Da una parte l’allevamento convenzionale in chiave moderna, dall’altra il piccolo ma per così dire “bucolico” allevamento estensivo specializzato in razza autoctona. A livello edilizio, nemmeno a dirlo, due mondi completamente differenti, ma la domanda comunque resta: quali scelte hanno fatto? Terra del confronto è la Romagna. Da una parte c’è la tradizionale e storica Azienda agricola Minotti di Pioppa di Cesena, dall’altra Fattoria Palazzo di Zattaglia (in provincia di Ravenna), piccolo allevamento di sola Mora Romagnola facente parte del gruppo Spadoni, rinomato produttore ravennate di farine.
Azienda agricola Minotti “Poche cose ma fatte bene”
Quando si parla di accostare le parole infrastrutture e benessere dell’animale, Claudio e Quarto Minotti credono fortemente in un concetto, che ripetono quasi fosse un mantra: «il segreto è lo spazio». Fondata nel 1960, nell’Azienda agricola Minotti hanno trascorso gli ultimi decenni a investire tempo e risorse economiche per la realizzazione di un allevamento di suini confortevole e, soprattutto, a ciclo chiuso, che potesse quindi comprendere al suo interno ognuna delle fasi di produzione che vanno dalla nascita, passando per l’accrescimento fino ad arrivare alla vendita degli animali. «Poche cose, ma fatte bene» è il principio cardine col quale Claudio e Quarto – seconda generazione della famiglia Minotti ad occuparsi di zootecnia – vanno al lavoro tra i capannoni delle loro porcilaie.
Tutto, in questa realtà a conduzione familiare, è iniziato con un piccolo allevamento che, mattone su mattone, è stato ampliato fino a diventare ciò che è oggi, ossia un’azienda che vende tra i 18 e 20mila suini all’anno e che, a livello immobiliare, ha suddiviso il processo di produzione in tre grandi siti: la scrofaia (a Russi), il magronaggio (a San Pancrazio) e infine l’ingrasso (a Castiglione di Ravenna). A questi tre si affianca il mangimificio realizzato nella sede di Pioppa di Cesena; una vera e propria peculiarità dell’impresa romagnola, che in questo modo può controllare dalla a alla zeta l’alimento consumato ogni giorno dai propri maiali. Il sito è infatti autorizzato per il solo autoconsumo. «Nelle nostre mangiatoie – assicurano i titolari – entrano esclusivamente alimenti da noi realizzati. E stiamo parlando di circa 100mila quintali di mangime all’anno».
Sito 1, la scrofaia
Il tour tra le decisioni a livello edilizio prese da Claudio e Quarto Minotti ha inizio dal sito 1, la scrofaia (dentro vi sono circa 720 scrofe e l’azienda attualmente ha una media di 2,43 parti all’anno). Senza dubbio l’area più delicata, nella quale i due fratelli hanno preferito «soluzioni semplici e che funzionano, perché le abbiamo consolidate attraverso le prove fatte nel tempo». Per la stabulazione, in questo caso libera, l’azienda ha a disposizione due soluzioni. La prima prevede dei box con un 60% di pavimento pieno e un 40% di pavimento fessurato che, tuttavia, secondo Claudio non è affatto la scelta più adatta, «perché – spiega – le scrofe scivolano, si sporcano e si fanno male». La seconda opzione sono gabbie chiuse, ma apribili, grazie alle quali i suini hanno un’ampia possibilità di movimento, pur mantenendo tutte le comodità in termini di pulizia e lavaggio preparto. «A mio avviso è una soluzione ottimale, per quanto molto costosa – dice Minotti –, dato che si superano anche i 2mila euro a scrofa. Ognuna, però, ha la sua postazione per il mangime e un abbeveratoio singolo». L’areazione, in questa parte dell’allevamento, è naturale con finestre e cupolini.
Passando alla sala parto, la sola con ventilazione forzata per mantenere il clima più consono alla delicatezza del momento, l’azienda ha speso il suo denaro nell’acquisto di gabbie oblique situate in box singoli da quasi 5 metri quadri. «Il futuro, ma anche il presente, come dicevamo prima è lo spazio, per questo abbiamo convenuto di mantenere le scrofe libere» intervengono i fratelli Minotti. Spazio, acqua depurata distribuita tramite ciucci, luce, ventilazione e un’alimentazione a mano gestita singolarmente per ogni scrofa sono le attenzioni che vengono adottate in sala parto, «e ciò ci permette di raggiungere dagli 11 ai 15 svezzati per parto, attestandoci su una media di 12,5».
