Alla luce della Direttiva Farm to Fork, segmento agricolo del Green Deal europeo che mira al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, si fa sempre più stringente la necessità di migliorare le performance ambientali degli allevamenti oltre che quella di promuovere e diffondere strategie di mitigazione per la rimozione del carbonio atmosferico (Bossio et al., 2020).
In quest’ottica, l’allevamento suinicolo dovrà effettuare una transizione verso un modello produttivo più sostenibile, basato sul miglioramento dell’efficienza, sull’utilizzo di forme rinnovabili di energia, sulla quantificazione dei gas a effetto serra (green house gases, Ghg) emessi e sul potenziale di rimozione dell’anidride carbonica (CO2) da parte del suolo e delle coltivazioni.
La carbon footprint della carne suina
La carne suina, unitamente a quella di pollo e di tacchino, si colloca tra le carni meno
impattanti sotto il profilo ambientale, se paragonata a quella bovina o ovina (Forero-Cantor et al., 2020; Pulina et al., 2022).
All’interno del comparto suinicolo, l’impatto delle singole realtà aziendali varia in relazione al tipo di produzione e all’efficienza alimentare della categoria animale considerata. A causa degli indici di conversione alimentare più sfavorevoli, la produzione del suino pesante comporta emissioni di Ghg superiori per unità funzionale (normalmente il kg di suino da macello), se paragonata alla produzione del suino leggero. L’indicatore utilizzato per questo tipo di impatto è l’impronta carbonica o carbon footprint (Cfp) che si esprime in kg di anidride carbonica equivalente per kg di peso vivo (Cfp = kg di CO2e / kg Pv).
I principali gas climalteranti emessi nella fase di allevamento
I principali gas climalteranti emessi direttamente e indirettamente durante le varie fasi del processo produttivo dall’allevamento suino sono la CO2 , il metano (CH4) che ha un potenziale climalterante 28 volte la CO2 (1 kg di CH4 = 28 kg di CO2 e) e il protossido di azoto (N2O) che ha un potenziale climalterante 272 volte la CO2 (1kg di N2O = 272 kg di CO2). Per valutare la Cfp complessiva, tutti i Ghg sono espressi in CO2 e utilizzando questi fattori di conversione e sommando fra loro le emissioni così trasformate.
La Cfp associata alla produzione
- del suino pesante (>160 kg di peso), in Italia, è mediamente pari a 4,25 kg CO2e/kg di peso vivo (Bava et al., 2017)
- mentre quella del suino leggero (<120 kg), allevato nei paesi dell’Ue, ma estensibile alle analoghe realtà italiane, è compresa tra 2,55 e 2,97 kg CO2e/kg di peso vivo al macello (Aramyan et al., 2011).
Tra le varie fonti emissive, quelle che incidono maggiormente sull’impatto complessivo dell’allevamento suinicolo sono
- quelle associate all’approvvigionamento di alimenti (van Zanten et al., 2015; Groen et al., 2016; McAuliffe et al., 2016; Bava et al., 2017)
- e quelle derivanti dalla gestione dei reflui (Bava et al., 2017; Hu et al., 2023)
che comportano, in entrambi i casi, impatti climalteranti e perdite di azoto.
L’approvvigionamento degli alimenti: l’impiego della soia
L’approvvigionamento degli alimenti, ossia la parte a monte della filiera di produzione
suinicola, ha come principale gas climalterante la CO2 che rappresenta oltre il 70%
dell’impatto complessivo dell’allevamento. Le prevalenti emissioni di CO2 di questa categoria di impatto sono da attribuirsi essenzialmente all’impiego di soia estera nei
mangimi il cui valore, a sua volta, deriva dall’inclusione diretta o indiretta nell’analisi Lca, del consumo di suolo. L’approvvigionamento di soia estera priva di certificazione no-deforest continua ad essere piuttosto importante per la suinicoltura nazionale e questo ha la sua rilevanza considerato che questa presenta dei coefficienti di emissione decisamente più elevati rispetto alla soia proveniente da altri paesi (0,93 kg CO2 /kg di soia se prodotta nel centro-ovest del Brasile vs. 0,40 kg CO2 /kg di soia prodotta negli Usa; Zhang et al., 2024).
La gestione dei reflui: stoccaggio e trattamento
Lo stoccaggio e il trattamento anaerobico dei reflui rappresenta la seconda fonte di impatto dell’allevamento suinicolo che rilascia in atmosfera i gas quali CH4 ed N2O (Bava et al., 2017; Hu et al., 2023). Il potenziale metanigeno dei reflui suini dipende dalle condizioni anerobiche utilizzate durante le fasi del loro stoccaggio e trattamento, risultando maggiore sui liquami rispetto ai reflui solidi. L’N2O si genera dalla trasformazione dell’N delle deiezioni attraverso i processi di nitrificazione, in condizioni di aerobiosi, e denitrificazione, in mancanza di ossigeno. Tale tipologia di emissioni può essere ridotta, in parte, mediante interventi nutrizionali volti a ridurre le escrezioni di N.
