai è abbastanza diffusa nel panorama italiano, mentre il salto alla taglia di 300 kW richiede consistenze riscontrabili in poche aziende. La possibilità di introdurre biomasse nell’alimentazione consente di ridurre l’effluente necessario e di conseguenza rende accessibile l’impianto anche ad aziende di dimensioni più contenute. Il grafico 2 riporta gli altri 4 scenari in cui si valuta questa differente gestione alimentare degli impianti. Un impianto di biogas in un’azienda suinicola richiede l’85% in meno di liquame, a fronte di un’integrazione di 1600 t/anno di insilati se di potenza pari a 100 kW e 5000 t/anno passando ai 300 kW. Negli allevamenti di bovini da latte, la quantità di effluente si riduce del 65% a seguito dell’aggiunta di 1300 t/anno di insilati se di potenza pari a 100 kW e 4000 t/anno passando ai 300 kW. Come logica conseguenza, la dimensione degli allevamenti suini si riduce fino a 1400 suini grassi o 100 scrofe a ciclo chiuso per un impianto da 100 kW. Il numero di capi mediamente presenti triplica passando alla taglia da 300 kW, ma resta su numeri ampiamente diffusi negli allevamenti italiani.

 

Negli allevamenti bovini, un impianto da 100 kW è realizzabile già con 115 vacche in produzione, una consistenza decisamente diffusa e spesso superata nelle aree zootecniche di pianura. L’allevamento con 300 vacche che poteva installare un impianto da 100 kW, con l’aggiunta di insilati può arrivare a 300 kW. Visto l’impiego di colture dedicate, è opportuno considerare la superficie agricola in doppio raccolto da dedicare all’impianto di biogas. Considerando rese di 25 t/ha per l’insilato di triticale e 55 t/ha per il silomais, l’intervallo varia da 16 ha per l’impianto da 100 kW in un’azienda di bovini, a 63 ha per l’impianto da 300 kW in un’azienda di suini. L’utilizzo delle colture dedicate consente l’installazione di un impianto di biogas di potenza maggiore a parità di effluente disponibile in azienda o l’abbassamento della consistenza animale necessaria, però bisogna valutare l’effettiva disponibilità di superficie da destinare alla produzione agroenergetica a scapito della produzione agricola da destinare al fabbisogno alimentare dell’allevamento. Per evitare di impegnare troppa superficie alla produzione di colture dedicate, si potrebbe valutare l’introduzione di altri sottoprodotti aziendali nell’alimentazione dell’impianto. Gli allevamenti suini, ad esempio, possono utilizzare gli stocchi di mais, dato che la produzione di pastone o granella lascia tutta la pianta sul terreno. Senza ridurre la superficie destinata alla produzione di alimento per i suini, servono 3-5 ha di superficie su cui raccogliere gli stocchi per sostituire 1 ha coltivato a doppio raccolto triticale + mais insilato. Sulla base delle regole definite nella bozza del decreto Fer 2, è possibile prevedere un maggiore impiego di sottoprodotti agroalimentari extra aziendali, ad esempio borlande, buccette di pomodoro, scarti di molitura dei cereali o sostanze grasse, ecc. Considerando che ogni tonnellata di questi sottoprodotti può sostituire tra le 0.2 e 3 t di silomais, significa che 1 ha a doppio raccolto può essere sostituito da 25 t di sfarinati o 460 t di borlande. Questa grande variazione nella quantità che ci si può trovare a gestire, impone valutazioni attente sul rispetto delle soglie della normativa, oltre ai costi di acquisto, logistica e strutture di stoccaggio in azienda. Da non sottovalutare inoltre, che l’utilizzo di colture dedicate o sottoprodotti aggiuntivi rende sicuramente più fattibile la realizzazione di un impianto di biogas, ma aumenta di conseguenza anche il carico di azoto del digestato che l’azienda deve gestire da un punto di vista agronomico.

Biogas vs biometano

Le aziende che intendono realizzare un impianto di biogas di piccola taglia possono guardare anche al biometano, perché recentemente è stato pubblicato un decreto sulla Gazzetta Ufficiale n.251 del 26.10.2022, che prevede un contributo in conto capitale sulle spese di investimento e una tariffa incentivante applicata alla produzione di biometano, anche per impianti di piccole dimensioni, la cui alimentazione sia basata principalmente sui sottoprodotti.
L’attività agroenergetica forse non sarà per tutti, ma con i dovuti accorgimenti può essere intrapresa da molte aziende zootecniche.

Biogas: un’opportunità, ma per quali aziende? - Ultima modifica: 2022-12-12T09:32:15+01:00 da Lucia Berti

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