Parlando proprio di svezzamento, l’azienda romagnola ha preso una decisione un po’ fuori dal coro, ma secondo loro perfetta in termini sanitari e di pulizia, realizzando un’area all’aperto – protetta unicamente da una copertura antigrandine – composta da 111 capannine “Maialindo” realizzate dalla Silca di Cesena. Si tratta di box verdi in vetroresina completamente attrezzati e con un ampio spazio esterno ricco di distrazioni, nei quali vi stanno 33 suinetti ognuno fino al raggiungimento dei 25 chili. Sotto al pavimento grigliato in plastica, la gestione dei reflui è organizzata con vasche ad apertura manuale e vacuum system per aspirare il liquame verso la vasca di rilancio.
Sito 2, il magronaggio
Una volta raggiunti i 25 chili, i maiali vengono trasportati con mezzi di proprietà della Minotti (per ragioni, anche in questo caso, di puntiglio sul controllo degli animali) nel sito 2 di magronaggio, dove rimangono fino a raggiungere i 45 chili circa. Si tratta di un capannone unico molto semplice con pavimento grigliato. Tubazioni, mangiatoie e abbeveratoi a tazza sono in acciaio inox e l’alimentazione è organizzata con un classico sistema a catena. La ventilazione, anche in questo caso, è totalmente naturale con finestre e cupolini, mentre l’illuminazione è organizzata con neon a led. Per la gestione reflui dei box (ognuno dei quali ospita dai 24 ai 25 suini), qui, sono stati preferiti dei raschietti di pulizia interamente automatizzati e inseriti sotto le file di grigliato.
Sito 3, l’ingrasso
Si arriva così al sito 3: l’ingrasso. Anche in questo caso è la semplicità a prevalere negli otto capannoni della Minotti – quattro dei quali realizzati nel 2008 affidandosi alla mantovana Cappellari –, organizzati in reparti da 20 box da 2,40 metri per 8,20 nei quali vi stanno circa 17 suini ciascuno. «Un tetto perfettamente coibentato – spiega Claudio Minotti – ci concede anche qui di mantenere una ventilazione naturale. Abbeveratoi a tazze e mangiatoie sono in acciaio inox. Il pavimento è ovunque grigliato e al di sotto si trova un impianto vacuum system per la gestione dei reflui». Allo scopo di diminuire la produzione di azoto, tra l’altro, agli animali viene applicata una dieta multifase gestita tramite computer.
Infine, perseguendo l’obiettivo di aiutare i suini a combattere l’afa estiva, nel sito di ingrasso alla Minotti hanno realizzato, con l’aiuto dei loro manutentori, una serie di irroratori d’acqua poi installati sui tetti. «A parte la scrofaia e questi piccoli accorgimenti come l’irrorazione – conclude l’allevatore – il nostro è diventato, però, più che altro un lavoro di supervisione. Ed è anche per questo che da più di 20 anni abbiamo voluto al nostro fianco un veterinario interno. Investimento che ci consente di avere un controllo quotidiano sulla salute degli animali che alleviamo».
Fattoria Palazzo, da marzo/aprile i suini vivono all’aperto
A circa settanta chilometri di distanza, incastonato nel verde del piccolo paesino di Zattaglia e affacciato tra le bellezze del Parco del Carnè, si trova l’allevamento Fattoria Palazzo del gruppo Spadoni. Una realtà di circa mille animali – tutta Mora Romagnola in purezza – allevati in semi brado. «L’azienda è stata acquistata nel 2008, ma la gestiamo direttamente dal 2010 e non abbiamo ancora utilizzato una granella di chimico» si fregia di dire Ettore Bartoletti, a cui è stata affidata la direzione. Si parte subito col precisare che allevamento allo stato semi-brado significa che da marzo/aprile fino a metà novembre i suini della fattoria vivono all’aperto, “chiusi” da un recinto alto un metro e venti (più cinquanta centimetri interrati) che circonda i 26 ettari di terreno a loro dedicati. «Voglio essere chiaro: come tipologia di allevamento non è più semplice o più difficile – interviene Bartoletti –, ma semplicemente differente, perché oltre alle variabili dell’animale dobbiamo tenere conto delle variabili del tempo e del terreno su cui poggiano».