Le fermentazioni enteriche
Tra le altre fonti di emissione vi sono quelle associate alle fermentazioni enteriche, che comportano il rilascio in atmosfera di CH4. Il metano enterico si genera a seguito delle
fermentazioni intestinali dei carboidrati, in particolare della frazione fibrosa, per cui l’entità dell’emissione dipende dalla qualità e quantità dell’alimento consumato, dalle caratteristiche del tratto digestivo, dall’età e dal peso dell’animale. Nell’allevamento suino, le emissioni di CH4 enterico sono di modesta entità, se paragonate a quelle che si rilasciano in atmosfera dall’allevamento dei ruminanti. Infine, altre tipologie di emissione sono quelle derivanti dall’utilizzo di energia e combustibili fossili e in alcuni casi, quelle associate alla produzione aziendale di alimenti. In entrambi i casi, il gas rilasciato in atmosfera è la CO2 e, qualora si ricorra all’impiego di fertilizzanti N organici e minerali, anche l’N2O.
Le possibili strategie di mitigazione
Le strade da percorrere per migliorare la sostenibilità dell’allevamento suinicolo sono essenzialmente tre:
- selezionare animali più efficienti;
- utilizzare nei mangimi soia no-deforest o fonti proteiche alternative e richiedere ai fornitori alimenti low carbon e net zero;
- valorizzare gli effluenti zootecnici per la produzione di forme alternative di energia e installare fonti rinnovabili da agroenergie.
La riduzione dell’impatto ambientale è legata indissolubilmente al miglioramento della produttività delle attività umane. Aumentare l’efficienza ambientale di una filiera agricola, e ancor di più zootecnica, significa
- produrre di più con minori risorse materiali ed energetiche (e pertanto generare meno scarti per unità ottenuta)
- e, se riferito alla zootecnia, significa allevare animali che a parità di consumi generano più biomassa vendibile.
In ambito suinicolo, massimizzare le produzioni per unità di input impiegata significa sostanzialmente aumentare i kg di peso vivo venduto per scrofa presente (Bava et al., 2017).
Selezionare animali più efficienti
Il miglioramento dell’efficienza animale può essere attuato, anche, valutando un possibile compromesso tra il regime alimentare a volontà e quello ristretto. Il primo promuove la velocità di crescita rendendo difficile il raggiungimento del peso di macellazione target nell’età minima consentita (165 kg a 9 mesi). Infatti, accrescimenti sostenuti causano il raggiungimento di 165 kg ad un’età precedente ai 9 mesi rendendo le cosce non conformi al disciplinare di produzione del prosciutto Dop. L’alimentazione a volontà può, altresì, aumentare la deposizione di grasso nella carcassa e renderla non conforme. Più in generale, il regime a volontà comporta una riduzione dell’efficienza alimentare rispetto alla razione ad ingestione controllata. Per lo stesso motivo, per il suino pesante si applica il sistema di restrizione alimentare a partire da 60-70 kg di peso in poi, al fine di controllare la deposizione di grasso e l’efficienza di utilizzo del concentrato (Sandrucci e Trevisi, 2022).
Utilizzare soia no-deforest
Poiché le maggiori emissioni di Ghg derivano da quelle importati con gli alimenti, è prioritario intervenire su questo aspetto se si vuole ridurre (e tendenzialmente annullare) l’impatto climalterante dell’allevamento suino. Come è noto, dal 31 dicembre del 2024, sulla base del recente Regolamento (Ue) 2023/1115 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla messa a disposizione sul mercato dell’Unione e all’esportazione dall’Unione di determinate materie prime e determinati prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale, sarà prescritta l’importazione e la vendita nell’Unione di prodotti, soia compresa, privi di certificazione no-deforest. Si tratta di un significativo passo avanti che consentirà di ridurre del 10-20% la Cfp dei prodotti suinicoli italiani.
Richiedere ai fornitori alimenti low carbon e net zero
Tuttavia, sarebbe consigliabile che i suinicoltori iniziassero a richiedere ai loro fornitori di mangimi e materie prime mangimistiche, alimenti certificati low carbon o, nei migliori casi, net zero. In tal senso, la Federazione europea dei mangimisti, Fefac, ha diramato delle linee guida per la produzione di alimenti zootecnici a basso o nullo impatto ambientale.
Utilizzare fonti proteiche alternative
Per ridurre gli impatti legati alla soia, l’utilizzo di fonti proteiche alternative, quali gli amminoacidi di sintesi (McAuliffe et al., 2016) o i sottoprodotti dell’industria agro-alimentare, ha il duplice obiettivo di ridurre le escrezioni azotate (Ogino et al.,2013; Garcia-Launay et al., 2014) oltre che le emissioni di Ghg nel complesso, senza influire negativamente sulle performance degli animali (Gloaguen et al., 2014). Una riduzione di 10 g di proteina grezza in eccesso per kg di alimento comporta una diminuzione delle emissioni di ammoniaca da reflui e urine dell’8-10% (Wang et al.,2018). L’ammoniaca è il composto volatile più rilevante (circa il 90% delle emissioni totali italiane deriva dagli allevamenti) per i suoi effetti ambientali, sia diretti (particolato e acidificazione) sia indiretti in quanto precursore del N2O. Essa è inoltre nociva per l’uomo e per gli animali in quanto, ha un odore pungente che irrita occhi, gola e mucose. L’N ureico delle urine rappresenta il principale precursore dell’ammoniaca, per cui tutti gli interventi che riducono l’escrezione di N nei reflui riducono anche le emissioni di questo gas. Nel liquame suino,
l’N ureico costituisce più del 90% dell’N totale delle urine. L’urea è rapidamente convertita in ammoniaca dalle ureasi prodotte dai microrganismi diffusi nell’ambiente.
Valorizzare gli effluenti zootecnici
Nell’allevamento suino, i reflui sono costituiti dalle deiezioni, da acque utilizzate per il lavaggio dei locali di stabulazione, da residui di concentrati e materiale vario utilizzato nei
ricoveri. Dai reflui sottoposti a numerose tipologie di stoccaggio, si rilasciano in atmosfera
sostanze volatili quali ammoniaca, ossidi di azoto e di zolfo. Dopo la raccolta, le deiezioni
sono stoccate per far sì che il trattamento avvenga in tempi, modi e luoghi il più possibile
adeguati. I sistemi di stoccaggio si caratterizzano per il tipo di copertura che nel caso dei liquami può essere rappresentato da vasche aperte o chiuse che, come noto, avranno effetti ambientali diversi: quelle aperte comportano maggiori emissioni sia per il rilascio diretto delle sostanze volatili sia per il verificarsi di fenomeni di fermentazione spontanea che comportano un ulteriore dispersione di metano, CO2 e altri gas. Pertanto, al fine di migliorare la sostenibilità, sarebbe opportuno attuare una gestione più razionale dei reflui preferendo, ove possibile, la produzione di materiale solido e quindi gli allevamenti su lettiera. Le emissioni di gas da deiezioni possono essere ridotte grazie alla digestione anaerobica dei reflui e alla produzione di biometano (Møller et al., 2023). Questo procedimento di mitigazione non solo riduce le emissioni dirette di Ghg, ma anche e quelle indirette legate alla fabbricazione industriale dei concimi azotati (la sintesi Haber-Bosch di fissazione dell’N atmosferico è un procedimento energivoro): infatti, l’applicazione al suolo del digestato comporta il ricorso a una quantità di concime azotato decisamente inferiore, essendo caratterizzato da un contenuto di N agronomicamente disponibile rispetto a quello che deriva dall’impiego di reflui non trattati. Inoltre, questa tipologia di gestione dei reflui riduce l’impatto sull’eutrofizzazione oltre che sui consumi di energia in ragione del 11% grazie alla produzione del biogas e al risparmio sui concimi di sintesi (Møller et al., 2023).
Installare fonti rinnovabili da agroenergie
Infine, essendo l’allevamento del suino pesante italiano tipicamente senza terra, o dotato di modeste superfici fondiarie, il perseguimento della neutralità carbonica delle produzioni non è possibile attraverso la via del sequestro del carbonio da parte di suoli e vegetazione insistenti nel compendio aziendale. È pertanto altamente consigliabile dotare tutte le superfici dei fabbricati favorevolmente esposte, ove possibile, di impianti fotovoltaici e indirizzarsi alle agroenergie (agrivoltaico e microeolico) nelle pertinenze aziendali vocate: soltanto il drastico abbattimento diretto (consumi energetici interni all’azienda) e indiretto (crediti di carbonio derivanti dall’immissione in rete dell’energia rinnovabile prodotta in allevamento) della CO2 emessa e importata consentirà di stilare un bilancio climalterante sempre più vicino al net zero.
L’articolo è pubblicato sulla Rivista di Suinicoltura 1/2024
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