La soluzione infrastrutturale adottata all’esterno, di conseguenza, si traduce in una parcellizzazione dei 26 ettari in porzioni più piccole, così da avere una rotazione continua dei maiali presenti. «In questo modo – aggiunge il direttore della Fattoria Palazzo – gli animali finiscono il cotico erboso, ma non arrivano mai alla terra ed evitiamo i ristagni che potrebbero essere causa di vermi intestinali».
I capannoni
Venendo alle stalle, dopo un lungo e attento studio ne sono state realizzate tre da 38 metri per 14, con undici o dodici box ciascuna da 7,40 per 4,20 metri. «Ogni capannone – interviene Bartoletti – è stato ricoperto con 4 centimetri di legno nelle pareti fino a un metro e venti di altezza e con otto centimetri di isolamento sul tetto con panello sandwich. Così – spiega – abbiamo una minor perdita calorica dell’animale in inverno e un minor caldo in estate a livello di temperatura».
Lungo le pareti delle porcilaie corrono ovunque delle grandi finestre, installata per la ventilazione naturale ma anche per un aspetto di tipo etologico, affinché gli animali riescano a percepire il fotoperiodo, e «questo è particolarmente importante per la manifestazione dei calori nelle femmine». Sopra al pavimento pieno si trovano tra i sessanta e settanta centimetri di paglia che non viene asportata. «Parte dell’urina e delle feci rimane dentro ai box – dice il direttore –, perché la prima fermentazione del letame produce calore e fa evaporare l’acqua e l’ammoniaca. Il risultato è un ambiente molto gradevole, nel quale non è stato necessario l’inserimento di alcun ventilatore». Le mangiatoie vengono alimentate con mangime pellettato ad libitum, mentre per gli abbeveratoi è stato scelto il truogolo, che garantisce un risparmio idrico e consente ai suini di avere sempre a disposizione l’acqua necessaria. La gestione dei reflui è invece organizzata con una platea del letame in pendenza e una fossa di calcestruzzo interrata da 110 metri cubi.
Passando alla gestazione la particolarità, prima di tutto, la si trova nella geometria della stalla, che ha una forma ottagonale per ricordare le classiche torrette di avvistamento delle colline. «All’interno – precisa Bartoletti – vi sono sei recinti dove vengono messe le scrofe in gestazione (la fattoria ne ha 85 ed è molto vicina ai 2 parti all’anno di media con 8 svezzati per parto) già fecondate naturalmente dal maschio». L’alimentazione è gestita per mezzo di un autoalimentatore della Nedap, modificato per poter consentire alle scrofe di mangiare durante la notte, orario preferito per la Mora Romagnola.
L’ultimo capannone contiene la sala parto. Un luogo iper-controllato, con centraline che permettono di mantenere la temperatura controllata intorno ai 23 gradi. Suddivisa in tre aree da 26 posti totali, la Fattoria Palazzo ha scelto la soluzione delle gabbie sopraelevate con pavimentazione fessurata. Dato che la Mora Romagnola non tollera gli spazi stretti, le dimensioni superano abbondantemente il metro e mezzo quadrato e in ogni sala c’è una misurazione costante della concentrazione di ammoniaca, nonostante le feci vengano subito eliminate. Parlando di reparto svezzamento, in questo caso è composto da cinque gusci in vetroresina, con parte chiusa riscaldata a 26 gradi, mangiatoia e abbeveratoio incluso e pavimentazione grigliata. Come distrazioni, oltre alle classiche catene, vengono messi dei rami di legno tagliati direttamente dai 34 ettari di bosco che fanno parte della tenuta. «Tra l’altro – chiude il direttore dell’allevamento –, mantenendo i suini sempre nei medesimi gruppi riusciamo a creare una gerarchia tra gli animali già dopo 30 giorni dallo svezzamento. Il risultato è che gli animali non saranno aggressivi da adulti ed evitiamo di dover intervenire con pratiche che a noi non piacciono, come dover tagliare code, orecchio o denti».
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